Alluvioni e frane: disordine idrogeologico o mentale?

Alluvione del 7 ottobre 2013 a Ginosa. Arbusti ripariali strappati dall’alluvione ed ammassati contro le pile di un ponte (foto InMeteo.it)

Oggi le manutenzioni si fanno quando il processo degenerativo è evidente e il livello di pericolosità ha superato la soglia di accettabilità del rischio. Cioè, il giorno prima della frana, se tutto va bene, ma più spesso, come ampiamente verifichiamo, il giorno dopo

 

Di Giuseppe Spilotro*

Il giorno dopo l’ennesima catastrofe idrogeologica, l’alluvione delle Marche, con il suo carico di morti, dispersi e di devastazioni dei tessuti urbani e di quelli produttivi, comincia il deja vu, la caccia ai responsabili, invariabilmente ricercati in tre categorie: i cambi climatici, la cementificazione del territorio, le opere non realizzate. Con riferimento alla classica equazione del rischio, il primo elemento, generalmente il più importante, serve a deresponsabilizzare un po’ tutti; il secondo serve a responsabilizzare un po’ tutti; il terzo serve a dire che qualcuno si era posto il problema e la babele, più che la giungla, dei procedimenti amministrativi, ha allungato, di fatto interrompendolo, l’iter amministrativo che avrebbe condotto alla realizzazione dell’opera.

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Attrito vs acqua

L’attrito, ovvero le forze resistenti che si contrappongono a quelle agenti. Sospettato di significato negativo, in realtà l’attrito ha anche aspetti fortemente positivi. Tanto per cominciare, ci consente di camminare. Ad attrito zero sotto le nostre scarpe, non potremmo muoverci. Poi nei corpi di terra, senza attrito avremmo pianure e mai colline o montagne. Come una distesa di acqua, assolutamente piatta, se non ci fossero il vento o le maree. Ma anche l’acqua può trasmettere azioni tangenziali quando in movimento, anzi, più si muove, più forti sono le azioni tangenziali, in qualche modo assimilabili all’attrito. Esattamente come nei sistemi sociali. Difficile che qualcuno ti contesti o ti si contrapponga se tu non fai niente. Ne ho vista di gente stipendiata regolarmente, regolarmente nullafacente nella più assoluta tranquillità. Per contro, le difficoltà crescono con l’intenzione di fare qualcosa, soprattutto se è qualcosa di buono o di utile.

Entropologia, il disordine dei sistemi sociali figlio della burocrazia?

paesaggio spietrato murgia (foto Giuseppe Spilotro)
Paesaggio spietrato della Murgia (foto Giuseppe Spilotro)

Stiamo arrivando al punto cruciale: si chiama Entropology, the study of human actions that lead to the disintegration and increasing disorder of highly evolved social systems. Ovvero: Entropologia, lo studio delle azioni umane che porta alla disintegrazione e al crescente disordine di sistemi sociali altamente evoluti.

Il disordine dei sistemi sociali dunque, ovvero l’entropia dei sistemi sociali. La prima traccia di questo non marginale aspetto è niente di meno nella Genesi. A quanto pare, l’uomo, non opponendosi ad un potenziale di vita facile, la mela, e senza dispiacere alla donna, si mise fuori da una regola; cacciandolo dal Paradiso terrestre, Dio gli disse: da oggi, se vuoi le cose che qui avevi gratis, devi lavorare. Su questo aspetto torniamo presto.

In sostanza, l’incremento di disordine degli altamente evoluti sistemi sociali è quello che ci condiziona a tanti livelli. Un alto dirigente di una regione confinante con la Puglia evidenziava come nei processi approvativi di opere infrastrutturali, doveva interfacciarsi con ben 8 uffici regionali, avvolti da membrane semipermeabili: modesta comunicazione con l’esterno, nessuna comunicazione tra di loro. E’ il trionfo delle culture parziali, che diventano assolute. Ogni detentore della sua cultura parziale ha l’obbligo di affermarla come assoluta e prevalente, con tentativi nulli di comprendere le posizioni degli altri. Stiamo parlando, di resistenze, incremento delle energie necessarie per raggiungere gli obbiettivi, tempi che si allungano senza certezze. Più di uno ha tuonato in questi giorni contro le Sovrintendenze. Sta di fatto, che la ricostruzione in pochi mesi del Ponte Morandi è stata possibile non con un miracolo tecnologico (su quello eravamo preparati), quanto per l’annullamento per editto di tutte le possibili resistenze delle culture parziali, cioè gli attriti.

Cementificazione, spietramento, plasticizzazione

tendoni serre Mola di bari
Coperture a tendoni e a serre. Agro di Mola di Bari (foto Giuseppe Spilotro)

In un articolo di ieri di Coldiretti (Maltempo, Coldiretti: “Abbandono e cementificazione” By Alessandro Mazza, 19 9 2022) si evidenziano le responsabilità nella cementificazione dei territori e nei terreni abbandonati. Si dimenticano, per lo meno nelle nostre aree, lo spietramento selvaggio, contrabbandato come miglioramento fondiario, e quella che in contrapposizione alla cementificazione, chiamerei la plasticizzazione. Sì, le coperture a tendoni e le serre, che modificano il funzionamento idrologico dei territori trasformati su superfici per nulla marginali e con conseguenze già viste in recenti alluvioni nelle nostre aree costiere.

Aggiungiamo altre situazioni di conflitto con pregiudizi ambientali: la gestione delle aree ripariali e il divieto di rimuovere gli alberi dalle sponde. Salvo ritrovarli ammassati contro le pile del primo ponte con la prima piena seria.

Manutenzione, la grande dimenticata

E qui riprenderei il tema del lavoro e delle manutenzioni. Le ferrovie e le strade di una volta consideravano integrate nel loro esistere la manutenzione ordinaria, che evidentemente, secondo valutazioni ancora attualissime, avrebbe ridotto la necessità di quella straordinaria. E quindi, ogni tanti chilometri, esisteva la casa cantoniera o il casello ferroviario. Con personale che viveva il territorio e con manutenzione (= lavoro) giornaliera sorvegliava lo stato dell’infrastruttura e del territorio contermine. Oggi non esistono più né le case cantoniere, né i caselli ferroviari; le manutenzioni si fanno quando il processo degenerativo è evidente e il livello di pericolosità ha superato la soglia di accettabilità del rischio. Cioè, il giorno prima della frana, se tutto va bene, ma più spesso, come ampiamente verifichiamo, il giorno dopo.

Chi curerà il disordine mentale?

Le irregolarità climatiche e la crescita dei territori urbanizzati non si mitigano senza i corretti interventi strutturali, ma la priorità, anche perché a costo quasi nullo, deve andare al miglioramento dell’efficienza delle governances, cioè rimuovere gli attriti derivanti da un po’di disturbi mentali.

* Giuseppe Spilotro, geologo, già docente di rischio idrogeologico all’Università della Basilicata

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