
Si deve continuare a parlare di acciaio a Taranto? Sì, ma solo riflettendo sulla sostenibilità e i costi di ILVA per Taranto e per i suoi cittadini. Necessaria la chiarezza da Mittal e dal Governo
La notizia è ormai vecchia: Mittal sta lasciando Taranto, ma forse, come è capitato con Riva, pensava che Taranto potesse solo essere un business e non una missione.
Ma domande importanti sono ora d’obbligo: arrivare a Taranto poteva comunque significare un obiettivo importante di mercato? Quanto costa acquisire quote di mercato oggi?
E allora un’altra domanda può porsi: “Se un imprenditore si avvicina ad un mercato industriale e finanziario e compra un’azienda e poi questa va a rotoli, a lui restano le quote di mercato che sono state nel frattempo gestite: quale è il valore di queste e la complessiva convenienza che si ottiene?”
I perchè di una strategia perdente

Forse questa era una domanda che si sarebbe dovuto porre il proprietario di ILVA che, al momento delle trattative, era di fatto tornata allo Stato nell’elaborazione di una strategia perdente. Quale strategia di vendita doveva porsi in essere per evitare di attivare a sua volta una strategia che, in caso di perdita, potesse poi portare a perdere le quote di mercato? Quanto lunga può essere l’agonia in cui porre un’azienda per consentire che con facilità queste quote di mercato possano traghettare ad altri e poi non avere più in mano la possibilità di riprenderle? Che peccato non essersi posti queste domande. Sarebbe stato utile porsele per non ritrovarsi la patata bollente di oggi.
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Quanto sta accadendo in questi mesi dimostra infatti che tutti i tentativi per far ripartire ILVA e Taranto sono falliti ed occorre veramente pensare in grande, finalmente, una volta per tutte.
I cittadini ora si sono organizzati per manifestare in piazza il 26 febbraio, pubblicamente e con forza, non contro Mittal ma contro lo Stato italiano che, invece di proteggerli, persiste nel far produrre in barba al principio di precauzione. Lo Stato chiarisca definitivamente il piano Taranto del futuro. Un grande manager pubblico, un grande politico del passato, mi disse anni fa che «mentre il privato pensa con orizzonti al massimo di 2 anni, noi che di fatto siamo lo Stato, pensiamo con orizzonti a 10 anni. Guardiamo lontano, guardiamo oltre. Noi non solo possiamo farlo, ma dobbiamo. Noi dobbiamo pensare alle prossime generazioni».
Vorrei richiamare questo aspetto perché il disimpegno di Arcelor Mittal e la reale situazione che ormai si riscontra, dimostrano, ancora una volta, come sia imprescindibile avere, prima, una visione per Taranto e, conseguentemente, per ILVA, il cui futuro si inserisce solo attraverso una visione della città.
È fondamentale, in questo momento, inserire quanto di nuovo si va facendo in una più ampia strategia che occorre ancora scrivere.
Dico scrivere perché è già stata pensata nei tanti dibattiti che ci sono stati nel passato, nei piani strategici approntati, nei tanti confronti avviati, nella volontà della gente che l’ha manifestata in vari modi e in più occasioni.
La strategia individuata, ma non ancora pienamente scritta, deve ora diventare realtà e proposta concreta.
Un futuro per Taranto in quattro punti

Si deve continuare a parlare di acciaio a Taranto? Si può cancellare una realtà che è snodo fondamentale delle strategie industriali del Paese.
Se si deve continuare a parlare ancora di acciaio a Taranto, perché ci sono migliaia di persone che vi lavorano direttamente e altrettante migliaia che ne sono coinvolte con l’indotto, occorre farlo subito e bene e comunque riflettendo sulla sostenibilità e i costi di ILVA per Taranto e per i suoi cittadini. Le tante migliaia di lavoratori che operano in ILVA e nell’indotto possono diventare decine di migliaia di schegge di una bomba sociale lasciata esplodere.
Ci interessa il presente di Taranto, per cui chiediamo allo Stato di non tergiversare ancora e di assumere, se ne è capace, ogni impegno per Taranto e il suo futuro perché ci interessa soprattutto il futuro di questa bellissima città e dei suoi cittadini, futuro che per noi è ben chiaro:
- sarà senza produzioni inquinanti;
- passerà attraverso la bonifica, la ricostruzione della città e dell’hinterland;
- si dovrà declinare mediante una riconversione industriale totale e senza traumi;
- dovrà poggiarsi sulla costruzione di un futuro anche turistico sul modello di altre realtà internazionali.
Questo cammino, nello spazio e nel tempo, lo scriveremo insieme, mantenendo sostenibilità ambientale ed economica e garantendo la salute.
La risposta dai giovani
In Germania lo hanno fatto nel bacino della Ruhr ed oggi ciò che si può osservare è l’evidenza della locomotiva tedesca di camminare guardando avanti, sempre più avanti. I giovani assumono lì un ruolo fondamentale: loro non solo stanno gestendo il cambiamento ma stanno già pensando a porre le basi dello sviluppo in cui cresceranno le nuove generazioni.
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Noi dobbiamo trasformare, con lungimiranza e decisione, quanto oggi abbiamo e con il quale ci dobbiamo continuare a confrontare.
Solo così quell’energia della bomba sociale che oggi ribolle diventerà l’energia del motore che alimenterà questo nostro nuovo cammino.