Energia: fossile o rinnovabile? (seconda parte)

Per il giro d’interviste di Gocce di Verità, oggi vi presentiamo la seconda parte delle interviste relative all’argomento “ambiente ed energia possono convivere in maniera pacifica e produttiva ?”.  Questa volta risponde alle domande di Diego Vitali il dott. Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente.

Un inceneritore

In Italia, molti progetti industriali (inceneritori, impianti di produzione energetici sia da fonti rinnovabili che da fonti “classiche”, TAP, TAV, infrastrutture) vengono contestati da movimenti ambientalisti e popolazione. Quali sono le motivazioni di queste proteste? Disinformazione, strumentalizzazioni politiche o l’Italia non è ancora pronta ad strutturata accogliere questo genere di opere?

Alla base delle tante e diffuse proteste che contraddistinguono i progetti delle opere nel territorio italiano sono due ragioni fondamentali. La prima riguarda i progetti, che troppo spesso sono di mediocre qualità, con studi ambientali inadeguati e rispetto ai quali non è previsto alcun passaggio di confronto trasparente con il territorio in termini di informazioni. Negli altri Paesi europei la valutazione ambientale è una cosa seria e non ci si nasconde rispetto ai territori, il miglior esempio è la Francia che prevede per tutte le opere di una certa dimensione un Dibattito Pubblico, dove una figura garante consente di gestire la partecipazione e informazione. La seconda ragione è la totale assenza di qualsiasi scenario di riferimento rispetto ai progetti. Da anni viene sostenuto che l’importante è realizzare infrastrutture, non importa quali, l’importante è che qualcosa si muova. In questo modo si portano avanti decine di progetti di rigassificatori, centinaia di strade e autostrade, migliaia energetici senza che vi sia alcuna coerenza.

Secondo quanto previsto dalla Strategia Energetica Nazionale, grazie a interventi bidirezionali nel campo delle energie rinnovabili e in quello della produzione nazionale di idrocarburi, l’Italia potrebbe ridurre dall’84% al 67% la sua dipendenza dall’estero, con una conseguente riduzione della fattura energetica di circa 14 miliardi di euro l’anno rispetto ai 62 miliardi attuali. Eppure nel nostro Paese ci sono partiti politici, associazioni di categoria e ambientalisti che sono convinti che attività Oil&Gas (le cosidette “trivelle”) ed energie rinnovabili alternative siano incompatibili tra loro. Chi ha ragione secondo lei?

La SEN parte da un obiettivo, che è quello di aumentare la produzione di idrocarburi nazionali. È l’unico obiettivo chiaramente definito, organizzato nei passaggi normativi e procedurali, e che poi ha visto interventi successivi fino allo Sblocca Italia. Se è evidente l’interesse dei gruppi che andranno a realizzare queste trivellazioni ancora continua a sfuggire quello nazionale, delle imprese come dei cittadini. La quantità di idrocarburi estraibile è limitata, per cui sarebbe un risultato temporaneo a fronte di un rischio rilevante, in particolare per gli sversamenti di petrolio in un mare delicato come il Mediterraneo. L’interesse del Paese sta nel ridurre la dipendenza dall’estero in modo strutturale, riducendo i consumi attraverso l’efficienza energetica e spingendo le rinnovabili. In tal senso, i governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno garantito una corretta transizione verso le fonti rinnovabili.

Uno dei principali motivi di protesta contro l’industria petrolifera è la sua presunta pericolosità, soprattutto per quanto riguarda i progetti offshore. Negli ultimi decenni, in considerazione delle attività estrattive eseguite al largo di alcune regioni italiane (Abruzzo, Sicilia, Emilia Romagna), quanti e quali incidenti si sono registrati nel Mediterraneo?

Intanto stiamo parlando di prelievi che sono in progressivo calo. Ma vogliamo essere chiari, senza citare gli incidenti a livello internazionale avvenuti nel trasporto e nell’estrazione di idrocarburi. In un mare come il Mediterraneo, per la sua complessità e delicatezza ambientale, il gioco non vale la candela. Questo tipo di tesi poteva andare bene 20 anni fa, ma in un momento in cui il mondo si muove verso una transizione fuori dalle fossili, con opportunità concrete di cambiamento insistere sul petrolio è una scelta fuori dal tempo e che non è nell’interesse dell’Italia.

Una delle critiche più aspre mosse nei confronti del settore petrolifero è quella che oggi, anche grazie allo Sblocca Italia, si rischia una “petrolizzazione selvaggia” del territorio e dei mari italiani. È davvero così?

nave petroliera in navigazione a pieno carico
Una nave petroliera

Di sicuro sono state introdotte regole che permettono a chi vuole aprire pozzi petroliferi di avere procedure ambientali e di approvazione che sono delle autentiche autostrade. I limiti per le trivellazioni sono davvero limitati e lo stiamo già verificando con le autorizzazioni che sono state date in queste settimane. Userei il termine “strabismo” rispetto al Governo italiano e in particolare al Ministero dello Sviluppo Economico. Mentre per chi vuole aprire pozzi è aperta un’autostrada, per chi vuole realizzare un impianto eolico offshore sono chiuse le porte.

Il settore primario, così come quello turistico e ittico, sono molto importanti per l’economia italiana. E’ possibile garantire una pacifica convivenza tra il petrolio, l’agricoltura, la pesca e il turismo?

Noi pensiamo che si possa e si debba trovare una pacifica convivenza tra attività ittica, tutela della biodiversità e delle specie ittiche nel Mediterraneo. È una sfida molto delicata e su cui da anni esistono forti scontri, visti i problemi di alcuni pesci in estinzione e gli interessi dei pescatori. Molto è stato fatto in termini di crescita delle aree protette ma tantissimo deve essere ancora realizzato.

Aspirina, maschere per l’ossigeno, siringhe, computer e telefoni sono solo alcuni esempi di oggetti di uso comune che derivano dagli idrocarburi. Secondo lei, le energie rinnovabili sono già pronte a sostituire completamente i prodotti derivanti dallo sfruttamento delle fonti fossili?

Nessuno pensa che dall’oggi al domani si possa cancellare un’economia costruita intorno al petrolio. Però ci sono due strade che stanno producendo risultati significativi. La prima riguarda il recupero di materie prime, attraverso filiere di raccolta differenziata che stanno dando risultati sempre più importanti. La seconda riguarda le prospettive della chimica verde, che oggi vedono da un lato attori industriali importanti in campo, come Novamont e Eni, e dall’altra una ricerca applicata e cantieri in corso sui biocombustibili di seconda generazione che stanno aprendo le porte alla creazione di vere e proprie bioraffinerie, con prospettive che appaiono di grande interesse. È dentro questa prospettiva che va letta l’uscita dalle fonti fossili.

 

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