
Come affrontare la fase 2 dell’emergenza coronavirus? Stress, depressione, incapacità di ricominciare con nuove regole di vita sono dietro l’angolo? L’intervista allo psichiatra Domenico Semisa
«Non è tempo di movida», ha detto con forza il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte giorni fa, commentando le scene di assembramenti soprattutto di giovani e giovanissimi postate sui social e che hanno fatto irruzione nei telegiornali. Ma se questa movida fosse il frutto della confusione che ci impedisce di accettare il fatto che col coronavirus la nostra vita è cambiata? Quanto c’è di incoscienza e quanto di tristezza profonda nei nostri comportamenti? Abbiamo rivolto queste ed altre domande al dottor Domenico Semisa, direttore del Dipartimento di Salute mentale della ASL provinciale di Bari, (la più grande di Puglia) e presidente della Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale, che già aveva analizzato per Ambient&Ambienti le strategie per affrontare gli effetti psicologici del COVID 19
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L’intervista

Dottor Semisa, cosa è cambiato dal tempo del lockdown alla fase 2?
«La fase 2 corrisponde alla liberazione dalla segregazione: prima si era prigionieri dentro, ora ci si trova fuori. E questo corrisponde sia a una situazione di carattere fisico (prima si poteva uscire meno, ora si può uscire più facilmente), sia a una situazione di carattere psicologico, cioè prima ci si sentiva costretti da una serie di regole, mentre ora sembra quasi che si veda la luce della libertà. Da qui il timore del liberi tutti, che è una reazione psicologica piuttosto che un problema di regole più o meno restrittive stabilite dal Governo.»
Può essere più preciso?
«Quando in tv medici, scienziati e politici dicono di temere il liberi tutti, non si riferiscono alla voglia o alla decisione di trasgredire. Temono la reazione psicologica, il fatto che, ridotta la tensione perché sembra che il virus colpisca meno e perché le leggi sono meno restrittive, la persona tende a sentirsi libera, cosa che può comportare una serie di problemi. Al di là di quelli fisici (il rischio di contagio), emergono problemi di disorientamento e di difficoltà a “prendere la misura” delle nuove situazioni, abituati come si era alle vecchie situazioni. E’ un po’ un fenomeno di abbagliamento: chi è stato sempre al buio e a un certo punto viene esposto bruscamente alla luce avrà dei giovamenti dal passaggio dal buio alla luce, ma la su prima reazione sarà quella di spaesamento, confusione, difficoltà a recuperare il senso e i limiti delle cose.»
“Il tempo della confusione”
A quali rischi possiamo andare incontro in queste settimane di fase 2?
«La prima reazione è quella della confusione legata al dover cambiare repentinamente schemi di riferimento e al dover tornare a una vita, o meglio, doversi affacciare a una vita cui ci si era disabituati, diversa da quella della segregazione. La confusione si declina in tante maniere diverse. Può consistere anzitutto nel non avere ben chiaro in quale misura si torna a come si stava prima: questo vuol dire che dobbiamo recuperare le vecchie abitudini, se non proprio crearne di nuove, e rimetterci in campo. La persona non sa in cosa sperare e a cosa si deve sforzare di adattarsi,non sa se tornare alle vecchie regole o costruirne di nuove. E la sollecitazione a costruire nuove regole è anch’essa una sollecitazione confusa, con poche linee direttive chiare: questo perché il COVID-19 ha cambiato la nostra vita, non soltanto sul piano dei comportamenti, delle regole (pensiamo al distanziamento), ma anche sul piano dei significati e dei simboli.»
Può fare qualche esempio?
«Pensiamo al significato di termini come positivo e negativo. Nell’accezione comune positivo è un termine che si associa a i valori, a cose belle, al sorriso. Negativo è un termine che indica un disvalore. Col coronavirus i significati sono capovolti: positivo è pericoloso, negativo è buono.
«Ma ci sono altri significati capovolti come il concetto distanza/vicinanza. Distanza vuol dire disaffezione, freddezza, poca propensione alle relazioni sociali, ha una connotazione negativa; vicinanza è un qualcosa fatto di calore, di affetto. Con la pandemia è il contrario: la distanza è un valore positivo, la vicinanza è un valore negativo».
L’uomo è ancora un animale sociale?

«Pensiamo anche al modo di considerare gli altri: l’uomo è per sua natura è un animale sociale, cioè è portato naturalmente ad andare verso gli altri. L’esperienza del coronavirus invece, ha introdotto elementi paranoici, per cui io devo diffidare dell’altro, perché è un potenziale untore, quindi devo stargli lontano, scansarlo se tende ad avvicinarsi. Tutto questo comporta la necessità di dover attribuire alle parole e alle situazioni nuovi significati cui non siamo abituati e che non sono nemmeno tanto chiari».
Quando tutto sarà finito ci ritroveremo cambiati?
«Da qualche tempo ci stiamo facendo tante domande: quanto durerà questa situazione? Verso dove stiamo andando? Quando sarà finito tutto torneremo come stavamo prima o no? E insieme alle domande che ci facciamo, cerchiamo di capire come comportarci. Ad esempio dobbiamo immaginare un modo nuovo di salutarci, di avere a che fare gli uni con gli altri. Noi siamo abituati a salutarci stringendoci la mano, abbracciandoci e baciandoci. Torneremo a farlo o ce ne dobbiamo scordare e la nuova abitudine sarà quella di salutarsi col gomito? Questi sono vari elementi che producono in noi confusione».