
Il cammino Shikoku Henro, in Giappone, un’esperienza a contatto con la natura, nel racconto del foggiano Alessio Romito
Alessio Romito vuole diventare un cittadino del mondo, ma senza dimenticare le proprie origini. Un giovane foggiano trapiantato per lavoro in Germania, a Berlino, sta lavorando sodo per centrare l’obiettivo. Laureato in Fisica a Ferrara si è catapultato nella capitale tedesca iniziando a lavorare nel suo fitto sottobosco di start-up, che gli hanno garantito un ingresso diretto nel mondo del lavoro, senza pagare il dazio di stage o tirocini gratuiti come da tradizione italica. Animo scout (era nel Gruppo Foggia 1° FSE) si è misurato prima con il Cammino di Santiago, nel 2013; dopo aver risparmiato forze e risorse, si è “regalato” (perché vive questa esperienza come un dono) un periodo sabbatico di sei mesi per dedicarsi – mappe, scarponi e zaino in spalla – al cammino Shikoku Henro, in Giappone. Una vera avventura, raccontata giorno dopo giorno attraverso dirette Facebook (quando ha una connessione disponibile e stabile) e tramite il suo diario di bordo . Ambient&Ambienti lo ha raggiunto per farsi raccontare la sua esperienza.

Alessio, come è nata l’avventura del cammino in Giappone?
«Ho sentito parlare dello Shikoku Henro quando ero in Spagna, sul Cammino di Santiago. Da subito l’idea mi ha appassionato ed è rimasta nella mia mente, affamata da tempo dall’idea della Strada, quella con la “S” maiuscola. Una fame che nasce parecchi anni fa, quando ho iniziato le mie attività scout con il gruppo Foggia 1° FSE. Per tre anni ho lavorato in Germania, risparmiato, e infine aspettato l’occasione giusta per lasciare il mio lavoro e partire. È la prima volta che viaggio fuori dall’Europa e desideravo qualcosa di speciale, un’avventura in piena regola. Questo pellegrinaggio mi è sembrata la scelta migliore».
Cosa caratterizza il cammino Shikoku Henro?
«Lo Shikoku Henro, abbreviato “o-henro”, è un pellegrinaggio buddista che si snoda attorno all’isola di Shikoku e collega 88 templi tra loro. Ha più di mille anni di storia e può essere paragonato per molti versi al nostro Cammino di Santiago. Ovviamente tra i due ci sono numerose differenze, prima tra tutte il fatto che non importa “come” si completa, non importa l’ordine in cui si visitano i templi o come si raggiungono (a piedi, in autobus o in qualunque altro modo). Ogni pellegrino è libero di fare ciò che vuole ed è sbagliato sentirsi “superiori” solo perché si evita di prendere mezzi o scorciatoie. Ciò che importa è raggiungere un tempio, rispettare il luogo, pregare (se si è credenti), farsi timbrare un piccolo libro e rimettersi in marcia».
Due mesi circa da solo, a contatto solo con l’ambiente e terre nuove da scoprire, lontano da tutto ciò che caratterizza la quotidianità. Con quale spirito hai intrapreso questa avventura?

«Sentivo il bisogno di rompere la routine lavorativa e cittadina. Dopo un po’, il ciclo casa-lavoro diventa alienante e drena tutta l’energia, la creatività e l‘intraprendenza. Il modo in cui mi piace voltare pagina è affrontando un viaggio come questo, con spirito di curiosità e una grande dose di tenacia. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo su queste terre, e ogni giorno devo mettere un piede davanti all’altro senza pensare a quante ore siano ancora necessarie per arrivare a destinazione».
Al tuo ritorno, quale immagine di bellezza porterai di questa esperienza?
«Gli abitanti di Shikoku, senza dubbio. Alcuni di loro, quando si accorgono che sei un pellegrino straniero, si fanno in quattro per aiutarti: ti regalano dolci, bevande e anche soldi. I commercianti ti lasciano del cibo extra, un contadino ti offre un passaggio fino al prossimo tempio, e così via. Chiamano ognuno di questi doni osettai. È un atto religioso: attraverso te esprimono la loro fede. Riescono a scaldarti il cuore perché non te l’aspetti mai e non vogliono niente in cambio. Un sorriso, un grazie ed un piccolo inchino rende loro felici. È una grande lezione di umanità che non voglio dimenticare».
(le foto sono di Alessio Romito)