Una nuova manifestazione a Taranto: stop inquinamento, basta vittime innocenti

arcelor mittal

Intervento del presidente di Peacelink Alessandro Marescotti: “Il momento delle scelte è arrivato e i cittadini di Taranto che scendono in piazza sanno di avere dalla propria parte tutte le ragioni che il potere politico non ha”

Alessandro Marescotti è nato a Taranto dove vive e insegna in una scuola media syperiore. E’ tra i fondatori di PeaceLink, una rete telematica ecopacifista di cui è attualmente presidente. Autore di numerosi  libri, da anni si occupa di inquinamento da diossina della sua città, cittadinanza attiva e democrazia. Con i suoi studenti ha proposto nel 2011 una legge per la certificazione degli alimenti “dioxin free”.

 «La manifestazione di Taranto del 26 febbraio si svolge in un momento unico: Mittal sta lasciando Taranto. Tutti i segnali vanno verso questa prospettiva. Il gigante d’acciaio è in crisi e collassa per le ingenti perdite.

Chi manifesta quindi non ha quindi di fronte una granitica multinazionale che vuole imporre il proprio potere. Non c’è un piano per inquinare per un cinico calcolo di profitto. Nulla di tutto questo. ArcelorMittal ha detto chiaro e tondo che a Taranto non riesce a fare profitti e vuole abbandonare l’acciaieria. I numeri sono drammatici: la multinazionale ha perso qualcosa come due milioni di euro al giorno.

“Conviene continuare a produrre? Per Mittal no”

Alessandro Marescotti

Conviene continuare a produrre in queste condizioni? Mittal ha detto no. Ma il governo vuole la produzione a tutti i costi. E’ un diktat tutto politico e privo di logica economica. Basta infatti fare un semplice calcolo e dividere questi due milioni di euro per quindicimila lavoratori (in realtà nell’ILVA sono solo 11 mila a cui vanno sommati 3 mila dell’indotto). Dividendo 2.000.000 per 15.000 viene 133 euro. Ossia questa produzione in perdita costa a ArcelorMittal 133 euro al giorno per ogni operaio. Per dare un’idea più chiara e comprensibile, ogni lavoratore costa ad ArcelorMittal 4 mila euro al mese. E’ uno sproposito. Per questo la più grande multinazionale dell’acciaio del mondo va via da Taranto. A trattenerla per la giacca è solo il governo. Anzi potremmo dire che a trattenere Mittal c’è lo Stato al suo completo, dato che nella controversia si sono inseriti anche pezzi di magistratura che hanno ravvisato nella ritirata di Mittal materia penale su cui indagare. Addirittura.

Contro chi scendono in piazza i cittadini?

Siamo al paradosso che nella marcia del 26 febbraio i cittadini non scendono in piazza contro Mittal che li minaccia ma contro lo Stato italiano che viceversa li dovrebbe tutelare dall’inquinamento ambientale. I cittadini di Taranto di trovano così a scendere in strada per l’ambiente e la salute avendo come unica controparte il potere politico, incarnato da un governo che – contro ogni logica ed evidenza economica – chiede al gigante d’acciaio di continuare a produrre e a inquinare una città stremata.

La controparte dei cittadini che il 26 febbraio scendono in piazza è quello Stato che avrebbe l’obbligo di applicare la sentenza della CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani), una recente sentenza di sonora condanna dell’Italia inadempiente e matrigna verso i suoi cittadini, cittadini inermi e intrappolati in un quartiere della morte, il quartiere Tamburi di Taranto. Lo Stato invece di proteggerli persiste nel far produrre in barba al principio di precauzione. Quante persone moriranno con questo gioco pericoloso? Quando arriverà il picco dei tumori? Bocce cucite nel governo. Silenti anche i pentastellati un tempo impegnati per la chiusura dell’ILVA. Ma le contraddizioni e le incoerenze attraversano rovinosamente l’intero panorama politico.

“L’ILVA continua a inquinare e ad accumulare perdite spropositate”

E soffermiamoci adesso sulla condanna della Corte di Strasburgo. La CEDU ha infatti condannato lo Stato italiano per non aver protetto i diritti umani dei cittadini di Taranto (si veda l’articolo di Lidia Giannotti ) . E a questa condanna seguirà a breve il monitoraggio da parte dell’Europa. Ma il potere politico agisce in direzione opposta, in modo compatto, con tutti i partiti in Parlamento privi di soluzioni ma unanimemente convinti che è meglio continuare a produrre, fino anche ad aumentare la produzione (con quali richieste del mercato non è dato sapere). Tutti allineati a declamare un miraggio irraggiungibile a cui ha smesso di credere Mittal ma che il governo a parole dice di voler raggiungere: una produzione in attivo, con profitti capaci di alimentare gli investimenti ambientali. E intanto la realtà è un’altra. L’ILVA continua a inquinare e ad accumulare perdite spropositate.

Come non definire questa situazione a dir poco surreale?

“Una contraddizione evidente”

“ArcelorMittal ha detto chiaro e tondo che a Taranto non riesce a fare profitti e vuole abbandonare l’acciaieria”

Il professor Carlo Maria Cipolla, scrivendo un breve saggio sulle leggi della Stupidità Umana, ha individuato la terza legge della Stupidità. In base ad essa si può definire stupido chi procura un danno agli altri senza ottenere un vantaggio per sé. Ed è proprio quello che sta accadendo oggi a Taranto. Infatti non si inquina in cambio di un vantaggio nazionale o di un profitto (che, come si è visto, non c’è). Taranto e i suoi cittadini non vengono sacrificati per un ben definito vantaggio nazionale (gli industriali comprano acciaio da chi lo vende a minor costo, quindi non comprano quello italiano se costa di più). Cosa sorregge quindi questa condotta del governo ma anche dell’opposizione? Il tutto si regge solo sul tatticismo politico: nessuna forza politica ha preparato un piano B. Tutti tuttavia promettono magnifiche e progressive sorti che mai arriveranno, alimentando illusioni sia fra gli operai sia fra i cittadini, mentre la fabbrica affonda fra i debiti. La politica della demagogia si è trovata quindi spiazzata per la scelta “razionale” di Mittal di andare via. Il potere politico, privo di ogni plausibile giustificazione, punta sulla carta patriottica: l’ILVA è strategica per la Nazione. Una pietosa bugia. Come si fa infatti a consegnare un’industria definita di interesse strategico nazionale a una multinazionale straniera?

Siamo quindi di fronte a una contraddizione evidente che nasconde una scomoda verità: il governo italiano, se potesse, donerebbe l’ILVA anche ai marziani pur di liberarsi di una patata bollente.

E poi c’è un attore nascosto ma esigente. Pochi parlano della malcelata pressione del pool di banche italiane. Esse vogliono ritornare in possesso delle centinaia di milioni di euro prestate al governo per il salvataggio impossibile dell’ILVA. Le banche creditrici hanno concesso allegramente prestiti su sollecitazione dei passati governi. Ora richiedono indietro i loro soldi ed esigono che il governo trovi un nuovo acquirente, che non si farà avanti perché nessuno si vuole indebitare.

“Una storia di fallimenti”

Quindi l’ILVA degli ultimi anni è una storia di fallimenti e il 26 febbraio chi scende in piazza ha ragioni da vendere per chiedere uno stop a questa rovinosa vicenda che ha lasciato sul terreno tanti morti, tantissimi feriti e una montagna di debiti.

Ma quanti morti ha provocato l’ILVA?

Per l’impatto che l’ILVA ha avuto sulla salute pubblica rimando alla rivista Epidemiologia & Prevenzione che ha pubblicato (anche online) lo studio condotto da F. Mataloni A. Biggeri, F. Forastiere, M. Triassi et al. per il GIP del Tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, nel corso del procedimento riguardante l’Ilva di Taranto (R.G.N.R. N. 938/10 – 4868/10 G.I.P. N. 5488/10 – 5821/10). Sempre sulla stessa rivista è stata recentemente pubblicata la VIIAS (Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario) che valutato come rischio sanitario “non accettabile” anche la produzione attuale.

Molti ritenevano, anche nell’ambito dell’ambito delle associazioni ambientaliste accreditate a livello nazionale, che produrre “solo” 4,7 milioni di tonnellate anno di acciaio (anziché 8) provocasse un inquinamento contenuto e “accettabile” in termini sanitari. La posizione dell’ambientalismo “moderato” era quella di scongiurare l’aumento di produzione e di tenere saldo il principio che la produzione ridotta fosse il male minore e tutto sommato accettabile. E invece no. Su questo rinvio a quanto già scritto sul sito di PeaceLink .

“Un fermento culturale”

Infine va detto che è interessante l’appello alle scuole – lanciato dagli organizzatori – affinché le scuole adottino moralmente l’iniziativa del 26 febbraio. L’”adozione morale” è in linea con un interessante processo di mobilitazione culturale che vede molte scuole di Taranto e provincia attente all’educazione ambientale e alla cittadinanza attiva. Sono ormai lontani i tempi in cui i bambini venivano portati all’ILVA a fare il tour scolastico. Oggi circa quaranta scuole aderiscono alla rete Ecodidattica che sta formando i docenti alla sostenibilità ambientale e all’Agenda ONU 2030. Questo processo è accompagnato da un fermento culturale globale che vede Taranto al centro dell’attenzione. E’ un fermento che riguarda la musica (Diodato a Sanremo), il cinema, i libri e altro ancora.

“Il momento delle scelte è arrivato”

taranto inquinamento
“E’ un momento di forza per i cittadini, è il momento in cui cuore e ragione convergono, e persino l’economia fa piegare le gambe al gigante d’acciaio”

Forse stiamo andando verso una nuova prospettiva di consapevolezza. Alla terza legge della stupidità del prof. Cipolla sta subentrando la coscienza di un modello industriale insostenibile e illogico. A un modello di sviluppo che lo stesso mercato non premia più neppure con la logica del mero profitto sta subentrando lo scenario problematico di una riconversione basata su alternative intelligenti. Anche perché l’ILVA minaccia anche il clima, con i suoi vecchi camini e le sue centrali termoelettriche che immettono in atmosfera dieci milioni di tonnellate anno di anidride carbonica. E’ la prima fonte in Italia di gas serra, è un “Climate Monster”.

Il 26 febbraio in piazza Immacolata alle ore 17 tutte queste ragioni si tengono per mano e chiedono al governo di fare scelte sensate e razionali, mettendo da parte ogni demagogica promessa. Il momento delle scelte è arrivato e i cittadini di Taranto che scendono in piazza sanno di avere dalla propria parte tutte le ragioni che il potere politico non ha. E’ un momento di forza per i cittadini, è il momento in cui cuore e ragione convergono, e persino l’economia fa piegare le gambe al gigante d’acciaio.

(Le frasi in grassetto sono a cura della redazione)

 

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