TTIP, PIL e OGM: tre sigle, troppi svantaggi

Gi svantaggi della sottoscrizione del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra UE e Stati Uniti d’America sarebbero eccessivi rispetto ai vantaggi di cui entrambe le aree ma soprattutto l’Italia, potrebbero godere

Perché gli svantaggi della sottoscrizione del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra UE e Stati Uniti d’America sarebbero eccessivi rispetto ai vantaggi di cui entrambe le aree potrebbero godere?

L’accordo in questione, il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti, inizialmente denominato Zona di Libero Scambio Transatlantica e le cui trattative sono iniziate nel 2013, è stato riconosciuto come il più grande della storia (una vera e propria “Nato economica”). Infatti se esso andrà in porto, nascerà l’area di libero scambio più grande mai esistita, poiché UE e USA rappresentano circa la metà del PIL mondiale e un terzo del commercio globale.

L’obiettivo primario è quello di integrare i due mercati, riducendo i dazi doganali e rimuovendo, in una vasta gamma di settore, le barriere non tariffarie, cioè tutto ciò che concerne le differenze dei regolamenti tecnici, delle norme e procedure di omologazione, degli standard applicati ai prodotti e delle regole sanitarie e fitosanitarie vigenti nei Paesi membri. Almeno sulla carta, il progetto sembrerebbe assai allettante e foriero di ottime prospettive in termini economici ma esso possiede delle pecche che parte di esperti e studiosi hanno ritenuto opportuno rilevare e diffondere.

Il governo tedesco di Angela Merkel finora è stato uno dei maggiori sostenitori del progetto TTIP, tant’è che la cancelliera, tempo fa, in occasione di una visita a Washington, aveva proprio dichiarato di voler definitivamente smantellare le barriere commerciali con gli USA

Cominciando dai punti chiave dell’accordo, esso, ne prevede tre: l’eliminazione dei dazi e delle barriere non tariffarie (come sopra anticipato), la semplificazione della compravendita di beni e servizi fra le due aree e la crescita economica delle due macro aree, con la conseguente creazione di nuovi posti di lavoro. Affinché detti punti possano essere attuati occorre una deregulation che passi per l’armonizzazione delle norme su commercio, ambiente, salute e lavoro.

Da ciò salta subito agli occhi la pecca principale di tutto il sistema: l’incentivo principale all’esportazione di beni e servizi reciproca si fonda sulla deregulation e sull’eliminazione delle barriere non tariffarie, appunto, cioè sull’eliminazione dei divieti di importazione e delle tasse esistenti, relative soprattutto al mercato alimentare, alla biotecnologia, alla chimica e alla cosmetica, settori particolarmente delicati in termini di sicurezza. Queste barriere, invece, sono state “salvifiche”, perché finora hanno impedito l’ingresso sconsiderato di carne agli ormoni, pollo allevato con il cloro, giocattoli con gli ftalati, cibo con residui di pesticidi e, soprattutto, degli OGM!

Ma gli svantaggi non finiscono qui. La liberalizzazione dei servizi implicherebbe anche il possibile ingresso di aziende private statunitensi nella gestione dei nostri servizi essenziali, quali quelli delle risorse idriche, dei rifiuti e della sanità. E ancora, in caso di controversie, i tribunali nazionali sarebbero esautorati dalla loro normale competenza: infatti essa passerebbe alla figura dell’investor to state dispute settlments, per cui un qualsiasi soggetto privato potrebbe denunciare un governo per i mancati profitti derivanti dalle politiche sociali da esso applicate (si pensi, infatti, alla Philip Morris che attualmente si sta rivalendo sui governi uruguaiano e australiano, colpevoli di aver introdotto una politica restrittiva anti fumo.

L’incentivo principale all’esportazione di beni e servizi reciproca si fonda sull’eliminazione dei divieti di importazione e delle tasse esistenti, relative soprattutto al mercato alimentare, alla biotecnologia, alla chimica e alla cosmetica, settori particolarmente delicati in termini di sicurezza. Queste barriere, invece, sono state “salvifiche”, perché finora hanno impedito l’ingresso sconsiderato di carne agli ormoni, pollo allevato con il cloro, giocattoli con gli ftalati, cibo con residui di pesticidi e, soprattutto, degli OGM!

Uno di dati da riscontrare, anche se non in termini smaccatamente svantaggiosi, è che il governo tedesco di Angela Merkel, finora è stato uno dei maggiori sostenitori del progetto, tant’è che la cancelliera, tempo fa, in occasione di una visita a Washington, aveva proprio dichiarato di voler definitivamente smantellare le suddette barriere commerciali, per fornire maggiore impulso all’economia. Ciò a dimostrazione di come, anche in questo caso, gli USA stanno completamente con i più forti d’Europa e sarebbe utile capire meglio la posizione dell’Italia in tal senso.

Nel mentre, dobbiamo solo attendere che il tutto si compia, in un’aurea di beata ignoranza, visto che il contenuto specifico dei negoziati è, ovviamente, protetto da riservatezza, per cui le sue fasi essenziali non potranno essere rese note, lasciando un po’ in balia delle onde alcuni aspetti connessi soprattutto alla tutela delle filiere produttive locali (e questo interessa molto all’Italia). Per di più, posto che il sistema europeo presenti ammortizzatori sociali più solidi rispetto a quelli statunitensi, l’area di libero scambio potrebbe minare anche quel poco di welfare che è sopravvissuto negli anni in Europa e, dal punto di vista normativo, la deregulation potrebbe creare grandi vuoti normativi a vantaggio delle aziende più potenti. Infine, non ci è dato neanche sapere se esista una clausola di salvaguardia che permetta all’Italia di tutelarsi nel caso in cui i vantaggi attesi non si verifichino in concreto.

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