
L’elezione del presidente degli Stati Uniti d’America è un evento che catalizza l’attenzione di tutto il mondo. In special modo in questo momento storico, dove ai cambiamenti climatici si sovrappone la pandemia Covid-19, è importante sapere quali politiche ambientali seguirà la più grande democrazia del mondo
Donald Trump o Joe Biden? Gli Stati Uniti hanno deciso. Questione di poco e sapremo (ma in fondo lo si sa già) se l’inquilino della Casa Bianca dovrà semplicemente dare una spolverata agli ambienti o se cambiare tendaggio e mobilia. Le elezioni presidenziali americane sono il giunto di cardano della politica mondiale. Nel planisfero politico la nazione a stelle e strisce ha un peso troppo rilevante per camminare da sola. Soprattutto sulle questioni ambientali. La presidenza Trump ha abbracciato la filosofia del negazionismo climatico, favorendo datate politiche industriali legate ai principi del taylorismo e del fordismo. Biden persegue altresì l’idea di una rivoluzione energetica: vuole soppiantare l’industria petrolifera a favore delle energie rinnovabili. Vediamo i programmi ambientali dei due sfidanti al soglio dello studio ovale.
Vince Biden: ok all’Accordo di Parigi
Gli Stati Uniti devono combattere l’inquinamento e il riscaldamento globale: è un dovere morale. Questo è il Biden pensiero. Dopo la Cina, gli USA sono il paese più inquinante del mondo. Poco prima delle elezioni presidenziali, Trump ha formalizzato l’uscita degli States dall’Accordo Climatico di Parigi del 2015, sottoscritto da Barack Obama durante il suo secondo mandato. In caso di vittoria, Joe Biden ha assicurato che gli Stati Uniti non solo non lasceranno l’Accordo, ma daranno vita ad un ambizioso programma di investimenti di 2 trilioni di dollari in dieci anni, con lo scopo di portare a zero l’emissione netta di gas serra degli Stati Uniti entro il 2050. L’ex vicepresidente degli Stati Uniti punta a costruire un’economia più resiliente e sostenibile, che metterà gli Stati Uniti su un percorso irreversibile per raggiungere l’obiettivo emissioni zero. Come? Innanzitutto, al centro di questo progetto ci sono le persone. Per costruire una nuova infrastruttura su un’economia che poggia le sue basi sull’energia pulita, serviranno milioni di operai edili qualificati e ingegneri. Nuovi posti di lavoro per i giovani e nuove opportunità per i lavoratori più anziani, che non saranno sostituiti ma integrati in nuovi percorsi lavorativi legati alla green economy.
Infrastrutture e settore energetico per creare lavoro

Il programma ambientale di Joe Biden si regge essenzialmente su due pilastri. Ricostruire e ammodernare le infrastrutture americane: dalle strade ai ponti, ai sistemi idrici alle reti elettriche, fino alla banda larga universale. Tutto in un’ottica green. Questo, per meglio affrontare i cambiamenti climatici e consentire ai cittadini di migliorare l’accesso all’acqua e all’aria pulita. Per il settore energetico punta alla creazione di un indotto made in USA capace di produrre energia pulita libera dal carbonio, entro il 2035. Nei piani, tutto ciò porterà a creare una leadership mondiale degli Stati Uniti nel settore delle energie rinnovabili. Grande attenzione è data anche al settore automobilistico. Il programma punta alla mobilità elettrica e prevede la creazione di un milione di posti di lavoro, spalmati su tutto l’indotto generato. Nelle città con 100.000 o più residenti sarà realizzato un sistema di trasporto pubblico ad emissioni zero: verranno create più aree pedonabili e ciclabili e il trasporto pubblico sarà elettrico. Il programma prevede di migliorare la qualità e l’efficientamento energetico in 4 milioni di edifici già esistenti e di costruire 1,5 milioni di edifici che rispettino parametri di sostenibilità. Infine, Biden sottolinea la necessità di dare ampio margine di azione alla giustizia ambientale, che deve garantire la salvaguardia del territorio, delle persone e del loro lavoro.
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Vince Trump, USA fuori da Accordo di Parigi

Donald Trump non ha mai fatto mistero della sua intenzione di sganciare gli Stati Uniti dall’Accordo Climatico del 2015. Già nel 2017, espresse la volontà di abbandonare gli impegni presi e così è stato. Se dovesse vincere, il suo secondo mandato inizierà come si è concluso il primo: fuori dagli accordi parigini, ma soprattutto senza una politica ambientale capace di guardare al mondo, non solo agli interessi americani. Il tycoon non è amico dell’ambiente. Nel 2018, lasciò in anticipo il G7 organizzato in Canada e non firmò il documento finale che vedeva, invece, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Gran Bretagna e Unione Europea riaffermare il loro forte impegno ad attuare l’Accordo di Parigi sul Clima. Nel corso della sua presidenza, ha messo a capo dell‘EPA – Enviromental Protection Agency (Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente) Andrew Wheeler, negazionista dei cambiamenti climatici e personaggio vicino alle lobby del carbone. Trump ha di fatto aperto alle lobby del petrolio e del gas la strada alla ricerca degli idrocarburi nell’Artic National Wildlife Refuge, area naturale protetta degli Stati Uniti che si trova nella zona nord-orientale dello stato dell’Alaska. Su proposta del Dipartimento degli Interni, ha autorizzato la perforazione offshore di petrolio e gas, su una superficie di 78 milioni di acri nel Golfo del Messico. Ha finanziato progetti relativi al carbone e all’energia fossile, facendo realizzare gasdotti come il Keystone XL e il Dakota Access; ha annullato la moratoria di Obama sui nuovi contratti di locazione per lo sviluppo di petrolio e gas su terre federali. Ha abolito il Clean Power Plan, voluto da Obama, un piano volto ad incidere sulla strategia energetica nazionale degli USA riducendo le emissioni di gas serra dal settore della produzione di energia elettrica.