
Tra terremoti e dissesto idrogeologico, la politica e gli amministratori locali devono agire in fretta per evitare altre tragedie e permettere all’ambiente, devastato dall’intervento umano, di rigenerarsi
Dopo 40 anni da quella sera del 23 novembre 1980 è cambiato molto poco. Erano quasi le ore 19.35, quando per 90 secondi la terra tremò come mai aveva tremato in Irpinia. Le zone colpite dal sisma, di magnitudo 6,9 con epicentro tra Campania e Basilicata, in un’area di 17mila kmq che ha interessato anche parte della Puglia, che causò 280mila sfollati, quasi 9mila feriti e circa 3mila morti, oggi sono praticamente come allora. La ricostruzione procede a passo di lumaca, è stato fatto pochissimo. C’è gente che vive ancora nelle strutture temporanee messe a disposizione allora dallo Stato. I soldi stanziati allora e nel tempo sono stati dirottati più volte verso altre esigenze, manovre losche, interessi politici anche di bassa lega, e una speculazione sulla tragedia senza precedenti, che ancora oggi non ha eguali. Tante anche le inchieste giudiziarie. Ben 70 Comuni sono stati completamente distrutti, che sono poi diventati 687 per poter ricevere indebitamente fondi pubblici per una ricostruzione inconsistente.
Il terremoto in Irpinia ha evidenziato la fragilità e la fatiscenza del patrimonio edilizio italiano, e l’assenza di una macchina organizzata dei soccorsi e della Protezione civile che è stata costituita proprio a seguito del sisma.
La cultura del rischio meta ancora lontana
«Negli ultimi 500 anni abbiamo avuto in Italia 88 terremoti distruttivi. Il 70% della sismicità che conosciamo si concentra nell’Appennino. Dall’Unità d’Italia i disastri sono stati ben 36. La cultura del rischio è una meta ancora lontana. Dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, furono avviati estesi studi in diversi settori disciplinari quali la storia, geologia, sismologia e ingegneria, che hanno segnato un’importante stagione di ricerca e raggiunto rilevanti risultati. Fra questi, lo studio di terremoti della millenaria storia italiana ha messo in evidenza i caratteri sismici del Paese e gli elementi che ancora oggi concorrono a fare dei forti terremoti un nodo cruciale: alta vulnerabilità dell’edificato, alta frequenza delle distruzioni e scarsa qualità delle ricostruzioni storiche. Queste conoscenze non si sono tradotte in una cultura del rischio: infatti oggi non c’è quasi domanda di sicurezza abitativa da parte della popolazione, anche nelle aree a maggior rischio sismico», ha dichiarato Emanuela Guidoboni sismologa dell’INGV, intervenendo durante una Video-Conferenza “Irpinia 1980 – 2020: rischio sismico e resilienza in un Paese fragile”, organizzata da Società Italiana Geologia Ambientale e RemTech qualche giorno fa.
Ma i problemi e le ferite del territorio italiano non sono soltanto i terremoti, che sono eventi naturali che non si possono prevedere, ma anche il dissesto idrogeologico, provocato dalle modificazioni estreme del territorio da parte dell’uomo. La distruzione e le modificazioni dell’ambiente, e conseguentemente i cambiamenti climatici, provocano eventi atmosferici intesi o estremi che producono danni incalcolabili.
«È evidente che la drammatica emergenza provocata dal maltempo, ci impone una seria riflessione – spiega la presidente della Commissione Ambiente della Camera, Alessia Rotta, dopo l’ennesimo violento evento meteorologico che ha devastato alcuni Comuni italiani circa un mese fa – Quello che però ci serve adesso è un decisivo cambio di passo per uscire definitivamente dalla logica emergenziale. Il nodo vero è mettere in grado gli enti pubblici, locali, regionali e nazionali di poter presentare in maniera celere e certa progetti esecutivi e cantierabili. Dobbiamo costruire un sistema virtuoso in cui gli investimenti pubblici messi a disposizione siano effettivamente utilizzabili e non rimangano solo sulla carta. Progetti seri, piani certi, chiarezza nelle responsabilità e assoluta concretezza – conclude Rotta – sono le misure di cui abbiamo assoluto bisogno qui e ora, perché abbiamo di fronte a noi una grande occasione per attivare finalmente interventi strutturali volti non solo a mettere in sicurezza il nostro Paese, ma anche a disegnare un nuovo modello di sviluppo basato sul rispetto dell’ambiente».