Slow life, storia e antichi mestieri: sul Gargano torna la transumanza

Oltre 400 pecore hanno attraversato il Tratturo Foggia-Campolato, lungo circa 22 km.

La storia che si ripete.Una tradizione lontana, che affonda le sue radici nei secoli passati, e la volontà di un allevatore vecchio stampo di mantenere in vita una pratica che – in estate prima, ed in autunno poi – animava e anima tuttora i tratturi, quelle antiche vie di collegamento percorse nei secoli da milioni di armenti e da migliaia di pastori provenienti dall’Abruzzo e dal Molise nelle loro periodiche trasmigrazioni. Michele Turco, di San Giovanni Rotondo, è uno di questi. Un allevatore puro. Oggi ha 54 anni e da quando aveva dieci anni, al mutare di stagione, impugna il suo bastone e conduce le sue greggi a svernare. Proprio come faceva suo padre e ancor prima suo nonno. Ed è in questo modo che ogni anno, il 10 di ottobre, rinnova il rito della transumanza. Come ogni anno, all’alba del 10 ottobre, dopo aver trascorso l’estate nei fertili campi intorno all’aeroporto militare di Amendola, ha riportato il suo gregge di oltre 400 pecore nell’azienda zootecnica di famiglia, sulle colline ai piedi del comune garganico. Un percorso lungo circa 22 chilometri, che attraversa il braccio Cervaro-Candelaro e il tratturo Foggia-Campolato, fino a giungere a destinazione, nei pressi di Masseria Signoritti.

«Il tratturo Foggia-Campolato costituisce un percorso di grande interesse paesaggistico, ambientale e antropologico– spiega Michele Pesante, dell’associazione Tratturi e transumanze – lungo il quale si sono svolte vicende umane individuali e collettive, dove i segni sono riscontrabili sulle pareti delle masserie, delle chiese e dei muretti a secco». Lungo il tracciato, infatti, si incontrano vecchie taverne ormai diroccate e una chiesa rupestre abbandonata, «un vero e proprio ‘museo a cielo aperto’ che raccoglie, ad esempio, i graffiti dei pastori abruzzesi che, all’età di 10 o 12 anni, riportavano sui muri il proprio nome e cognome, i segni della loro età, della nostalgia per la propria terra e la sofferenza per i lunghi mesi trascorsi in condizioni proibitive nella Puglia Piana, lontani dagli affetti familiari».

Michele Turco da quasi cinquant’anni rinnova il rito della transumanza

Un appuntamento, quello con la rievocazione della transumanza, seguito con attenzione e curiosità da un numero sempre più corposo di persone, amanti della slow life, della storia e delle tradizioni locali. «Anche se i ritmi, i tempi e i linguaggi sono quelli segnati dalla tradizione, l’esperienza personale si rinnova ogni anno con connotati sempre diversi. Lungo il tratturo – spiega ancora Pesante – il passo lo stabilisce l’uomo, non la macchina e  il tempo acquista una dimensione diversa». Tutto ciò, scoprendo percorsi naturalistici, religiosi e turistici di una Capitanata nascosta, di una Puglia poco conosciuta.

Per oltre tre secoli e fino all’inizio dell’800, Foggia è stata sede della Dogana delle Pecore, istituita dal re Alfonso Primo d’Aragona per regolamentare il settore agricolo, l’allevamento e la transumanza nel Tavoliere, permettendo la riscossione dei tributi derivanti dal passaggio degli animali e dal diritto di pascolo. Nel celebrare e rinnovare questa tradizione, la transumanza della famiglia Turco si carica quest’anno di un significato ulteriore, essendo stata idealmente dedicata al 24enne Antonio Facenna, il giovane allevatore di Carpino morto un mese fa durante l’alluvione del Gargano. Facenna è stato travolto dal fango mentre cercava, disperatamente, di mettere in salvo gli animali della sua azienda, in località Coppa Rossa, dal fiume di acqua e detriti che ha devastato, con inaudita violenza, gran parte del promontorio ad inizio settembre.Ed è notizia recentissima la trasformazione in masseria didattica della masseria che Facenna seguiva. La sua giovane età unita al suo amore per un lavoro così antico e faticoso, infatti, ha fatto di Antonio un simbolo, il custode di un antico mestiere. Perché, come spiegava egli stesso sulla sua pagina Facebook, «essere allevatore è molto più di un mestiere: è uno stile di vita, è essere custodi di qualcosa che vale davvero la pena conservare».

(Le foto sono di Maria Grazia Frisaldi) 

 

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