Si apre una porta …

 

Lo slogan del Centro polifunzionale della Fondazione Giovanni Paolo II

22 giugno 2011: una data indimenticabile per quanti condividono, ormai da oltre 20 anni, l’avventura della Fondazione Giovanni Paolo II. Un’esperienza partita in sordina, all’indomani della storica visita di Papa Wojtyla a Bari: con la sua intelligenza e coraggio di profeta della modernità, il pontefice aveva auspicato un’inversione di rotta delle periferie urbane, fino ad allora perlopiù condannate all’esclusione sociale e alla marginalità territoriale e aveva concretamente contribuito ad avviare un progetto di presenza e di azione tese a restituire dignità alle famiglie e, in particolar modo, ai minori di quella dimenticata porzione di città che era il San Paolo, allora fortemente stigmatizzato con l’etichetta CEP (l’acronimo stava per centro di edilizia popolare ma il più delle volte e non a caso valeva per centro elementi pericolosi).

Inseguendo l’ispirazione del maestro – Il sogno di Giovanni Paolo II incontrò subito interlocutori altrettanto coraggiosi: Gianfranco Dioguardi, che regalò il

Il "pallone", la tensostruttura donata da Gianfranco Dioguardi

“pallone”, una tensostruttura che potesse almeno provvisoriamente ospitare le iniziative e le attività della nascente fondazione; insegnanti e assistenti sociali del quartiere che da tanti anni speravano di poter unire e forse con un progetto e un impegno comuni; volontari provenienti dalle più diverse organizzazioni e appartenenze; famiglie e giovani che a poco a poco si trasformavano da destinatari e utenti a protagonisti e collaboratori di un servizio teso a migliorare la qualità della vita del territorio locale.

In modo discreto e silenzioso il lavoro della Fondazione, guidata da don Nicola Bonerba – un esperto di quartieri a rischio, cresciuto e rimasto sempre radicato in quella Bari Vecchia dove la vita quotidiana non è mai facile e scontata per nessuno, meno che mai per un prete – ha consentito di costruire relazioni informali e reti di collaborazione istituzionale, formare competenze oltre che offrire servizi sociali, sperimentare novità nell’animazione del mondo della marginalità e valorizzare talenti da condividere e mettere a disposizione dell’intera comunità del San Paolo. Sempre con un occhio anche alle altre periferie della città, che ha prodotto negli anni una interessante migrazione nella circoscrizione Japigia – Torre a Mare.

Un momento dell'inaugurazione del nuovo centro polifunzionale

Una nuova casa, per tutti – In questo cammino, che ha visto anche una rara quanto preziosa sinergia fra la comunità civile e quella ecclesiale (basterebbe questo per dire che la Fondazione è un segno di contraddizione per una città gravemente malata di individualismo e di conflitti ideologici e politici), ci si è accorti, a poco a poco, che gli spazi non bastavano più, che era una grande complicazione disperdere in varie sedi di fortuna le diverse iniziative, che le risorse umane avevano bisogno di un punto di riferimento più visibile e certo. Ed ecco la decisione sofferta: buttar giù il pallone e su quelle macerie costruire una sede vera, adeguata alle necessità, funzionale al servizio che si intendeva offrire. Anni difficili e duri, alle prese con i soldi che sono sempre insufficienti ad un progetto ambizioso, con questioni amministrative complicate e impegnative, con problemi tecnici che sembrano quasi infiniti. E poi, finalmente, la nuova struttura prende forma e si definisce a poco a poco in mezzo alla case e alla gente del quartiere. Discreta quanto basta per non segnare una diversità che diventi distanza dalla vita quotidiana del San Paolo, ma anche ben visibile, perché tutti possano avvertire che la Fondazione è di tutti e per tutti. Non è un caso che all’inaugurazione, per l’appunto il 22 giugno, ci fossero tanti, i vecchi e i nuovi amici, insieme nello slogan che ha ritmato la giornata di festa e di riflessione, di memoria e di speranza sul futuro: Si apre una porta che ne apre altre cento.

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