Sarà il “vivere sano” che ci farà abbandonare l’idea del nucleare, guardando alle energie alternative e rinnovabili nelle giuste necessità energetiche.
Anni ottanta – Già negli anni ottanta, il tema del nucleare era molto sentito in tutti i campi della cultura e le università, rumorosamente abitate da studenti attenti, si adoperavano nell’organizzazione di eventi forti, molto adrenalinici, per interrogarsi.
No Nukes era lo slogan dominante in tutte le più importanti città italiane dopo la storica “cinque giorni” di New York contro il nucleare, tenutasi nel settembre del ’79. La festa al Madison Square Garden dal 19 al 23 settembre fu una festa di suoni, canzoni, jam sessions e intuizioni per un futuro in cui, come disse il musicista Stephen Stills, «…sia possibile costruire un’industria sulla forza benefica del sole…». La cinque giorni di No Nukes fu una Woodstock “per una causa”, per l’altra generazione, la nostra, quella dell’impegno sociale.
Tra ideali e politica – Sono riflessioni che hanno quasi trent’anni. Allora centrarono l’obiettivo di scatenare in noi una passione, a metà tra gli ideali e la politica di tutti i giorni. In tale condivisione, in Italia, nell’estate del 1980, in molte facoltà, quelle di Architettura in particolare, s’improvvisarono week-end contro il nucleare. L’esperienza torinese, ospitata nel Castello del Valentino, fu un’esperienza oltre misura. All’invito del week-end No Nukes, 48 ore non-stop di rock contro il nucleare, si prevedeva una partecipazione “urbana” di circa mille ragazzi, ma quando i primi manifesti formato A4, ciclostilati in bianco e nero, furono attaccati sui pali delle fermate dei tram, nelle stazioni ferroviarie, nei pub, nelle bacheche di tutte le facoltà, l’evento diventò biblico. I ragazzi arrivarono, con una gran voglia di stare insieme, di ascoltare buona musica, con l’intento di manifestare ma soprattutto di “capire”. Capire cosa volesse dire la parola “nucleare”.
Dalla facoltà di fisica molti si adoperarono a spiegarci, l’atomo, l’energia, le scorie radioattive, dell’onnipresenza di energia nella vita quotidiana. A noi giovani studenti di Architettura, prossimi a diventare professionisti nella società, tutto ciò incuriosiva, ma nello stesso tempo spaventava. Spaventava l’idea di dover dipendere dall’energia. Contestualmente vedevamo gli occhi lucidi di gioia degli studenti di ingegneria nucleare, fisica, edile, amici-nemici sotto lo stesso tetto del Politecnico. A noi spaventava ancor più l’idea del nucleare perchè in facoltà, nei corsi di Architettura e di Design si perseguiva l’idea della bio-architettura, architettura non tormentata dalla tecnologia, in controtendenza alla visione dei nostri amici-nemici ingegneri che iniziarono, già allora, la progettazione di edifici coperti con tetti fotovoltaici, facciate continue solari e pale eoliche. Percepivamo empaticamente che si stava diffondendo un’idea dell’architettura, in cui gli edifici iniziavano ad essere considerati come “malati continui”, da supportare con energia d’ogni tipo per rinfrescare, illuminare, riscaldare, ambienti interni ed esterni; eravamo – e lo siamo tuttora – restii all’idea di dover necessariamente vivere un edificio con “gesti elettronici”. Il design, nella sua scala minore, inchiodava ancor più questa filosofia, introducendo nelle case d’abitazione, dettagli e oggetti d’uso realizzati con materiali naturali.
Un pensiero nuovo e rivoluzionario – “Progettare per l’uomo e il mondo reale”, oltre al no nukes, era lo slogan che ognuno di noi portava in se e trasferiva nel proprio “fare architettura”, l’emozione d’immaginare, progettare e realizzare un mondo possibile senza l’eccessiva presenza d’energia, era ed è più emozionante di qualsiasi altro tema; l’Architettura e il Design tornavano ad essere, e lo sono tutt’ora, un pensiero Nuovo e Rivoluzionario.
Il problema non è “produrre più energia”, anche attraverso le energie alternative e rinnovabili; il problema, anzi la domanda da farsi era ed è: “…si può progettare, costruire, fare Architettura, consumando e producendo sempre meno energia?
La risposta è “Sì”. Si può realizzare Architettura con una minima necessità energetica, utilizzando idee, materiali e tecniche di costruzione consolidati nel tempo, nella “cultura del costruire”, cercando di capire le qualità intrinseche che hanno costituito l’Architettura, la vita e il benessere dei luoghi pubblici e privati delle nostre città.
E’ un nuovo modo di costruire le città, è sarà il “vivere sano” che ci farà abbandonare l’idea del nucleare, guardando alle energie alternative e rinnovabili nelle giuste necessità energetiche di una città, di una regione, di uno stato.