“Sfollati causa ambiente”: anche in Italia aumentano i migranti climatici

In aumento i migranti climatici

Tra gli effetti del cambiamento climatico c’è anche quello di provocare un aumento evidente di “migranti ambientali”. Sempre più gente  abbandona la propria terra perché costretta dalle condizioni di vita messe a dura prova dalle mutate temperature e da eventi catastrofici come le carestie e la siccità

In questi giorni Catania e Sharm El Sheikh sono più vicine di quanto si possa pensare. Anzi, sembrano una sola grossa realtà. Sul tavolo, infatti, il tema dei migranti climatici. Se da una parte, sulle sponde siciliane, le navi delle Ong Humanity 1 e Geo Barents tentano di sbarcare ma si fa la classifica su chi sia più fragile, in Egitto si discute di clima e migranti. Quale sia il collegamento è presto detto: proprio alla COP27 di Sharm El Sheikh l’ex vice-presidente americano Al Gore ha messo in guardia dalle probabili ricadute dei cambiamenti climatici sulla xenofobia a causa del grande aumento di profughi in futuro. Secondo le previsioni, nel 21° secolo potrebbero esserci “fino a un miliardo di migranti per il clima”.

E se il dato può sembrare esagerato al lettore inconsapevole, non lo è per gli addetti ai lavori. Basta vedere i numeri e in soccorso arriva il Dossier Statistico Immigrazione 2022, a cura di IDOS, in collaborazione con Centro Studi Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.

I dati

Cambiamento climatico e migranti

Alla fine del 2021, il mondo contava 89,3 milioni di migranti forzati, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente, arrivati a superare la soglia dei 100 milioni dopo l’invasione russa dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio. A questi si aggiungono i migranti forzati per cause climatiche, il cui numero resta per lo più non dichiarato, visto che in Italia e in Europa ai migranti climatici in quanto tali non viene riconosciuto lo status di rifugiato.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), negli ultimi 15 anni i disastri naturali sono stati la causa principale della maggior parte degli sfollamenti interni. Solo nel 2021 sono stati registrati 23,7 milioni di nuovi sfollati per cause ambientali, contro i 14,3 milioni prodotti dai conflitti. Tra i Paesi più colpiti: Cina, Filippine e India. Secondo la Banca mondiale, entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero arrivare a 220 milioni di persone.

Le differenze

Gli sfollati del clima sono invisibili per la legge, ma già presenti anche nei Paesi ad alto reddito, come quelli europei. Va però sottolineato che l’impatto del cambiamento climatico non è uguale per tutti. Una maggiore vulnerabilità può essere ricondotta sostanzialmente a tre fattori principali: geografico, ossia vivere in aree più fragili e maggiormente esposte agli effetti del riscaldamento globale; socio-economico, legati all’assenza di risorse e servizi, all’incapacità di adattarsi o prevenire gli impatti della crisi climatica-ambientale; fisiologico, connesso alle specificità di singole categorie (bambini, donne, anziani). In sintesi, a essere colpiti sono soprattutto i Paesi poveri e i poveri che vivono nei Paesi ricchi.

Se si guarda ai flussi migratori verso l’Italia, le nazionalità dichiarate dai migranti – si legge nel dossier – sono riconducibili ai Paesi che maggiormente stanno soffrendo la pressione del cambiamento climatico. Nel 2021 tra i primi Paesi di origine troviamo: Tunisia, Egitto, Bangladesh, Afghanistan, Siria, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea, Pakistan e Iran. Sono Paesi dipendenti dal grano russo e ucraino e aree del mondo allo stremo per la siccità intervallata da alluvioni, per l’innalzamento delle temperature medie e per le conseguenti carestie che stanno affamando decine di milioni di persone.

Ma chi è, concretamente, un migrante climatico? La migrazione climatica descrive un movimento di persone causato da un evento improvviso o progressivo dovuto alla crisi climatica. È da intendersi come una sottocategoria della migrazione ambientale, riferita a un evento più immediatamente ascrivibile ai cambiamenti climatici.

Leggi anche. COP27 e cambiamenti climatici, in Egitto momento cruciale per il futuro

L’allarme per i più piccoli

Un fenomeno che, ovviamente, coinvolge gli uomini di domani, ovvero i bambini di oggi.

Il report dell’Unicef

L”UNICEF ha pubblicato l’Indice di rischio climatico per i bambini (CCRI) della regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA), con particolare attenzione all’Egitto. L’Indice mette in luce la vulnerabilità dei bambini che vivono in molti Paesi della regione agli impatti dei cambiamenti climatici.

Il rapporto rivela che in relazione all'”esposizione agli shock climatici e ambientali”, l’Egitto si colloca nella categoria di “rischio estremamente elevato”, con un punteggio nell’indice di 7,3 (su 10) – il più alto della regione. L’Egitto è altamente esposto agli shock climatici e ambientali: ad esempio, si stima che 5,3 milioni di bambini siano esposti alle ondate di calore. Le temperature medie in Egitto sono aumentate di 0,53 gradi Celsius per decennio negli ultimi 30 anni. L’Egitto rientra tra i primi tre Paesi della regione in quattro parametri di rischio su sette.

In quattro Paesi in Medio Oriente e Nord Africa vivono bambini che affrontano rischi elevati o molto elevati di cambiamento climatico. Ciò significa che nel 2021 circa 86 milioni di bambini (0-17 anni) e oltre 34 milioni di giovani (15-24 anni) hanno dovuto affrontare questi rischiEntro il 2050, questi Paesi probabilmente avranno più di 103 milioni di bambini e 53,5 milioni di adolescenti che, in assenza di interventi immediati di mitigazione e adattamento, saranno più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. 

Parola ai bambini

Un allarme condiviso e rilanciato anche da un recente report di Save the Children, secondo cui quattro ragazzi su cinque in 15 Paesi dicono di vedere nella loro quotidianità gli effetti dei cambiamenti climatici o delle disuguaglianze economiche. Tra quelli intervistati in Italia, il 90% ritiene che gli Stati debbano lavorare insieme per fronteggiare il cambiamento climatico e il 77% ritiene che alcuni Paesi abbiano più responsabilità rispetto ad altri

Il questionario è stato parte di una più ampia consultazione, che ha coinvolto più di 54mila bambini e ragazzi in 41 diversi Paesi. I risultati sono stati raccolti in un nuovo rapporto innovativo sui cambiamenti climatici e le disuguaglianze che è stato pubblicato il 26 ottobre 2022 e che ha esaminato l’intersezione tra povertà e rischio climatico e l’impatto sui bambini di tutto il mondo.

La maggior parte degli intervistati (73%) ritiene che gli adulti – compresi i governi, le imprese e i leader delle comunità, molti dei quali partecipano alle riunioni del G20 e della COP27 – dovrebbero fare di più per affrontare questi problemi.

In Africa e in Medio Oriente gli intervistati hanno tracciato un collegamento tra il cambiamento climatico e l’aumento della fame, in particolare per i suoi effetti sull’agricoltura. E i ragazzi pensano che ci sia un nesso anche con l’aumento di alcune malattie – come, ad esempio, l’aumento della diffusione del colera – causati dall’esposizione al calore e dalla mancanza di accesso all’acqua. Anche l’inquinamento, la qualità dell’aria e i rifiuti sono stati tra le principali preoccupazioni sollevate a livello globale.

Cosa pensano in Italia?

In Italia, i partecipanti alla consultazione (317 di età compresa tra i 10 e i 25 anni) identificano nelle ondate di calore estremo (78%), nella siccità (68%) e negli incendi (44%) i principali disastri climatici che colpiscono la propria comunità. I 2/3 vedono chiaramente un peggioramento nella condizione delle famiglie di accedere a beni essenziali, quali vestiti e carburante e il 53% un peggioramento nell’accesso ad acqua pulita. Inoltre, Il 91% ha dichiarato di notare un peggioramento in Italia per quanto riguarda i cambiamenti meteorologici e l’84% per il degrado ambientale. Inoltre, i partecipanti hanno indicato tra i gruppi più colpiti dal cambiamento climatico e le disuguaglianze economiche coloro che vivono in condizioni di povertà.

Tuttavia, sono molti coloro che pensano che il cambiamento non solo sia necessario ma anche possibile. In Italia 3 bambini e ragazzi su 4 tra quanti hanno preso parte alla consultazione ritengono che alcuni Paesi abbiano più responsabilità rispetto ad altri e che siano i Paesi più ricchi quelli maggiormente responsabili. “Collaborare”, infatti, è la risposta che più frequentemente hanno dato per descrivere che cosa gli Stati dovrebbero fare, seguita dal bisogno di fare di più e agire concretamente, e di supportare le famiglie e minori più poveri. E chissà che da Catania a Sharm El Sheikh non vengano ascoltati.

Articoli correlati