Sergente Romano, il brigante di casa nostra

Nelle pagine dl romanzo di Marco Cardetta il ritratto di Sergente Romano, il brigante che animò la prima rivolta  pugliese e meridionale contro re Vittorio Emanuele II

Una storia come le tante che circolavano nel sud all’indomani dell’Unità d’Italia, una storia di briganti, anzi di “un” brigante non tanto diverso dagli altri, eppure avvolto da un’aura romantica e quasi taumaturgica, al punto che ancor oggi se ne ricordano le gesta e le contrade intorno a Gioia del Colle risuonano del suo nome: è quel Sergente Romano sulle cui tracce vengono organizzate addirittura delle escursioni e  le cui  imprese sono diventate materia per un bel romanzo.

Sergente Romano – questo è il titolo del libro – porta la firma di Marco Cardetta, scrittore, filmaker, artista, poeta. Forse proprio grazie a questa formazione a 360 gradi, Cardetta fa una lettura da due prospettive della vicenda di Pasquale Romano, ex ufficiale dell’esercito borbonico che riuscì a riunire un piccolo esercito di circa 200 persone e, con l’assalto a Gioia del colle nel 1861,  a  dare il via all’insurrezione che per qualche anno avrebbe infiammato il Mezzogiorno d’Italia. Ed è una lettura strana, perché se ogni capitolo è aperto da lettere, atti, disposizioni ufficiali che testimoniano la solida documentazione alla base del romanzo, subito dopo parte la narrazione che guarda quegli stessi fatti dal punto di vista di chi in quei fatti è coinvolto suo malgrado.

La narrazione così si snoda attraverso i dialoghi di un manipolo di “briganti loro malgrado”, cafoni, ingenui, doppiogiochisti, paurosi , coraggiosi, furbi e malandrini, ma pur sempre persone. Il brigante perde  il fascino del Robin Hood di casa nostra e diventa un pover’a lui che talvolta non capisce nemmeno cosa stia facendo e per chi o cosa  stia combattendo.

Cardetta sceglie di far parlare i suoi personaggi, ma anche di raccontarne le azioni attraverso una lingua che è un pastiche di dialetto e modi di dire,  “storture nella grafia di alcuni termini, forzature ritmiche ed escursioni dalle convenzioni ortografiche contemporanee, non considerabili come refusi”, scrive. Ed è tanto dirompente questa scelta linguistica che l’autore sente il bisogno di scrivere  – quasi su richiesta dell’editore – una postfazione (anzi, una nota postuma, come la chiama Cardetta stesso), in cui spiega che una mancata maiuscola, una parola storpiata, una virgola fuori posto sono il risultato di uno “sguardo” poetico, di uno sforzo di analizzare fatti e personaggi dal di dentro, ma soprattutto di una narrazione ritmica, a tratti convulsa, dove il ritmo è dato dall’incalzare degli avvenimenti.

Capita così di sentirsi catapultati nella storia, quasi quasi di annusare l’odore dei fienili dove i briganti capitanati dal Sergente Romano cercavano riparo, così come della polvere da sparo con cui i soldati del regio esercito caricavano i loro fucili.  E, ultima giravolta dell’autore, la dichiarazione   solenne  – subito smentita –  di non aver voluto metter mano ad un romanzo storico. La storia narrata, le tante storie che si intrecciano tra loro e con la Storia, rimescolano le carte, e lo scopo non dichiarato è ottenuto: quello di sfuggire alla ingombrante etichetta del “romanzo storico” per accogliere la più avvincente dicitura di “romanzo”.

 

 

Marco Cardetta, Sergente Romano, Liberaria, 2016, pagg. 168, € 12,00

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