
Con un sistema estremamente complesso, il gruppo ripuliva i rifiuti metallici ottenuti in nero e i contanti, attraverso società estere compiacenti e bonifici bancari
Scoperto un giro illegale incredibile di rifiuti metallici tra la Cina e l’Italia che, attraverso altre nazioni europee, dal 2013 ha movimentato circa 150.000 tonnellate, l’equivalente di circa 7.000 autoarticolati, aggirando le normative ambientali e la tracciatura dei rifiuti e producendo fatture false per operazioni inesistenti.
Il complesso sistema è stato scoperto dalla Guardia di Finanza di Pordenone. Le indagini sono iniziate nel 2018, su delega della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, quando le Fiamme Gialle hanno riscontrato anomale movimentazioni finanziarie tra una impresa che ha sede nella Repubblica Ceca e una neocostituita azienda della Provincia di Pordenone.
Da qui, i finanzieri hanno ricostruito l’ingente traffico di rottami metallici, come rame, ottone e alluminio, provenienti da qualunque settore e canale.
Il sistema funzionava in questo modo. In Italia venivano create società intermediarie di commercio dei rifiuti metallici da inserire nella filiera commerciale tra le aziende produttrici e le acciaierie. Queste società eseguivano operazioni fittizie di acquisto di rifiuti da società compiacenti con sede nella Repubblica Ceca e in Slovenia, che servivano solo per coprire i rifiuti acquisiti a nero, ma che così ricevevano anche la copertura dalle normative europee. Con questo passaggio, le aziende manifatturiere potevano vendere i rifiuti metallici illegali alle acciaierie perché erano certificati con la documentazione falsa prodotta. Le aziende così evadevano le imposte e ottenevano la riduzione della base imponibile.
La Guardia di Finanza spiega che “la legislazione Europea, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come “rifiuto”, il produttore deve redigere e trasmettere ad ogni cessione una “dichiarazione di conformità”, al fine di consentire, in ogni momento, l’individuazione dell’origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso. Laddove ci si trovi, come nel caso di specie, di fronte ad una cessione “in nero”, la provenienza dei rottami resta ignota, gli stessi non sono tracciabili e, dunque, devono – sempre e comunque – essere considerati “rifiuti” a causa del mancato rispetto delle richiamate disposizioni e, quindi, non sono commercializzabili come rottami metallici.”.
Per superare questo ostacolo, gli indagati realizzavano fittizie “dichiarazioni di conformità” aggirando la legge e nascondendo la reale origine del materiale.
Per evitare i sospetti delle istituzioni, tutte queste operazioni venivano regolarmente pagate con bonifici bancari.
I finanzieri hanno scoperto il movimento di circa 150milioni di euro all’estero da parte dell’organizzazione a favore di società missing trader ceche e slovene, che veniva ritrasferito, sempre tramite il sistema bancario, in Istituti di Credito nella Repubblica Popolare Cinese. Nelle causali si parlava di importazioni di acciaio e di ferro in Europa dalla Cina, che di fatto non c’è mai stato.
“Il denaro – spiega la Guardia di Finanza – inizialmente trasferito nei paesi dell’est Europa dagli italiani veniva bonificato in istituti bancari nella Repubblica Popolare Cinese e le somme ivi accreditate venivano contestualmente “compensate” con la rimissione di denaro contante (non tracciabile) consegnato in Italia dai referenti cinesi ai membri del sodalizio criminale italiano, operazioni che venivano condotte presso noti centri commerciali all’ingrosso cinesi di Padova e Milano dove il denaro veniva “passato di mano” all’interno di buste di plastica.
Detto ingegnoso sistema, permetteva pertanto di far giungere, mediante il sistema bancario internazionale, disponibilità finanziarie in Cina con modalità occulte aggirando i presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio, in relazione sia al tracciamento delle operazioni in capo ai soggetti realmente interessati che alle difficoltà di operare presso istituti di credito con ingenti disponibilità di denaro contante.”.
Il denaro doveva quindi uscire dall’Italia e rientrare subito dopo, così da giustificare il commercio dei rifiuti illegali e ripagare gli imprenditori che aveva pagato le forniture inesistenti, mentre la Cina era la copertura ideale perché serviva per movimentare le ingenti somme di denaro contante prodotto dell’economia sommersa dalla comunità cinese in Italia.
Al termine dell’operazione, i finanzieri hanno scoperto l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per complessivi 308.894.000 euro, l’occulto trasferimento di risorse finanziarie nella Repubblica Popolare Cinese per 150.000.000 euro (originariamente create con provvista in denaro contanti nel territorio nazionale), schermate da inesistenti operazioni commerciali. Sono state indagate 58 persone per associazione per delinquere, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, riciclaggio e 6 società per concussione e corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità.
Il Gip di Trieste ha chiesto 5 misure cautelari, 2 in carcere e 3 ai domiciliari, e il sequestro preventivo di 66milioni di euro. I principali promotori sono 5 uomini originari del triveneto, 3 dei quali con residenza nella Confederazione elvetica. Sono 50 le perquisizioni avvenute nelle province di Udine, Gorizia, Treviso, Padova, Belluno, Verona, Venezia, Brescia e Como. Sono in corso i sequestri di denaro e immobili nella provincia di Treviso e di Belluno.