(S)blocca trivelle, torna l’allarme: si mobilitano comitati, associazioni e Regione

Una manifestazione di Greenpeace contro le trivelle in Adriatico

Altro che ‘Blocca trivelle’. Nel Decreto Milleproproghe nessuna sospensione delle operazioni di ricerca di idrocarburi nei mari del Mediterraneo. E scatta nuovamente l’allarme, anche (e soprattutto) in Puglia

Diretto. Senza fronzoli. Schietto. E (giustamente?) pessimista: «È di nuovo allarme trivelle». Il sindaco di Monopoli, Angelo Annese, è stato chiaro. E non ha girato troppo attorno né al concetto né alle parole. «La moratoria alle ricerche petrolifere non ha avuto proroghe e scadrà a febbraio. E se non ci sarà un piano saranno 54 i permessi finalizzati alla ricerca di idrocarburi. Uno tra tutti è quello nel tratto di costa a noi noto. Come abbiamo già fatto quando è stato necessario, siamo pronti a dare battaglia senza tregua. In ogni dove faremo sentire la nostra voce e le nostre iniziative legali».

La decisione

Fine 2020 offre un nuovo fronte di battaglia. Il Decreto Milleproroghe apre uno scenario inatteso: la moratoria prevista dal D.L. 135/2018 – che sospendeva le operazioni di ricerca di idrocarburi nei mari del Mediterraneo – non è stata rinnovata nell’ultimo decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 dicembre. La vecchia disciplina (varata esattamente due anni fa) aveva fatto auspicare che, nel termine dei 18 mesi previsti dalla legge, ci sarebbe stato un piano serio e deciso che avrebbe portato alla fine di quest’incubo per i mari italiani e pugliesi, soprattutto. Invece, la proroga, inizialmente inserita nella prima bozza del Milleproroghe, è scomparsa nella notte, ufficialmente per motivi di incompatibilità della materia.

Adesso il rischio è che tra circa un mese possano prendere forma ben 54 permessi di ricerca nello Jonio e nell’Adriatico. Molte localizzate anche in Salento, con una tra le più imponenti al largo di Santa Maria di Leuca.

La lettera della Regione Puglia

Annese è solo uno degli amministratori pubblici che ha palesato le proprie perplessità. Ma proprio in queste ore è arrivata anche la presa di posizione del presidente della Regione, Michele Emiliano e dell’assessore all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio.  «La Regione Puglia – evidenzia l’assessore – ha una posizione chiara in tema di tutela del mare e dell’ambiente, così come in tema di politiche energetiche. Siamo contro le trivellazioni, siamo per la decarbonizzazione, siamo per il coinvolgimento delle popolazioni nelle scelte che impattano sul territorio. Per questa ragione abbiamo inviato una lettera al Governo, in pieno spirito di collaborazione istituzionale, per scongiurare la ripresa delle attività di ricerca di idrocarburi nel nostro mare e tracciare una linea di azione comune sulla cosiddetta transizione energetica. Ricordo che la Puglia è stata tra le regioni italiane promotrici del referendum No Triv e ha ribadito questi principi nel programma di governo approvato dai pugliesi e dal Consiglio regionale».

Leggi anche. Un avvocato per l’ambiente: Anna Grazia Maraschio nuovo assessore regionale

Il “Piano”

Si protesta per lo (s)blocca trivelle

Nella missiva indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Sergio Costa e al Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, ci sono particolari riferimenti alla regione.

Maraschio ed Emiliano evidenziano la “preoccupazione per il ritardo con cui si sta discutendo del ‘Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee‘, previsto dalla Legge 11 febbraio 2019, n. 12. Per la Puglia – sottolineano –  sarebbe della massima importanza che il Governo si attivasse per garantire una proroga della moratoria già prevista dall’art. 11 ter del DL 135/2019, per una rapida definizione del ‘Piano delle Aree Idonee’ oltre che per l’avvio di un tavolo di concertazione tra Stato, Ministeri, Regioni, forze politiche e movimenti territoriali, finalizzato al confronto sul futuro energetico del Paese con particolare riferimento all’utilizzo delle fonti fossili e relative implicazioni ambientali. Sul punto ci preme ricordare che è fondamentale che l’Italia ponga fine all’incentivazione alle energie fossili e definisca il richiamato Piano senza ulteriori ritardi, ritardi che potrebbero riaprire la strada alle compagnie petrolifere”.

Comitati e Coordinamenti

Anche le reazioni di associazioni e coordinamenti No Triv sono, ovviamente, tutt’altro che positive. E non mancano, come da parte della Regione Puglia, ulteriori riferimenti al Pitesai, il Piano delle Aree Idonee.

Il tentativo di fare un po’ chiarezza è firmato Silvia Russo, portavoce del Comitato “No Petrolio, Sì Energie Rinnovabili”. Innanzitutto i dati: il termine per la proposta del PITESAI (il “Piano delle Aree Idonee”) scade a febbraio 2021 e la Legge per la sospensione di nuovi permessi di ricerca scade ad agosto 2021.  Sarebbe stato auspicabile che la proroga per i termini di proposizione del PITESAI venisse inserita nel Milleproroghe, e “riteniamo negativo che sia saltata, ufficialmente per ‘estraneità di materia’ ma i termini per l’eventuale proroga – sottolineano dal Comitato – ci sono tutti, sia in sede di conversione del Decreto che attraverso un atto da hoc e, tra l’altro, lo stesso Ministro Costa (a cui stiamo chiedendo ulteriori chiarimenti) ha fatto intendere che la stessa non è in discussione”.

La transizione energetica

Il Comitato scende poi nel dettaglio. “Da parte di chi, invece, sta strumentalizzando la questione a fini politici – incalzano -, ci aspettiamo altrettanta chiarezza nelle sedi istituzionali appropriate e in Conferenza Stato-Regioni, laddove si sta invece consumando la vera battaglia sul continuo (e quello sì, gravissimo) rinvio della discussione del PiTESAI, che vede contrapposti enormi interessi con le compagnie Oil & Gas. Il nostro Paese, anche per poter accedere ai fondi del Next Generation UE che si concretizza negli obiettivi del Green Deal Europeo, ha bisogno di uno sforzo collettivo nel chiedere che la discussione sul PiTESAI e sul nostro portafoglio energetico entri finalmente nel vivo. Su questo aspetto non abbiamo mai lesinato critiche. Considerato che ad oggi l’attuale Governo Conte sul tema ha dimostrato poca incisività ma almeno un filo di attenzione e che l’ultima proposta approvata di sussidi alle raffinerie delle compagnie Oil & Gas porta la firma dell’ex ministra Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), speriamo che in tempi brevi tutta l’intera compagine politica ad ogni livello, sollecitata dagli enti locali, dia un chiaro ed incisivo cambio di passo sul tema della transizione energetica”.

Il Coordinamento nazionale No Triv arriva invece a chiedere le dimissioni del ministro Patuanelli, a causa di quella che ribattezzano la “fiction Blocca Trivelle”, vissuta in più puntate.  “Se veramente il Governo avesse voluto imprimere una vera svolta ‘verde’ – tuonano -, avrebbe potuto farlo già da tempo mantenendo fede, ad esempio, ad uno degli impegni assunti all’atto dell’insediamento circa la graduale abolizione dei SAD che invece nel 2020 sono cresciuti toccando la ragguardevole cifra di 35,7 miliardi di euro, di cui  15,8 destinati al settore energetico fossile. Il che non è stato”.

Greenpeace, Legambiente, WWF: “Lo chiediamo dal 2019”

Infine, non poteva mancare la rabbia di associazioni e realtà internazionali legate all’impegno per l’ambiente.

Come Greenpeace, Legambiente e WWF, che rivendicano il proprio impegno. È dall’ottobre 2019 con una lettera aperta congiunta al Ministro Stefano Patuanelli che le tre associazioni chiedono di varare una moratoria  nazionale e il progressivo abbandono delle estrazioni di gas e petrolio, come fatto dalla Francia nel 2017, e richiamano i vantaggi economici della creazione di una filiera economica per lo smantellamento, la bonifica, il recupero e il riuso dei materiali delle piattaforme e dei pozzi a terra e a mare, che assicuri la giusta transizione verso un’economia verde.

“Nei nostri mari – scrivono – ci sono numerosi  relitti di piattaforme non produttive (le associazioni con il MiSE ne avevano individuate nel 2018 almeno 34 solo nell’Adriatico, da smantellare) e di servitù petrolifere che mettono a rischio l’ambiente e i settori economici che vivono delle risorse naturali, colpiti duramente da questa pandemia (solo nel settore della pesca sono 60mila gli addetti in Italia e di turismo costiero vivono almeno 47mila esercizi)”.

Articoli correlati