
Eresia viene dal verbo greco aireo, che significa scegliere o eleggere. In origine, eretico era chi sceglieva, chi era in grado di valutare più opzioni, prima di prendere una decisione. Uno che ama definirsi eretico è Massimiliano Capalbo, intervistato dalla collega Cinzia Ficco su Tipi Tosti.
Massimiliano CapalboMassimiliano Capalbo è nato a Cosenza ’73, diploma di perito informatico, laurea in Scienze della Comunicazione, Corso di perfezionamento post-laurea in Comunicazione Pubblica, Master in Management del Prodotto Turistico (quarto livello europeo).
Sette anni fa, senza finanziamenti pubblici, ha aperto il primo parco avventura in Calabria, a Tirivolo, sulla Sila, a 1600 metri di altitudine, una località priva di corrente elettrica, copertura telefonica, servizi di alcun genere, a 20 chilometri dal primo centro abitato.Nonostante il periodo di crisi e il territorio considerato difficile e senza speranze, Capalbo ha vinto la sua sfida: 125mila presenze da tutta Italia e dall’estero, nei primi sette anni, otto posti di lavoro stagionali, gli ultimi quattro bilanci chiusi in attivo, come racconta nel suo libro La terra dei recinti, Rubbettino editore, in cui spiega perché il Sud non riesce a valorizzare le sue risorse e prova a tracciare un percorso per invertire la rotta.
«Abbiamo dimostrato – dice Massimiliano – che in Calabria è possibile fare impresa anche senza ricorrere alle sovvenzioni pubbliche e che per farlo basta volerlo, basta agire eticamente, semplicemente facendo leva sulle proprie capacità e competenze oltre che sulla passione che si nutre per quello che si fa e sulla rete di contatti di cui si è parte. Il nostro agire non è stato speciale, ma silenzioso, senza proclami, come è abitudine qui».
«Abbiamo dimostrato che per rovesciare il sistema occorre semplicemente uscirne – continua Capalbo -. Noi non abbiamo aspettato alcuna grazia. E se vogliamo estendere il discorso, il Sud e l’Italia in genere non devono aspettare il cambiamento dalle istituzioni. Siamo noi che dobbiamo farci istituzioni, rimboccarci le maniche e ricostruire il nostro Paese, raccogliendo le macerie pezzo per pezzo. Per farlo dobbiamo diventare eretici, appunto. Basta parlare di questione meridionale, di “iniziative volte allo sviluppo del Mezzogiorno”, utilizzate sempre in modo strumentale, basta con le donazioni e gli aiuti a pioggia, il nostro Sud può farcela ma se sarà lasciato senza soccorritori, perché ha le giuste risorse umane e naturali. Deve solo puntare su quelli che nel libro chiamo legami deboli e sull’etica hacker».
Com’è stato l’inizio? (chiede Cinzia Ficco)
Massimiliano Capalbo – Le prime fasi le ho vissute da incosciente, nel senso che io e Giovanni Leonardi, il mio socio, non siamo nati imprenditori, ma lo siamo diventati scoprendo cosa significasse sulla nostra pelle giorno dopo giorno. Fare impresa, in Italia, significa compiere un atto di disobbedienza civile nei confronti di un modello di società che premia l’assistenzialismo e punisce chi osa prendere l’iniziativa. Abbiamo scelto il posto più difficile in termini di raggiungibilità, clima, servizi disponibili, infrastrutture, perché avevamo in mente un modello che fosse diverso da quelli già realizzati altrove e falliti. Per attuarlo bisognava cominciare da un posto selvaggio, intatto, integro, che non fosse stato alterato da nessuno, occorreva cominciare da zero. Tirivolo era il posto perfetto.
Di qui a cinque – sette anni cosa vorresti diventasse il tuo Parco?
Una clinica del risveglio, come la chiama lo scrittore e amico Francesco Bevilacqua. Cioè un luogo dove ci si possa ritrovare attraverso il contatto con la natura. Oggi il Parco offre la possibilità di vivere delle esperienze a contatto con la natura attraverso il coinvolgimento di tutti e cinque i sensi. Si chiamano esperienze eco-sensoriali e sono una nuova modalità di relazione tra l’uomo e la natura. Nel nostro parco è possibile anche misurare i propri limiti. Venite e lo scoprirete.
Per riprendere alcune tue pagine, l’Italia deve cambiare strada puntando su ambiente, arte e cultura. Basta con quelli che chiami neocolonialisti. Ma questo sarebbe sufficiente e perché chiudere a priori le porte a chi, venendo da fuori, abbia progetti di sviluppo seri e sia in grado di creare nuovi posti di lavoro?
Credo che la cultura possa anche diventare pericolosa… Abbiamo persone molto preparate, intente ad accumulare diplomi, lauree, master, da appendere al muro che, non solo non sanno cosa fare di tutto questo sapere, ma quando lo adoperano, diventano anche pericolose. Basta guardarsi intorno per accorgersi che costruiamo case nel letto dei fiumi che poi vengono trascinate a valle dalle alluvioni, andiamo ad incagliarci con le navi da crociera sugli scogli come degli idioti, costruiamo centrali nucleari dove ci sono terremoti del 7° grado, diamo da mangiare cibo spazzatura alle mucche che poi impazziscono e così via… Sui neocolonialisti, sulle grandi aziende che hanno impoverito e danneggiato il Paese, dico che per fortuna è finita l’epoca delle grosse imprese…
La grande battaglia oggi è tra economia virtuale ed economia reale. La prima vede il dio denaro come unica motivazione per agire, e quando il denaro diventa un obiettivo, non c’è motivo di farsi scrupolo di come lo si accumula. L’economia reale, invece, vede tante piccole imprese che agiscono sul territorio in un’ottica di rete che considerano il denaro non un fine, ma una conseguenza del proprio talento, della propria passione, della propria professionalità. Solo il legame con il proprio territorio può garantire un’azione virtuosa e incisiva.
Cinzia Ficco