Raganello, un mese dopo la tragedia: cosa è cambiato?

La piena-lampo nelle gole del torrente Raganello dello scorso 20 agosto, che causò 10 morti e 11 feriti, al centro di una riflessione del geologo Giuseppe Gisotti e del Presidente di Sigea, Antonello Fiore. Necessari prevenzione, educazione, adattamento ai cambiamenti climatici, coordinamento tra attori sociali.

È passato un mese da quando, lo scorso 20 agosto una piena-lampo colpì il torrente Raganello, nella zona settentrionale del Parco nazionale del Pollino, causando 10 morti e 11 feriti. Dopo le prime polemiche e gli sviluppi di questi ultimi giorni, con le informazioni di garanzia emesse nei confronti dei sindaci di Civita, San Lorenzo Bellizzi e Cerchiara di Calabria, del presidente del Parco Nazionale del Pollino, del dirigente dell’ufficio Biodiversità dei Carabinieri Forestali, e di due guide escursionistiche,  il presidente di SIGEA-Società italiana di geologia ambientale Antonello Fiore e il geologo Giuseppe Gisotti, presidente onorario dello stesso organismo, rilanciano alcune considerazioni sul grave problema del dissesto idrogeologico e sull’allerta clima.

Tragedia del Raganello, cosa è successo

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Gole del Raganello, punto della tragedia (foto Caterina Lorusso)

Il dramma si è consumato nel tratto di monte in un torrente con gole molto ripide, profonde e strette. Con queste caratteristiche un’onda di piena, determinata da una pioggia breve ma intensa come tante di quelle registrate in questa estate, e in più “arricchita” da un elevato trasporto di fango e detriti, percorre l’alveo del torrente con un’elevata velocità ed energia e riesce a spazzare via in pochi secondi tutto ciò che incontra sul suo percorso. Sono le flash floods, piene improvvise e rapide  tipiche dei piccoli bacini idrografici di montagna.
L’improvvisa ondata di piena che ha interessato il 20 agosto il torrente Raganello è arrivata a 2,5 metri di altezza abbattendosi su 44 escursionisti, adulti e bambini.  La tragica conta di morti e feriti è nota, così come sono note le polemiche, tese ora a trovare subito e a tutti i costi i responsabili, ora sul sistema di allerta meteo della Protezione Civile e sul fatto che gli escursionisti non erano adeguatamente attrezzati per quel tipo di escursione. Non ci si è invece fermati a sufficienza a capire le cause indirette che hanno spezzato all’improvviso 10 vite di persone che volevano solo passare una giornata a contatto con la natura.

“Deve cambiare la gestione del territorio”

Cambia il clima, cambia anche la tipologia dei dissesti. Le piogge sono sempre più intense e concentrate nello spazio: oggi la prevenzione va fatta non solo verso le grandi alluvioni di fiumi come il Po, ma anche tenendo sotto controllo gli eventi rapidi  dopo le piogge nei piccoli bacini montani, vale a dire le piene-lampo (flash floods), le valanghe di detrito (debris avalanches), le colate di fango (mud flows). «Essendo rapidi e improvvisi  – spiegano Fiore e Gisotti – il loro preannuncio è difficile e purtroppo sono molto pericolosi per la vita umana, essendo caratterizzati da velocità elevata e forte energia cinetica, proprio come è successo col torrente Raganello. In queste situazioni la gestione del territorio deve necessariamente cambiare il proprio stile e andare verso un nuovo adattamento a quello che i cambiamenti climatici stanno determinando».

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La questione degli allerta

C’è stato chi ha messo in evidenza con una certa frettolosità l’insufficiente funzionamento della “allerta precoce”, cioè l’allarme diffuso  nell’intervallo di tempo tra quando vengono osservati fenomeni causa di un evento potenzialmente pericoloso e il momento in cui l’evento colpisce una determinata località. Un evento come una frana dipende da diversi fattori: la morfologia che costringe le acque a incanalarsi velocemente, l’intensità delle piogge, la presenza delle persone lungo i sentieri o i canyon (fonte CNR-IRPI).
La scala temporale caratteristica dell’allerta precoce varia a seconda del bacino interessato; per uno piccolo come quello del Raganello, la scala temporale si riduce a poche ore, se non a frazioni di ora.
«Va aggiunto che in questi ambienti montani così tanto frequentati, perché inseriti in un contesto paesaggistico/naturalistico unico, i sistemi di allertamento, anche i più sofisticati, devono essere integrati con piani di sicurezza predisposti in funzione delle caratteristiche dei luoghi e del numero massimo di escursionisti consentiti», continuano Fiore e Gisotti . «Gli stessi escursionisti, oltre a essere attrezzati con dispositivi di protezione individuale, devono essere informati (ovvero devono informarsi) prima della partenza delle previsioni meteo in termini di allerta esistenti e quindi di come reagire in caso di emergenza. Inoltre nei percorsi a rischio andrebbero installati strumenti di autoprotezione come corde trasversali e vie di fuga (scalette lungo le pareti)»

Tragedia del Raganello, lavorare per la sensibilizzazione

La scorsa primavera sono morti 14 alpinisti in sette diversi incidenti della montagna; persone esperte, consapevoli dei rischi che correvano. Morti che si vanno ad aggiungere alle 23 vittime di tragedie a quelle analoghe a quelle del Raganello dal 1980 all’estate scorsa e ai 10 morti dell’incidente del 20 agosto.  «La morte di questi turisti ci spinge a sostenere con forza strategie politiche volte alla conoscenza e alla consapevolezza, bisogna lavorare attraverso la formazione scolastica e la sensibilizzazione dei mezzi d’informazione affinché tutti abbiano la reale percezione dei contesti ambientali che frequentano e la percezione del rischio che eventi naturali possono innescare. Allo stesso tempo bisogna lavorare affinché vengano agevolate le attività sportive/ricreative in questi ambienti, che portano economia per le popolazioni locali di aree marginali, attraverso una politica di turismo», dicono i due esperti.

Va rafforzato però anche l’insieme dei principi, delle regole condivise e delle procedure che riguardano la gestione e il governo del territorio, il tutto per formare e “consolidare” comunità consapevoli e resilienti in grado di auto proteggersi. «Questo però- continua il presidente di Sigea Fiore –  non vuol dire delegare tutto alla sensibilità o alla preparazione dei singoli cittadini, ma offrire loro attraverso un’educazione, a partire dall’infanzia, la conoscenza dei complessi equilibri che regolano l’ambiente e ai rischi naturali».

Non solo fatalità

Una cosa è certa. Disastri come quelle di  Raganello, Soverato, Sarno, Scaletta Zanclea, Rigopiano, classificabili come “disastri-lampo” non sono effetto della fatalità, ma sono correlati ai cambiamenti climatici, che portano con sé piogge intense, nevicate, gelate concentrate nel tempo e nello spazio. La responsabilità di queste tragedie va ricercata anche nel fatto che siamo ancora incapaci a trasmettere e rendere cogenti semplici concetti chiave come conoscenza, monitoraggio dei fenomeni, consapevolezza. E, «In attesa che siano ridotte le cause antropiche dei cambiamenti climatici possiamo mitigare e contenere i suoi effetti sulla società e sull’ambiente anche attraverso un consapevole adattamento ai cambiamenti; adattamento che si pone come obiettivo la riduzione della vulnerabilità dei sistemi naturali e socio-economici», conclude Fiore.

“Lavorare insieme in maniera integrata”

antonello fiore
Il presidente della Società Italiana di geologia Ambientale, Antonello Fiore

Un’ultima considerazione unita ad un guanto di sfida lanciato a politici, istituzioni, enti  e associazioni. «Non saranno certamente nuovi cartelli o potenti uffici tecnici comunali (impossibili in piccoli comuni con meno di 1000 abitanti), né modelli previsionali e di monitoraggio e allertamento avanzati che riusciranno a evitare altre tragedie come quella del Raganello. Queste potranno essere ridotte solo se si interviene in maniera integrata creando continuità di vedute e di azioni tra chi gestisce il territorio e chi quel territorio vuole viverlo o è costretto a viverlo, educando a convivere con consapevolezza», insistono Fiore e Gisotti.
E’ ormai giunto il tempo di lavorare tutti insieme, istituzioni, enti di ricerca, ordini professionali, associazioni culturali e scientifiche per promuovere la cultura della consapevolezza e ripristinare il rispetto delle regole condivise. «Dobbiamo lavorare insieme per dare fiducia e sicurezza a chi vuole vivere la natura cercando di abbandonare l’approccio imperante di addossare sempre agli altri la responsabilità di quello che è accaduto».

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