Punta Perotti: perché l’Italia pagherà 49milioni di euro (Parte I)

L’interminabile vicenda giudiziaria di Punta Perotti, a Bari, iniziata nel lontano 1996, si è conclusa soltanto quest’anno, con la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del 10 maggio scorso, che ha condannato l’Italia, presentandole un conto salatissimo, il più alto mai chiesto a uno Stato: 49mln di euro di risarcimento alle imprese Sud Fondi s.r.l., IEMA s.r.l. e Mabar s.r.l. Ma perché un prezzo tanto alto?

La "saracinesca" sul Lungomare Perotti, all'ingresso sud della città - foto di Gianni Avvantaggiato

La vicenda. Essa risale ai primi anni ’90, quando le suddette imprese ottennero, dal Comune di Bari, il permesso di costruire sui terreni, di loro proprietà, siti lungo la zona costiera di Punta Perotti e considerati edificabili ai sensi dell’allora P.R.G. (Piano Regolatore Generale). Nacque, così, il plesso immobiliare di Punta Perotti.

Nel 1996, sull’onda lunga delle innumerevoli polemiche sorte a causa dell’orribile mostro di cemento che deturpava il lungomare barese, i Sostituti Procuratori di Bari, Rossi e Angelillis, avviarono le indagini per far luce sulla vicenda e, in quella occasione, emanarono un provvedimento che scatenò l’interminabile bufera giudiziaria: il sequestro preventivo del plesso e dei terreni, motivato dal fatto che la zona costiera (deturpata) fosse un sito naturale protetto. Le imprese impugnarono il sequestro in Cassazione, perché il sito, invece, secondo il P.R.G., non era area vincolata e la richiesta fu accolta.

Il sindaco di Bari Michele Emiliano intervistato poco prima dell'abbattimento dell'immobile - foto di Gianni Avvantaggiato

Il processo, allora, proseguì nei suoi tre i gradi di giudizio: nel 1999 il Tribunale di Bari dichiarò l’illegittimità dei permessi, perché basati su un diritto urbanistico regionale, in netto contrasto con una delle più importanti leggi italiane in materia di tutela paesaggistica, cioè la L.n. 431/1985 (c.d. Legge Galasso) (1 – per visionare i riferimenti normativi clicca sui numeretti in grassetto tra parentesi) (poi modificata dal Dlgs.n.42/04 Codice Beni Culturali) (2), che vietava di edificare sui siti di interesse naturale, tra cui le zone costiere. In base all’art.19 di questa, quindi, fu disposta la confisca del plesso e dei terreni, “per fatto materiale illecito” (cioè la lottizzazione: legittima per il diritto urbanistico regionale, ma illegittima per la Legge Galasso). Gli imputati, invece, furono assolti perché, “quel fatto materiale”, benché illegittimo, non costituiva reato, ma solo illecito amministrativo. Non fu possibile, cioè, dimostrare l’elemento soggettivo del reato (dolo o colpa) in capo agli imputati: questi, infatti, furono giudicati in totale buona fede circa la liceità del permesso, (in quanto emanato dal Comune e conforme al diritto urbanistico regionale) e assolutamente impossibilitati a sapere o prevedere la conflittualità tra la L. Galasso e la legge regionale, perché “oscura” e di difficilissima interpretazione.

Anche la Corte di Appello confermò l’innocenza dei costruttori e, in più, decise per la revoca della confisca degli edifici, per assenza di requisiti, poiché considerò la confisca una misura di natura penale e, come tale, applicabile solo in caso di reato o per sventarne di nuovi. Ma in questo caso, secondo i giudici, il reato non c’era affatto.

L'abbattimento dell'ecomostro di Punta Perotti

Nel 2001, in fine, la Cassazione, a sorpresa, ribaltò la sentenza di appello e ripristinò la confisca, per illegittimità “materiale” da illecito amministrativo dei permessi di costruire: si ritenne, cioè, che i terreni e il plesso fossero soggetti a divieto assoluto di costruire e a vincolo paesaggistico, ex art.19 L.Galasso (ora art. 44, 2°c., d.p.r.380/01, T.U.Edilizia) (3) e, quindi, inedificabili. In altri termini, la Corte richiamò la giurisprudenza prevalente dell’epoca, che considerava la confisca di natura amministrativa e non penale,  per cui doveva applicarsi, a prescindere dalla sussistenza del reato e per la sussistenza del fatto illecito. Quanto agli imputati, ne confermò l’assoluzione, per assenza dell’elemento soggettivo, poiché loro erano stati indotti in errore dalla oscura formulazione delle leggi e dal comportamento del Comune che aveva rilasciato le autorizzazioni, ex art.5 c.p. (ignoranza della legge penale) (4) per errore inevitabile e scusabile: se non si può conoscere o prevedere il contenuto di una norma penale, non si è responsabili del reato.

Nel 2006, dunque, l’ecomostro di Punta Perotti fu abbattuto, ma la confisca dei terreni rimase attiva. Le imprese, allora, adirono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per farla revocare.

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