Punta Perotti: perché l’Italia pagherà 49 milioni di euro (Parte II)

Uno scorcio del parco di Punta Perotti,sorto sull'area confiscata dal Comune di Bari

Le imprese costruttrici di Punta Perotti non hanno mai accettato la decisione della Cassazione, relativa alla confisca dei terreni e del plesso Punta Perotti e, meno che mai, la sua demolizione. Pertanto, esauriti i mezzi processuali italiani a disposizione, adirono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (CEDU), sostenendo l’illegittimità della confisca, ex art 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU anch’essa) (1 – per visionare i riferimenti normativi clicca sui numeretti in grassetto tra parentesi) e art. 1 del Protocollo n.1 (2) e chiedendo allo Stato italiano il risarcimento dei danni subiti (davanti alla CEDU possono rispondere solo gli Stati UE).

Sentenza CEDU 2009. La Corte, con una macchinosa argomentazione, diede ragione alle imprese.

Presupposti normativi. L’art.7 sancisce il principio di legalità: nessuno può essere punito per un fatto che, al momento in cui è stato commesso, non costituiva reato secondo la legge interna o internazionale. Il principio, cioè, vieta di estendere i reati esistenti a fatti che, in precedenza, non erano considerati come reati. Esso, perciò, impone che la legge penale deve essere sempre chiara e prevedibile e deve definire esattamente i reati e le pene, dando a ciascuno la piena possibilità di sapere, attraverso il testo di legge, quali atti implicano responsabilità penale e quali no. L’art. 1 del Protocollo 1 (tutela della proprietà) dispone che nessuno può essere privato della proprietà, se non per causa di pubblica utilità e nei soli casi previsti dalla legge.

La "processione" di curiosi dopo l'abbattimento della prima torre

Decisione. Su queste basi, la Corte, da un lato, definì la natura penale e non amministrativa della confisca, perché misura accessoria al reato, dall’altro, ritenne che la sua applicazione al caso concreto fosse arbitraria e contrastante con l’art.7, in quanto il reato, cui doveva essere collegata, era inesistente. E questo perché il presupposto normativo dell’infrazione (cioè la norma che configurava la lottizzazione abusiva) non era accessibile, conoscibile e prevedibile dai costruttori al momento del fatto (“oscura” e di difficile interpretazione) e non li metteva in grado di sapere che la loro azione sarebbe stata passibile di pena. Se, dunque, il fatto non costituiva reato perché non previsto come tale dalla legge al momento della sua commissione, anche la confisca non poteva esistere, per mancanza di previsione normativa. E per le stesse ragioni essa confliggeva anche con l’art.1, Prot. 1 CEDU, che impone l’espropriazione solo nei casi previsti dalla legge.

Così, nel 2010, il GIP del Tribunale di Bari dispose la restituzione dei terreni, che intanto erano diventati parco pubblico, alle imprese proprietarie.

Le imprese, però, non pienamente soddisfatte dalla restituzione dei terreni, adirono nuovamente la CEDU. Strasburgo, accogliendo l’ennesimo ricorso, sollecitò allora una soluzione tra il governo italiano e le parti. Ma questa non arrivò. Quindi, si è giunti alla pronuncia del 10 maggio 2012.

Lo skyline di Punta Perotti senza la "saracinesca" - foto di Gianni Avvantaggiato

SENTENZA CEDU 2012. Strasburgo, riprendendo le motivazioni del 2009, decide per un’equa soddisfazione delle imprese, ex art. 41 CEDU (3), in quanto le norme CEDU erano state violate e l’Italia, con la restituzione dei terreni, aveva riparato solo parzialmente, mentre avrebbe dovuto ripristinare lo “status quo ante”, per quanto possibile.  L’Italia, quindi, subisce la condanna esorbitante a 49mln di risarcimento, per le seguenti voci di danno: mancato indennizzo per la demolizione del plesso, visti i costi che le imprese avevano sopportato per costruirlo; mancata restituzione di alcuni terreni da parte del Comune di Bari, perché acquisti da esso, con conseguente totale indisponibilità di essi da parte dei costruttori; mancata disponibilità dei terreni restanti perché, benché restituiti, era solo un fatto virtuale, in quanto destinati ad area pubblica.

Il governo italiano, inoltre, deve rinunciare alle domande giudiziali, tuttora pendenti, per il rimborso dei costi sostenuti dal Comune di Bari per la demolizione e per la riqualificazione dei terreni. E forse, su questo punto, la Corte avrebbe potuto equamente bilanciare i diritti di entrambe le parti, posto che la demolizione ossequiava le leggi ambientali nazionali, ripristinando la bellezza del paesaggio costiero.

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