Il consiglio regionale pugliese ha approvato la proposta di legge di iniziativa regionale , così come disposto dall’articolo 121 della Costituzione, da presentare alle Camere, che impedisce lavoro di prospezione in mare. Il testo contiene un solo articolo diviso in tre commi e consentirebbe, se approvato, di vietare la trivellazione dei fondali del Mar Adriatico per ricercare idrocarburi. La proposta di legge, il cui titolo esatto è “Divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi”, è stata pubblicata sul Burp n. 126/2011.
Il primo comma estende il divieto a tutto il mar Adriatico e coinvolge oltre al fronte mare della Puglia anche quello di Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo e Molise. I divieti (previsti nel primo comma) di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi sono estesi nel secondo comma anche ai procedimenti di autorizzazione che sono stati già avviati ma il cui iter non è stato concluso alla data di entrata in vigore della legge. Naturalmente se sarà approvata dalle Camere. Il testo prevede che rimarrebbero in vigore e fino ad esaurimento dei giacimenti, le autorizzazioni, le concessioni ed i permessi già avviati prima dell’entrata in vigore della legge.
Le motivazioni che hanno portato al Regione Puglia a promuovere ed approvare la proposta di legge poggiano sulla scia delle ripercussioni che hanno provocato i recenti incidenti alle piattaforme petrolifere. Non si è, infatti, ancora spento l’eco del disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon di proprietà della British Petroleum, che tra aprile e agosto dello scorso anno ha sversato nel Golfo del Messico milioni di barili di petrolio.
I danni ambientali causati dall’incidente al Pozzo Macondo (a 1.500 metri di profondità) sono ancora visibili sul fondale marino con chilometri di catrame attaccati alle rocce o adagiati sulla sabbia nelle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida.E a casa nostra? Nel centro-nord del Mar Adriatico, di fronte alle coste di Abruzzo, Marche,Veneto ed Emilia Romagna sono già operative circa 70 piattaforme e mille pozzi di estrazione di gas.
L’Adriatico è un mare chiuso, poco profondo, con acque molto calde rispetto alla media. Si tratta più di un lago con caratteristiche di eutrofizzazioni, e già altamente inquinato dagli scarichi delle raffinerie di Venezia e Ravenna e del Po che vi sversa grandi quantità di veleni provenienti dalle maggiori città del nord. L’aperture di nuove piattaforme determinerebbe un aumento di fattori di rischio legati alla fuoriuscita, durante la fase esplorativa ed estrattiva di fluidi e fanghi. Questi residui generati dalla trivellazione dei fondali sono letali per la flora e la fauna marina presente nell’Adriatico. Se a questi danni si aggiungesse quello derivato dalla fuoriuscita dei fanghi tossici e degli scarti di lavorazione del greggio, il danno all’intero ecosistema marino adriatico sarebbe irreversibile.