
Torniamo sulle sentenze emesse al processo “ambiente svenduto” con l’avvocato Tommaso Gioia, esperto di questioni ambientali
La questione Ilva è da sempre un problema che ha interessato la nazione intera.
Non c’è stato tg o talk show politico in cui non se ne sia parlato almeno un paio di volte. Per l’innumerevole intreccio di interessi che ruota intorno al siderurgico tarantino anche la stessa giustizia ha avuto sempre una sorta di difficoltà “d’approccio”. Oggi però, dopo decenni di battaglie di una città stanca, totalmente provata ma mai rassegnata, abbiamo una prima sentenza che punta il dito contro quelli che sono ritenuti responsabili da quella giustizia che fino ad oggi proseguiva faticosamente.
I cittadini di Taranto hanno vissuto questo processo in prima persona, come un qualcosa che riguardasse tutti loro. Già un anno fa, parecchi cittadini avevano costituito il comitato cittadino per la salute e per l’ambiente attraverso il quale chiedevano la partecipazione ai processi decisionali in campo ambientale e civile.
Le condanne
A conclusione dell’iter giudiziario di primo grado Fabio e Nicola Riva sono stati condannati rispettivamente a 22 e 20 anni di reclusione per reati ambientali e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. In totale gli imputati del processo erano 47 e si riportano di seguito le condanne più significative:
Girolamo Archinà (ex responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo Riva): 21 anni e sei mesi di reclusione;
Luigi Capograsso (ex direttore dello stabilimento): 21 anni;
Lanfranco Legnani (fiduciario dei Riva): 18 anni e sei mesi;
Alfredo Ceriani (fiduciario dei Riva) 18 anni e sei mesi;
Giovanni Rebaioli (fiduciario dei Riva) 18 anni e sei mesi;
Agostino Pastorino (fiduciario dei Riva) 18 anni e sei mesi;
Lorenzo Liberati (ex consulente della Procura): 15 anni e sei mesi di reclusione.

Diversi altri imputati sono stati condannati con pene decisamente inferiori a quelle fin qui elencate: condannato a 3 anni anche l’ex presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido e ultimo, non per importanza, è stato condannato a 3 anni e sei mesi di reclusione anche l’ex governatore della regione Puglia Nichi Vendola. Quest’ultimo, anche se ha avuto una condanna molto bassa rispetto agli imputati principali, è quello che forse ha fatto più rumore all’interno dell’intera regione Puglia. Vendola, infatti, ha fondato la sua immagine politica proprio sull’attenzione all’ambiente e, anche per questo ma non solo, è stato un Presidente abbastanza apprezzato.
Il “caso Vendola”
L’ex presidente della regione Puglia non intende rassegnarsi ed ha dichiarato a caldo “Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità”.
Secondo quanto indicato dal dispositivo della sentenza, la sua colpa è stata quella di aver fatto pressioni presso l’Arpa, al fine di rendere più “mite” la posizione dell’Ilva. È solo il primo grado di giudizio, quindi vivendo uno Stato garantista nessuno potrà essere considerato colpevole fino a sentenza definitiva e per Vendola si preannuncia un “feroce” ricorso in secondo grado.
Ora quel che viene da chiedersi è se questa prima sentenza abbia dato soddisfazione a quei cittadini che per decenni (e tutt’ora) respirano le sostanze inquinanti immesse nell’aria dall’impianto siderurgico.
Una sentenza risolutiva?
Massimo Castellana, portavoce dell’Associazione Genitori Tarantini, ha dichiarato che “La giustizia finalmente si riaffaccia sul territorio tarantino”. Un mezzo sorriso da parte di chi rappresenta quei genitori che hanno visto morire prematuramente i propri figli.
Ma da un punto di vista ambientale questa sentenza ha risolto il problema?
Purtroppo l’impianto, cosi per come concepito, difficilmente potrà garantire un ambiente del tutto salubre sia per i lavoratori che per gli abitanti della città della diossina. Giustizia (fin qui) può esser stata fatta con riguardo al passato. Ma la domanda più importante è: questa sentenza può considerarsi risolutiva anche proiettandosi nel futuro?
Per quella che è la situazione attuale dell’impianto la risposta è, purtroppo, NO.