
È un sentenza storica. Massimo Castellana: “torna il sorriso nei cieli di Taranto”. Marescotti: “eravamo ficcanasi, impiccioni… ora, avevamo ragione”
La sentenza del processo “Ambiente Svenduto”, nella quale sono stati condannati i responsabili dell’inquinamento prodotto dall’ex ILVA di Taranto che nel corso degli anni ha avvelenato e ucciso bambini, donne, uomini e animali e l’ambiente, è una vittoria storica. Pur essendo di primo grado, servono altri due gradi per essere definitiva, la sentenza, e di conseguenza la Legge, ha dato la priorità ai cittadini, alla scienza e alla medicina, condannando i responsabili, e non all’economia e alla politica.

«Abbiamo atteso molti anni questa sentenza – ha detto Massimo Castellana dell’Associazione genitori tarantini, commentando con noi la sentenza dopo le innumerevoli lotte e denunce per difendere la vita e l’ambiente – Il collegio giudicante ha accolto tutte le istanze dei pubblici ministeri accogliendo anche le richieste di condanna in toto. È stata una sentenza storica per Taranto, finalmente la giustizia rientra nei confini della nostra provincia dopo essere stata ai margini al pari della Costituzione per tanti anni».
Come va letta questa sentenza?
«Leggiamo questa sentenza come un passo in avanti dopo tanti anni di barricate senza cedere un millimetro. Finalmente, viene riprodotta una realtà che spesso è stata edulcorata, se non smentita dagli organi di informazione nazionali che hanno sempre puntato sulla produzione e non sulla salute i loro riflettori».
Bambini morti, malattie gravissime, ambiente contaminato, cosa cambierà ora?
«Adesso cambierà che abbiamo una piccola arma a disposizione. Questa sentenza che ha dato condanne molto pesanti, ci fa capire che sono stai commessi gravissimi crimini nel nostro territorio che hanno portato alla morte di bambini, dopo sofferenze e malattie, crimini che hanno prodotto la contaminazione dell’ambiente fin quasi a renderlo irrecuperabile. E ora useremo questa sentenza al pari della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2019, al pari della sentenza che dovrebbe arrivare da parte della CEDU in questo periodo, sperando che anche il Consiglio di Stato sia dalla parte questa volta della vita e della salute e non della produzione».
Questa sentenza non riporta i vita in figli di Taranto, ma cosa può insegnare?
«Questa sentenza ci insegna che non si deve mai demordere, quando si è convinti di aver ragione, quando dati scientifici, relazioni epidemiologiche inchiodano al muro dei colpevoli le industrie inquinanti, non bisogna mai demordere. Difendere la vita degli altri è in particolare dei bambini è un dovere di ogni cittadino. E quando la giustizia agisce per il verso giusto, è chiaro che il riscontro finale non può essere che un sorriso che per tanti anni è mancato sotto il cielo di Taranto».

«Nessuno aveva mai parlato della diossina a Taranto prima del 2005. Fummo noi a prenderci la responsabilità e i rischi di denunciarlo pubblicamente. Oggi è una grande giornata di liberazione dopo una lunga resistenza e tante vittime. Venivano chiamati “allarmisti” ma avevano ragione noi». Inizia così l’editoriale di Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione ambientalista PeaceLink, che da tempo si batte per denunciare i danni dell’ILVA a Taranto.
«Quella sentenza – dice Marescotti – è il frutto di una lunga lotta a cui abbiamo dato il via nel febbraio 2008, portando in un laboratorio specializzato un pezzo di pecorino contaminato dalla diossina. Il latte di quel formaggio proveniva da pecore e capre che avevano brucato nei pascoli attorno all’ILVA. Avevamo letto su un giornale che, attorno allo stabilimento, pascolava un gregge. La cosa ci incuriosì. Ci mettemmo alla ricerca del pastore. Una nostra ecosentinella, Piero Mottolese, lo incontrai. Non stava bene. Quel pastore morirà di cancro dopo non molto». Ma tutto iniziò nel 2005 quando scoprirono che a Taranto c’era la diossina. Marescotti, insieme ad un gruppo sempre più nutrito di tarantini, mise insieme i dettagli, ricostruendo tutto. «E se oggi si va a vedere quanto materiale abbiamo accumulato con questa metodologia c’è solo da rimanere sbalorditi – spiega nell’editoriale – E si rimane sbalorditi per l’immenso lavoro svolto dalla polizia giudiziaria e dai magistrati. A cui diciamo grazie per aver condotto con rigore un’azione scomoda ma necessaria e di somma importanza. Oggi è una grande liberazione. I ficcanaso impiccioni, quelli che venivano chiamati “gli allarmisti”, avevano ragione. Sì. Proprio così. Avevamo ragione. Oggi fioccano le condanne. E gli impianti pericolosi vengono confiscati».