
Plastica monouso, no grazie. Dal 3 luglio l’Unione Europea ha messo al bando una serie di oggetti, tra i più inquinanti, fra i quali piatti, posate e cannucce. E’ l’effetto della Direttiva europea SUP (Single Use Plastic), approvata nel 2019 e recepita dall’Italia con legge nazionale nell’aprile scorso. Ma c’è chi non apprezza
Piatti e posate, cannucce, cotton fioc, palette da cocktail, bastoncini dei palloncini, contenitori per alimenti e bevande in polistirolo. Sono gli oggetti di plastica “usa e getta” messi al bando dal 3 luglio. E i negozi potranno ancora venderli fino a esaurimento scorte, poi saranno proibiti.
Una decisione che sta spingendo le aziende a monitorarsi ulteriormente per raggiungere ambiziosi obiettivi green. E’ quello che ad esempio sta facendo la Bormioli Pharma, impegnata ad accelerare sulla sostenibilità.
Materie prime sostenibili
L’azienda leader internazionale per la produzione di contenitori ad uso farmaceutico in vetro e plastica ha annunciato un impegno: impiegare entro il 2025 il 50% di materie prime sostenibili, come plastica riciclata, bioplastiche e vetro proveniente da riciclo, per la realizzazione dei propri prodotti. Con questo impegno l’azienda andrà a triplicare l’attuale utilizzo di materiali a basso impatto ambientale, pari al 16%.
Nonostante la natura altamente regolamentata dell’industria farmaceutica, che rende più complessi i cambiamenti, il settore sembra infatti pronto ad accogliere la sfida della transizione ecologica: secondo un’indagine condotta sui clienti di Bormioli Pharma, oltre il 90% delle aziende del comparto farmaceutico ritiene che la ricerca di nuove soluzioni di packaging sostenibili sia un punto di primaria importanza. Questa attenzione si è già tradotta in un aumento delle vendite di flaconi, chiusure e accessori realizzati con materiali riciclati o bio-based, che ha raggiunto un +50% nel 2020 e un +130% nell’ultimo triennio.
Le cannucce biodegradabili

Luglio all’insegna della sostenibilità anche per Frankly,, la prima catena italiana di bubble tea. In tutti i negozi di Milano, Torino, Bologna e Bergamo saranno bandite le cannucce in plastica a favore di cannucce completamente biodegradabili, realizzate con fibre vegetali e minerali naturali derivati dalla canna da zucchero, completamente prive di PLA. Si tratta di cannucce che si decompongono per il 70% in 12 settimane, mentre da 16 a 24 settimane sono necessarie per una decomposizione totale.
Ma il mese della sostenibilità di Frankly non si esaurisce qui. La catena di bubble tea ha infatti avviato una collaborazione con il brand di acqua, WAMI, a sostegno dei loro progetti per la realizzazione di impianti idrici in aiuto delle famiglie più bisognose dei Paesi in via di sviluppo. In particolare, la collaborazione tra Frankly e WAMI andrà ad aiutare il distretto di Churumanga, in Ecuador, che conta 611 abitanti e 75 famiglie.
La plastica “stupida”
Ma se da un lato le norme hanno il ruolo di disegnare nuovi scenari (imposti), dall’altro le aziende possono proporre prodotti e soluzioni che, immessi sul mercato, educano il consumatore a scelte etiche e possono far realmente cambiare le abitudini di consumo.
Per Cristina Mollis, la fondatrice della green tech start up The Okapi Network, «la lotta alla plastica stupida è la prima missione: credo che noi imprenditori abbiamo un ruolo importante, immettendo prodotti sostenibili sul mercato, possiamo far cambiare le abitudini dei consumatori». Il concetto di plastica “stupida” è semplice da chiarire: «Non tutta la plastica va messa al bando: la plastica correttamente utilizzata aiuta a ridurre gli sprechi alimentari, grazie all’utilizzo della plastica è stato possibile ridurre il consumo di carburante di autovetture e aerei che hanno sostituito materiali più pesanti, moltissimi dispostivi medici e salvavita utilizzano la plastica. Il problema è il consumo eccessivo e inutile della plastica laddove può essere evitato, tra l’altro con pochissimo sforzo. E se da un lato possiamo evitare la plastica quando non serve, dall’altro dobbiamo impegnarci tutti nel riutilizzarla dove si può».
La ricetta? «Serve organizzarsi, anche a livello associazionistico, e creare un concreto movimento ‘Smart Plastic’ che metta insieme aziende e consumatori e sto già lavorando in questa direzione. Se tutti cambiamo, ogni giorno con piccoli gesti, allora il grande cambiamento avverrà in tempi brevi».
Proteggiamo l’ambiente e gli oceani

I rifiuti in plastica rappresentano nel complesso il 70% di tutti i rifiuti marini nell’UE. L’Associazione Plastic Free (nata a luglio 2019 per informare e sensibilizzare i consumatori) ricorda che ‘oltre 12 milioni di tonnellate di plastica ogni anno finiscono in natura’. Ancora, secondo l’Associazione Marevivo, solo in Italia si consumano tra i 16 e i 20 milioni di bicchieri al giorno e la dispersione in ambiente è elevatissima (dati 2020).
Partendo da questi dati – “e consapevoli che presto bicchieri da asporto usa e getta e altri oggetti monouso faranno parte di un ricordo del passato” – le tazze in porcellana To-Go di Villeroy & Boch si pongono come una valida alternativa alla plastica: sono riutilizzabili infinite volte, sono esteticamente belle e disponibili in varie decorazioni e motivi, inoltre non contengono sostanze tossiche. Il sapore delle bevande rimane intatto e l’aroma si conserva al meglio per gustare il caffè o altre bevande come a casa.
I posti di lavoro
Ovviamente, però, “rivoluzioni” così eclatanti si portano dietro tante polemiche. CONFIDA, Associazione Italiana Distribuzione Automatica, denuncia la grave problematica del comparto delle imprese che producono le palette del caffè che, in assenza di alternative, rischiano di perdere il 90% dei posti di lavoro.
«In base alla direttiva europea – commenta Massimo Trapletti, presidente di CONFIDA – laddove non esistano alternative, come in questo caso, i singoli Paesi dovrebbero perseguire solo gli obiettivi di riduzione del consumo e non di divieto di immissione sul mercato. Quanto previsto dalla legge di recepimento italiana, quindi, prevede delle restrizioni sproporzionate e discriminatorie nei confronti dei produttori di palette che subirebbero un danno economico ingente. L’intero settore del vending – conclude il presidente – sarà in difficoltà per la mancanza di un accessorio fondamentale per l’erogazione del servizio».
Il comparto, però, non ci sta. «Le palette in plastica, inoltre –conclude Trapletti – sono prodotti riciclabili composti dallo stesso materiale dei bicchierini utilizzati nei distributori automatici. Per questo motivo, sono state incluse nel progetto RiVending voluto e promosso da CONFIDA, Corepla, e Unionplast che si sposa con i principi europei dell’economia circolare fornendo un ‘fine vita’ virtuoso alla plastica dei distributori automatici».
Le sostanze nocive nei prodotti alternativi
Vietare i prodotti di plastica “usa e getta” in Europa potrebbe però avere soluzioni alternative altrettanto inquinanti. Alcuni test dimostrano la presenza di sostanze nocive nei prodotti alternativi. Lo denuncia il Centro Tutela Consumatori Utenti di Bolzano, che riprende alcune ricerche.
Come quella dell’Organizzazione europea dei consumatori BEUC, che ha analizzato in quattro Paesi, fra cui l’Italia, stoviglie monouso fatte di carta, canna da zucchero o foglie di palma, trovando (a maggio 2021) sostanze nocive nel 53% dei prodotti analizzati. Fra queste, residui di pesticidi e PFAS (sostanze perfluoro alchiliche). I PFAS vengono utilizzati per rendere i tessuti, gli imballaggi alimentari e le carte repellenti all’acqua, al grasso e allo sporco.
Anche Il Salvagente (giugno 2021) ha analizzato piatti e bicchieri monouso compostabili, trovando, in nove degli undici prodotti analizzati, presenze di PFAS. Due dei prodotti ne erano invece esenti, il che ha portato Il Salvagente a concludere che è senz’altro possibile una produzione alternativa senza l’impiego di sostanze nocive (fra cui i PFAS).
Queste sostanze chimiche (i PFAS), che sono degli interferenti endocrini e influiscono sul sistema ormonale umano, sono problematici sotto più aspetti. Da un lato l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS (IARC) li considera potenzialmente cancerogeni; sono inoltre persistenti e per questo, già in molti, ne parlano come di “inquinanti perenni”. Resta da chiarire, allo stato attuale, se le stoviglie rilascino queste sostanze negli alimenti che contengono, che cosa accada durante il processo di compostaggio, e se le sostanze alla fine finiscano anche nelle acque.
In Europa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare EFSA, ha disposto attualmente dei valori limite soltanto per quattro PFAS, in quanto gli altri non sono stati analizzati, sino ad ora, in modo sufficientemente approfondito. Da qui, la richiesta di creazione di una cornice normativa che preveda autorizzazioni, valori limite e controlli precisi.