Petrolio in val d’Agri

Nelle distese a perdita d’occhio spuntano come funghi tralicci bianchi illuminati, piccole torri Eiffel rumorose che segnalano le trivellazioni, i pozzi petroliferi. E’ Basilicata, ma sembra il Texas: frutto della caccia all’oro nero che in questa regione si è scatenata con un ritmo veloce e pieno di contrasti. In Val d’Agri si può andare per funghi, per campagne, guardare i pascoli e le mucche, incontrare i pastori, ma si può anche fare un tour tra capannoni e perforazioni, osservando da una parte i vigneti e le coltivazioni di fagioli e patate, dall’altra la raccolta del petrolio.

Pozzo di trivellazione in Val d'Agri

Dicono che il giacimento valga 50 miliardi di euro e che sotto le terre selvagge e affascinanti di questo lembo di Mezzogiorno, ci siano addirittura un miliardo di barili di petrolio. Ma si deve scavare a profondità notevoli, oltre 3-4 mila metri, sondare la qualità e la quantità di oro nero e estrarre, mungere la Basilicata come si fa ancora per il latte dalle mucche. Non tutti sono d’accordo: «Siamo una terra colabrodo, non fanno che bucarci e il lavoro promesso manca ancora», protestano gli ambientalisti. Mentre il fronte politico-governativo-imprenditoriale replica: «Tutto falso: lo sviluppo e le risorse derivanti dalle royalties versate alla regione dalle compagnie petrolifere possono dare invece risultati concreti». La questione è aperta e piena di punti interrogativi. La Val d’Agri è un esempio di ciò che sta accadendo nel resto d’Italia, dove 1700 pozzi attivi rendono ogni anno quattro milioni di tonnellate di greggio. Ma questa produzione rappresenta soltanto il 5% del fabbisogno nazionale. Noi andiamo in auto ovunque, consumiamo senza freni e il risultato è che si deve cercare nuovo petrolio. Dove? Anche al Sud, anzi soprattuto nelle terre “vergini”, dove il petrolio si sa che c’è e dove non si è scavato abbastanza. L’idea di sondare il Sud è talmente radicata, che ogni volta ne spunta una nuova: qualche mese fa si è parlato dell’Adriatico, davanti alle Tremiti (ma in quale Paese si può pensare di trivellare in mare tra i turisti?) o al largo di Monopoli.

piattaforma petrolifera

Poi per fortuna, dopo le polemiche sollevate dall’annuncio, si sono mossi gli ecologisti, i ricorsi giudiziari, i sindaci battaglieri e la stessa Regione Puglia che ha opposto un secco “no”. E così sull’argomento è calato il silenzio, mentre pare che l’interesse a cercare nuovi pozzi in mare sia spostato verso la Sicilia, altra terra di perle turistiche. Ma non basta. Non solo caccia al petrolio in Puglia e Sicilia, nel Basso Adriatico o laddove si sperava di far nascere parchi nazionali. C’è la Basilicata, la Val d’Agri che da sola è un simbolo di quell’Italia fatta di contadini.

Parco Nazionale dell'Appennino Lucano Val d'Agri

Un’Italia che ora è piena di ragazzi laureati e senza lavoro; di contadini che a volte non coltivano più; di gente che ha il precariato come vita quotidiana. Su queste speranze, il petrolio non ha saputo accendere risorse: la gente che è riuscita a lavorare nelle nuove aziende (pochi per la verità, dato che molta manodopera specializzata proviene dalle stesse compagnie) denuncia che il lavoro è a termine, anche se ben pagato. E poi c’è la contrastata vicenda delle royalties: secondo la legge 99 del 2009, ogni cittadino lucano munito di patente potrà ricevere direttamente a casa – lo sostiene l’on. Vincenzo Taddei (Pdl) – i ricavi delle royalties. C’è chi fissa questa cifra al 3% e chi parla di un aumento dal 7 al 10%. Fatto sta che mancano i decreti attuativi e che i ritardi burocratici rendono questi assegni dei veri e propri sogni. Chi si batte da tempo contro i contrasti di questa terra splendida, desolata e ricca al tempo stesso, è il Comitato No Oil, con in testa Michele Somma: è lui a spiegare, anche tramite i continui interventi sul suo sito, che controllare le quantità di estrazioni del petrolio, cifre su cui si calcolano le royalties spettanti ai cittadini, è impossibile. Il presidente della Regione Basilicata De Filippo parla di un ufficio del Ministero dello Sviluppo economico che farebbe da controllore; mentre sui ritardi, si afferma che tutto dipende dalla concertazione tra Ministeri, perché i dati (ad esempio quelli sui cittadini muniti di patente) arrivano da Ministeri diversi. E il tempo passa. Nel frattempo si fanno grandi progetti, come quello del Parco dell’energia che sarà attivato a Grumento Nova, con percorsi guidati, prove di veicoli a basso consumo, persino un padiglione enorme dedicato allo spettacolo, con una cupola geodesica. Certo, questo porterà sviluppo e lavoro, ma forse sarebbe urgente procedere, perché nel frattempo i giovani senza lavoro scappano al Nord. Se si passa dalla Val d’Agri ai territori pugliesi costieri dove per un po’ di tempo è stata ventilata l’ipotesi di cercare petrolio in mare, l’opposizione non è meno forte. Tutti si chiedono come sia possibile trivellare tra i gozzi azzurri che I turisti vengono a fotografare, come si sia potuto immaginare di cercare petrolio tra chi cerca polpi. Il Sud fa gola. Una società di Houston sarebbe interessata anche alla ricerca di giacimenti petroliferi sulla Murgia e si è parlato di possibili estrazioni di gas e petrolio persino nello Jonio, a Nova Siri.

Il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo

Sono tutte zone in cui l’occupazione stenta, la gente si lamenta. Ma non per questo, dicono gli ambientalisti, si deve colonizzare proprio il Sud. L’ingegnere ambientale Giuseppe Deleonibus, dei Verdi, portavoce del comitato “No petrolio, sì energie rinnovabili” ricorda tutte le tappe della vicenda e sottolinea che, da quando il Ministero dell’Ambiente ha dato il via libera alle ricerche in Puglia, senza la protesta e la campagna scatenata, non si sarebbe arrivati al risultato finale, all’happy end della rinuncia. Ricorsi al Tar, sfilate di cittadini e, finalmente, lo stop del governo regionale di Nichi Vendola e le (parziali) rassicurazioni ministeriali. Il sito cui era interessata la Northern Petroleum ltd era il mare Adriatico a sud della provincia di Bari e a nord di quella di Brindisi, a una distanza che varia dai 10 ai 37 chilometri al largo. Una zona – sottolineò subito il sindaco di Ostuni Domenico Tanzarella – in cui il mare è stupendo, premiato da diverse Bandiere blu. Il petrolio poi fa paura più di tante altre forme di industrializzazione che comunque rischiano di essere dannose: gli esperti spiegano che i danni sarebbero enormi e una ricercatrice italoamericana, Maria Rita D’Orsogna, parla del pericolo di aumento di idrogeno solforato a causa delle trivellazioni, situazione che può provocare disturbi neurologici e respiratori. Del terribile incidente al largo della Louisiana, dei danni incommensurabili provocati all’ambiente l’estate passata, nessuno parla più. Ma la caccia al greggio ha anche questi rischi. Non deve per forza verificarsi una catastrofe, ma si può stare tranquilli e definire “innocue” le trivelle? Si può pensare ancora nel 2010 che lo sviluppo di un Paese passi attraverso le mire di una grande multinazionale del greggio? Pensiamoci. Anche quando sfrecciamo in auto ovunque, persino dove ci porterebbero benissimo le nostre gambe.

 

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