Pesca illegale in Puglia, 50 denunce e sanzioni per 100 mila euro

Vasta operazione della Guardia Costiera a tutela delle risorse ittiche e dei consumatori

 

Si è conclusa la vasta operazione della Guardia Costiera di Bari che, dal 25 febbraio al 7 marzo in tutta la Puglia, ha eseguito una serie di controlli in mare, nei punti di sbarco e nei locali adibiti alla vendita al dettaglio dei prodotti ittici.

Nel corso dell’operazione, mirata a reprimere la pesca illegale e a tutelare i consumatori e i pescatori professionisti onesti, sono stati eseguiti 365 controlli.

Tanti gli illeciti segnalati, che vanno dalla mancata tracciabilità e salubrità dei prodotti alla pesca illegale.

Durante l’attività operativa sono stati scoperti 5 kg di datteri venduti illegalmente in una pescheria di Bari, mentre il titolare è stato denunciato.

I controlli ci sono stati anche su strada: infatti, i militari hanno intercettato lungo la SS100 un mezzo con 50 cassette di novellame di bianchetto, per un peso complessivo di 250 kg. Per il conducente del mezzo è scattata, oltre al sequestro del pesce, una sanzione di 25 mila euro.

Sempre a Bari sono stati sequestrati circa 7000 ricci, per un peso di 800 kg, provenienti da pesca illegale e privi di alcuna garanzia di tracciabilità commerciale e sanitaria.

A Monopoli, invece, i militari hanno sequestrato ad un grossista oltre 500 kg di prodotto ittico privo di ogni documentazione sulla tracciabilità, mentre a Rodi Garganico sono stati sequestrati 810 kg di pesce privo dei documenti per la tracciabilità. Tutti i trasgressori sono stati sanzionati.

Complessivamente sono state scoperte 53 violazioni amministrative per un totale di 98.466 euro, mentre complessivamente sono stati sequestrati 2762 kg di prodotti ittici.

La pesca illegale e la pesca svolta da pescatori non professionisti rappresentano un gravissimo danno al settore ittico ma anche all’ambiente marino.

La pesca di datteri è un reato che ha conseguenze molto serie per l’ambiente, perché il mollusco ha una crescita molto lenta e crescendo si incunea in profondità nella scogliera. Per raggiungere la dimensione commerciabile ci vogliono almeno 30 anni e per pescarlo bisogna distruggere la scogliera, barriera fondamentale per la protezione della costa e per l’equilibrio degli ecosistemi marini. È fin troppo evidente che la spesa non vale l’impresa. Ma c’è ancora qualcuno che imperterrito, persevera in questa assurda pratica, fomentata soprattutto dal mercato nero.

Lo stesso vale per i ricci. Prima si pescavano con le mani persino a riva, adesso in molte zone sono scomparsi e per prenderli bisogna immergersi in profondità con le bombole, oppure acquistarli negli allevamenti. La loro funzione è vitale per la scogliera perché purifica l’acqua circostante.

Anche il novellame è vietato, perché si tratta sostanzialmente dei pesci molto piccoli, nati da poco tempo, che non hanno ancora raggiunto la maturità e quindi la riproduttività. È ovvio che mangiare la cosiddetta schiuma di mare impoverisce gli stock ittici, ma soprattutto frena la proliferazione delle specie che vanno così verso l’estinzione.

Infine, senza la tracciabilità e i documenti sanitari che devono accompagnare i prodotti ittici e ne certificano la qualità, è evidente che i rischi per la salute umana possono essere anche molto alti, così come i rischi ambientali.

Per queste ragioni bisogna diffidare sempre se mancano i requisiti richiesti per legge e segnalare subito alle autorità competenti qualunque illecito. Lo dobbiamo fare per il nostro bene, per il bene dei pesci e per il bene dell’ambiente.

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