
Ancora impossibile una stima reale dei danni e, soprattutto dei morti. Ciò che è certo è che il ciclone Daniel ha devastato e messo in ginocchio la Libia. La tempesta si è abbattuta sulle coste orientali del Paese e ha poi provocato la rottura di due dighe
“Il ciclone Daniel è stato il sicario, ma i mandanti delle devastanti alluvioni che hanno provocato migliaia e migliaia di vittime in Libia sono il cambiamento climatico, la cattiva o inesistente pianificazione del territorio e la mancanza di sistemi di allerta”.
Il messaggio del WWF è forte e diretto. E il linguaggio poliziesco si addice a quella che, di fatto, è la scena di un crimine. Perché il bilancio umano è elevato: secondo alcune delle (purtroppo parziali) cifre diffuse, le vittime sarebbero oltre 6.000, con 7.000 feriti, 10.000 dispersi e 40.000 sfollati. Ma sono numeri destinati a crescere anche perché i collegamenti telefonici e stradali sono stati parzialmente interrotti, rendendo difficile l’accesso alle aree colpite.
La Libia orientale è in ginocchio, devastata dalla tempesta Daniel che ha causato massicce inondazioni. A Derna, nell’est del Paese, due dighe a monte della città sono scoppiate sotto la pressione delle inondazioni, l’acqua si è riversata in città e il fiume che la attraversa è straripato causando morti, feriti e lasciando centinaia di residenti ancora intrappolati.
Ma non solo: il ciclone Daniel imperversa nel Mediterraneo da giorni, ha provocato alluvioni epocali in Grecia, dove ha messo ko un quarto della produzione agricola del Paese, in Turchia e in Bulgaria. Ma in tutti questi Paesi, il numero delle vittime è stato comunque relativamente limitato perché hanno funzionato i sistemi di allerta. In Libia, la furia del ciclone è stata alimentata da un mare da mesi molto caldo e in più, con le strutture estremamente carenti e il territorio edificato in modo non pianificato, è intervenuto su una situazione molto fragile.
I fragili
“Siamo in attesa dell’esame da parte degli scienziati per stabilire di preciso il ruolo avuto dal cambiamento climatico nell’intensità estrema del ciclone – sottolineano dal WWF -, ma è comunque certo che il mare estremamente caldo nelle acque superficiali sia l’energia cui il ciclone ha attinto per rafforzarsi. La maggior parte dei libici vive in aree costiere a rischio di inondazioni con l’innalzamento del livello del mare. Quanto accaduto in Grecia, Bulgaria, Turchia e da ultimo in Libia è proprio la rappresentazione della portata della minaccia rappresentata dalla crisi climatica: gli effetti sconvolgenti colpiscono tutti, ma per i più fragili diventa una tragica e devastante trappola mortale”.
Le migrazioni
Purtroppo, la morsa delle catastrofi climatiche miete vittime soprattutto tra chi non ha soldi per case solide e lontane da aree a rischio scavando un inesorabile spartiacque tra ricchezza e misera, vita e morte: una forbice sempre più aperta che segna il destino tra chi sopravvivrà e chi si gioca la vita. “Sappiamo già che tutto questo – evidenziano dal WWF – spingerà un‘umanità sempre più disperata a giocarsi il tutto per tutto per tentare di sopravvivere e dare un futuro alla propria famiglia. Non dobbiamo quindi stupirci se le migrazioni umane continueranno con sempre più disperazione a bussare alle nostre porte, con il loro carico di sofferenza e dolore. Quelle porte non potranno che essere aperte nella consapevolezza che chi fugge è vittima delle nostre azioni e dei nostri consumi”.
“Ci auguriamo – è l’ultimo invito del WWF – che le aziende italiane che oggi sfruttano le risorse naturali libiche, innanzi tutto gas e petrolio, devolvano tutto il ricavato, almeno dell’ultimo anno, nei soccorsi diretti alla popolazione, affidandoli ad agenzie ONU e ONG attendibili per fare in modo che arrivino davvero alle persone che ne hanno bisogno”.
L’aiuto della Protezione Civile

C’è intanto chi si è già mobilitato. Il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile ha infatti autorizzato la Regione Puglia a fornire materiale DPI in aiuto della popolazione colpita. Si tratta di mascherine FFP2 n. 175.000 pezzi, mascherine FFP3 n. 240.000 pezzi, tute n. 5.000 pezzi, camici n. 9.000 pezzi, distribuito su n. 30 bancali/pallet complessivi.
Il materiale partito ieri sera dalla sede della Protezione civile regionale di Modugno, è stato caricato sulla nave militare San Marco nel porto di Brindisi ed è ora in viaggio verso la Libia. Il direttore del Dipartimento regionale di Protezione Civile, Nicola Lopane, con alcuni funzionari della Protezione civile pugliese, hanno seguito le operazioni di imbarco.
Azione contro la fame
Mascherine, ma non solo. “Di fronte a questa catastrofe, che aumenterà i bisogni umanitari di una popolazione già duramente provata, ci siamo subito mobilitati con i nostri team presenti sul campo per monitorare da vicino la situazione e sosterremo la Mezzaluna Rossa locale, nella distribuzione di cesti alimentari, prodotti non alimentari e kit igienici per 1.000 persone colpite”, commenta Simone Garroni, direttore di Azione contro la Fame.
Già prima delle inondazioni, la situazione in Libia era fragile e complessa, con oltre 1,5 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari. Azione contro la Fame opera in Libia dal 2019 con progetti miranti a migliorare la resilienza delle popolazioni colpite dal conflitto e a migliorare l’accesso ai servizi di base per le comunità più vulnerabili (qui il link per aiutare a soccorrere le popolazioni colpite).
Il ruolo della prevenzione
Insieme alla gestione dell’emergenza, c’è però anche la necessità di valutare cause e potenziare le attività di prevenzione. “Quello che è accaduto sulle coste meridionali del Mar Mediterraneo – sottolinea il geologo Antonello Fiore, Presidente Nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale – è accaduto lo scorso anno nelle Marche e a Ischia; la scorsa primavera ancora in Emilia Romagna e negli anni precedenti in Piemonte, Liguria, Sardegna, Sicilia, Puglia. Ogni evento successivo che colpisce un territorio circoscritto e diverso, fa dimenticare il dramma della popolazione e i danni al sistema produttivo causati dal dissesto geo-idrologico precedente. Con gli eventi climatici estremi che generano sempre più frequenti devastanti alluvioni e frane abbiamo la possibilità e il dovere di potenziare la previsione per contenere gli effetti con la realizzare le opere di prevenzione e il monitoraggio per individuare le priorità di intervento”.
Il dramma che ha vissuto la Libia orientale, migliaia di morti e dispersi, è stato aggravato dal crollo di due dighe. “Le grandi infrastrutture, costruite decenni fa – sottolinea Fiore -, sono fortemente soggette al rischio climatico e per questo vanno adeguati gli scenari di rischio e implementato al massimo il monitoraggio; principi questi che valgono per tutti e soprattutto per noi, senza perdere altro tempo. La prevenzione va fatta anche con la pianificazione adeguata agli scenari climatici attuali e dobbiamo avere anche il coraggio di trasferire le aree urbanizzate e le infrastrutture che non possono essere messe in sicurezza”.