
In occasione della Giornata mondiale dell’acqua il racconto delle alluvioni a Bari e della necessità di gestire con attenzione il territorio nel libro del professor Michele Mossa
Per capire come e perché si siano verificate le alluvioni, occorre capire come l’acqua nel tempo abbia inciso i dintorni di Bari, quell’area vasta in cui dobbiamo calarci, per capire come era e come l’uomo la abbia trasformata.
È in questa logica che leggiamo l’introduzione a Le alluvioni a Bari: ciò che la storia avrebbe dovuto insegnare (Adda), la ricerca svolta dal prof. Michele Mossa, ordinario di Idraulica presso il DICATECh –Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e del Territorio, Edile e di Chimica – del Politecnico di Bari. In poche pagine, con l’aiuto di mappe, foto e figure anche storiche, l’autore riesce infatti a descrivere il territorio attorno a Bari e permette ai lettori di toccare con mano le alluvioni e i disastri di un passato ancora recente.
Nove lame intorno a Bari
Appare significativa una foto satellitare proposta, che con semplici linee traccia le presenze delle lame baresi, ponendo in risalto il ruolo, fra le altre, della lama Picone, nel cuore della città, chiamata in causa per importanti alluvioni e che viene intercettata ora dal canale deviatore che smista le acque verso la Lama Lamasinata e da qui verso il mare, alleggerendo Bari dal rischio di catastrofi. La foto ha un suo valore perché fa capire il percorso dell’acqua che a Bari perviene dall’entroterra attraverso percorsi semplici tracciati nei calcari dall’acqua, partendo a nord con la Lama Balice (prosecuzione del Tiflis, un torrente che giunge a Bitonto e che quindi scende verso il mare). Da nord, dalla Lama Balice, il territorio è solcato fino al confine sud da 9 lame, fino alla Lama Giotta, che partendo da Noicattaro sfocia poi a Torre a Mare.
Tante alluvioni, Da Isabella Sforza al 2015
Mossa divide il tempo attraverso i momenti delle più importanti alluvioni che sinteticamente ma efficacemente descrive. E così si parte già dal XVI secolo, quando la duchessa Isabella Sforza aveva fatto scavare intorno alle mura un canale navigabile per impedire gli allagamenti dell’abitato, canale mai realizzato per varie circostanze ma di cui abbiamo testimonianza nella famosa Ansa di Marisabella così chiamata in ricordo dello “sfortunato tentativo” fatto dalla Duchessa di intervenire contro i disastri della natura. Si viaggia quindi nel tempo e si richiama il disastroso allagamento del 1827 raccontato in manoscritti da cui veniamo a sapere che l’acqua caduta sui rilievi delle murge altamurane giunse a Bari, provocando disastri e morti.
E poi c’è la puntuale narrazione della piena verificatasi nel 1905, che interessò strade ed edifici, provocando significativi danni e figlia dello sviluppo della Bari Murattiana, una crescita che si snodava con maglie regolari e che non teneva conto dell’orografia del territorio, del Torrente Picone e dell’area di Marisabella. Per prevenire altri disastri si avviò la costruzione di un canale che però non riuscì a contenere la piena del 1915, che generò 23 morti e 50 feriti. Così come non servì arginare l’alveo del Torrente Picone e creare un canale deviatore, noto oggi come Lamasinata, che si unisce ancor oggi con il mare in località San Francesco: nell’alluvione del 1926 l’acqua si riversò proprio nel vecchio alveo del torrente Picone. E il racconto prosegue dando spazio alle foto e alla storia degli interventi, che passano per la forestazione dell’alto bacino del Picone, dove oggi sorge la foresta di Mercadante, per arrivare al passato molto recente dell’alluvione del 2005 col suo bilancio di 6 morti. La testimonianza della violenza delle acque sta tutta in quella foto dell’Eurostar 9410 Taranto-Milano, partito da Taranto alle 05,35 – il cui locomotore rimase sospeso su una voragine.
LEGGI ANCHE: Dissesto idrogeologico, una realtà in Puglia
Cosa (non) abbiamo imparato
Le alluvioni di Bari: ciò che la storia avrebbe dovuto insegnare dà spazio anche ad argomentazioni e considerazioni più tecniche e chiude con la riflessione sull’importanza delle opere dell’uomo: dagli interventi poco attenti ai caratteri orografici del territorio alla ideazione di opere imponenti che ne hanno garantito la salvaguardia (si pensi a quelle del primo ‘900), per giungere a nuovi errori del recente passato. Il monito è chiaro: non possiamo scimmiottare la natura e non possiamo non tenere in conto i disastri del passato per trarne lezioni. Occorre forse un nuovo umanesimo, capace di guardare più al rispetto del territorio perché possano trarsi buoni frutti e non una raccolta di effetti disastrosi generabili da interventi umani poco attenti.
Michele Mossa, Le alluvioni di Bari: ciò che la storia avrebbe dovuto insegnare, Adda Editore, 2021, pagg. 95, € 15,00