
La terra grida… Non può essere accolto soltanto come un’esortazione rituale (è ormai l’undicesimo anno che si celebra la “ricorrenza” della Giornata della custodia del creato) , un’ulteriore riflessione sui temi già affrontati nell’enciclica Laudato si’ e neppure come una particolare applicazione dell’invito alla misericordia che caratterizza l’anno giubilare in corso. Il messaggio per la giornata della custodia del creato, che Papa Francesco anche quest’anno ha consegnato a tutte le nazioni e ai credenti di tutte le fedi nel segno di un impegno che le chiese cristiane portano avanti ormai da decenni, intende “…rinnovare la personale adesione alla propria vocazione di custodi del creato”, richiamando tutti alla comune responsabilità a voler porre rimedio al reiterarsi continuo del sacrilegio contro la natura e le sue leggi e ai molteplici peccati che determinano la devastazione dell’ambiente naturale e sociale in cui l’umanità non riesce più a trovare possibilità dignitosa di vita.
Colpisce, nelle parole del Pontefice, la sua volontà di utilizzare la globalizzazione come cifra positiva dell’impegno ecologico: tutti sono chiamati – come singoli, comunità, organizzazioni, istituzioni civili e religiose – a promuovere e realizzare iniziative “per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica circa i pericoli dello sfruttamento irresponsabile del pianeta”. C’è spazio per ogni forma di intenzionalità e intraprendenza, nell’ambito di un ecumenismo che fa proprio della custodia del creato un concreto territorio di incontro, dialogo, collaborazione, nella comune consapevolezza che non si può più rinunciare a fare i conti con la “crisi morale e spirituale che sta alla base dei problemi ambientali e del degrado” e che l’economia, la politica, la cultura, devono partecipare all’impegno per promuovere la giustizia ambientale, la sollecitudine verso i poveri e l’impegno responsabile nei confronti della società. Anche le religioni devono fare la loro parte: “Cristiani e non, persone di fede e di buona volontà, dobbiamo essere uniti nel dimostrare misericordia verso la nostra casa comune – la terra – e valorizzare pienamente il mondo in cui viviamo come luogo di condivisione e di comunione”.
Nella stesura del messaggio, rivolto al mondo intero, Papa Francesco certamente non poteva immaginare che le sue parole avrebbero intercettato, a non molti chilometri di distanza dal Vaticano, la tragedia immane del terremoto, che purtroppo non è unica nel suo genere, ma solo l’ultimo episodio del contrasto fra il “giardino rigoglioso” donato da Dio all’umanità e la “distesa inquinata di «macerie, deserti e sporcizia»” di cui parlava nella Laudato si’ . Ma sicuramente non è rimasto insensibile alla sofferenza delle famiglie private della propria casa e lacerate negli affetti dei territori colpiti dal sisma, tanto da annunciare, al più presto, di recarsi in visita per esprimere solidarietà alle popolazioni del Lazio, dell’Umbria e delle Marche e per condividere il grido intriso di dolore e di indignazione che il vescovo di Rieti, monsignor Pompili, ha emesso nella celebrazione dei funerali delle vittime di Amatrice: “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo“, ha detto in una predica breve ma intensa, aggiungendo subito dopo che la ricostruzione non dev’essere “una ‘querelle politica’ o una forma di sciacallaggio di varia natura, ma quel che deve“, se davvero si vuole “far rivivere una bellezza di cui siamo custodi. Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta“.

«Che facciamo ora?» È stata la domanda che, nel primo rito di esequie celebrato per le vittime del terremoto in terra marchigiana, ha posto il vescovo di Ascoli Piceno, monsignor D’Ercole, a se stesso, alla comunità locale, ma soprattutto a Dio, chiedendo il dono del coraggio della paura perché venga sconfitta la paura del coraggio, che inevitabilmente genera la rinuncia a sperare e operare per il ripristino degli spazi e dei ritmi della convivenza sociale e del rapporto fra uomo e natura. Nel messaggio del Papa vengono evidenziate strategie efficaci di intervento, che possono intercettare questa come altre tragedie ecologiche, nella linea di una globalizzazione della solidarietà. L’invito è chiaro: “Non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici”; non possiamo esimerci da dare risposta ad eventi meteorologici sempre più gravi, ai cambiamenti climatici, alla straziante transumanza di migranti forzati; non possiamo fare finta di non vedere il crescente numero dei poveri del mondo, a cui l’Europa chiude le porte con respingimenti e diatribe politiche di ogni genere.
Ma il fare da solo non basta; per coltivare e custodirela terra con rispetto ed equilibrio ci vuole un cambiamento di rotta che il pensiero cristiano classico definisce con il termine conversione e che Papa Francesco nel suo messaggio indica, senza mezzi termini, come una conversione ecologica. Questa è possibile solo a partire dal conoscimento dei crimini contro la natura e contro l’umanità e “richiede una chiara presa di coscienza della nostra responsabilità nei confronti di noi stessi, del prossimo, del creato e del Creatore”. Questo esame di coscienza, che chiama soprattutto l’Occidente a riconoscere i propri errori, “implica gratitudine e gratuità, vale a dire un riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre, che provoca come conseguenza disposizioni gratuite di rinuncia e gesti generosi”.
Gratuità, rinuncia, generosità: sono queste le parole chiave che il messaggio consegna urbi et orbi, indicando gli ambiti concreti in cui esprimere questi atteggiamenti: gratitudine verso tutto ciò che la terra mette a disposizione di tutti gli esseri umani; allontanamento dal «desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno» e dal sistema economico, sociale, politico «che ha imposto la logica del profitto ad ogni costo, senza pensare all’esclusione sociale o alla distruzione della natura»; maturazione di un ruolo generativo nei confronti soprattutto dei giovani, perché la vita di tutti possa essere degnamente vissuta. E se ciascuno è invitato a cambiare rotta nel proprio personale stile di vita, è altrettanto urgente che la politica, l’economia e la cultura accettino la sfida di un salto di qualità che è profetico, orientando la società a liberarsi dal dominio di una “mentalità del breve termine” in cui conta la ricerca di un immediato ritorno finanziario o elettorale, piuttosto che la ricerca della giustizia che consenta la redistribuzione dei beni della terra fra tutti i popoli, il saldo del debito ecologico fra il nord e il sud del mondo, il perseguimento di uno sviluppo sostenibile nel’uso sapiente delle scienze e delle tecnologie.
Una nuova opera di misericordia. Il messaggio del Papa si conclude con una proposta provocatoria: aggiungere l’impegno ecologico alle opere di misericordia materiali e spirituali che il Catechismo propone ai cristiani come mappa concettuale della loro testimonianza e come criterio di giudizio del loro agire morale. Non è un altro precetto, un nuovo vincolo a cui aderire forzosamente; piuttosto una possibilità concreta di dare “spazio alla fantasia della carità per individuare nuove modalità operative”, acquisendo coscienza che la cura della casa comune – la terra – è la trama che bisogna tessere perché ogni singolo impegno possa essere immesso e valorizzato nella costruzione del bene di tutti. Non è poco, anche se è difficile dire quanto il pensiero del Papa sia stato correttamente inteso; se i commenti esplicitati dai media sono in genere positivi, non mancano le voci critiche, che commettono tutte le stesso errore: aspettare che gli altri si muovano per primi, che il cambiamento venga dall’alto, che il sistema cambi per mezzo di interventi autoritari. Evitare questa ulteriore deriva dell’irresponsabilità sarà importante, soprattutto in Italia, dove tanti “disertori” della coscienza civile impediscono l’esercizio maturo della democrazia.