La morte bianca “da lavoro sbagliato”

Lasciano sgomenti le tragiche notizie delle ultime ore, relative alle così dette “morti bianche” sul posto di lavoro.

Gli operai scomparsi alla Thyssen - Paolo Ferrero, Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi,Rosario Rondinù, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rocco Marzo e Antonio Santino

Oggi, infatti, è stata pronunciata dalla Corte di Assise di Appello di Torino la sentenza di appello Thyssenkrupp, processo noto alle cronache perché nel dicembre 2007 sette operai impiegati nella fabbrica siderurgica tedesca, con sede a Torino, persero tragicamente la vita, coinvolti in un incendio scoppiato nella “linea 5” della fabbrica stessa. In primo grado l’amministratore delegato Harald Espenhahn fu condannato a 16 anni di reclusione per omicidio volontario (dolo eventuale), con grande soddisfazione del Sostituto Procuratore Raffaele Guariniello (già noto alle cronache per l’epocale sentenza Eternit di Torino), il quale dichiarò che «non era mai successo che per una sentenza di lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale». In grado di appello, però, con grande disperazione e rabbia da parte delle famiglie delle vittime e malcelata amarezza e disappunto da parte dello stesso Guariniello, i giudici hanno deciso per la riduzione della pena di Espenhahn a 10 anni, con l’accusa più lieve di omicidio colposo per colpa cosciente.

Guariniello, però, ha dichiarato, riferendosi ai familiari disperati : «Eternit sarebbe stato il mio ultimo processo, invece resterò con voi per combattere questa battaglia fino in fondo», annunciando che ricorrerà per cassazione avverso la nuova sentenza dell’appello.

Panoramica dall'alto dell'ILVA di Taranto

A questa triste notizia, che non ripaga moralmente le famiglie dei lavoratori tragicamente scomparsi nell’atto di compiere il proprio onesto e dignitoso lavoro, fa eco la notizia, altrettanto drammatica, dell’ennesimo incidente verificatosi all’ILVA di Taranto, incidente che è costato la vita a un operaio e ha prodotto un ferito grave. Il dipendente Ciro Moccia, infatti, è deceduto precipitando da quindici metri, insieme a un collega, da un ponteggio già traballante e poi franato nel vuoto. La Cisl ha chiesto di effettuare indagini sull’accaduto.

Questo incidente è già il terzo da ottobre (come se le vicissitudini dell’ILVA e dei danni da amianto e diossine non fossero già abbastanza per la città di Taranto) e notizie del genere suonano profondamente sconcertanti in un’epoca come la nostra, in cui la tecnologia dovrebbe essere utilizzata, intelligentemente, per rendere i luoghi di lavoro più sicuri, più vivibili e, soprattutto, consoni e conformi alle previsioni di legge!

Panoramica dall'alto della Thyssenkrupp

Sono tante, infatti, le norme in materia di sicurezza sul lavoro, innumerevoli le modifiche, le integrazioni, le rivisitazioni dei testi normativi, ma il risultato qual è? Che gli operai possono morire di lavoro sbagliato, cioè di un lavoro che li condanna ad una morte ingiusta e inconsapevole, perché costretti a lavorare in condizioni precarie e pericolose. E, nel contempo, le pene per gli episodi di incuria, imprudenza, imperizia e indifferenza verso l’assenza di idonee misure di protezione (anche minime!) da adottare sui posti di lavoro, raramente vengono comminate in modo equo. C’è da chiedersi, infatti, perché quei ponteggi dell’ILVA erano così traballanti e se gli operai fossero adeguatamente imbracati; e se gli operai bruciati in modo atroce e impietoso alla Thyssen si sarebbero mai potuti salvare dall’incendio. Si presume, infatti, che una delle più grandi aziende siderurgiche del mondo, cioè un’azienda che lavora col fuoco perché fonde l’acciaio, disponga di tutte le misure di sicurezza per proteggere i propri operai dal fuoco stesso!

Raffaele Guariniello

E invece il PM Guariniello aveva dimostrato che i dirigenti sapevano che le misure erano insufficienti e, ciononostante, lasciavano correre. Ora, ragionando brevemente su colpa cosciente e dolo eventuale (che tra loro vedono una labile linea di confine, ma con conseguenze molto diverse) va solo detto che la Procura aveva letto, nell’incuria e nella facilità con cui erano deceduti gli operai, il dolo eventuale (cioè il fatto di accettare la possibilità della morte o del pericolo e procedere nell’incuria stessa senza provvedere con misure migliori!). Mentre i giudici dell’appello hanno optato per la più blanda colpa cosciente, la quale implica che il reo preveda l’evento ma ritenga erroneamente che ciò non possa accadere. In entrambi i casi, però, c’è una previsione e, per chi vi scrive, non è difficile immaginare che un dirigente aziendale, conoscendo alla perfezione lo stato di sicurezza del proprio stabilimento, non sia in grado di prevedere disastri e di sventarli con adeguati interventi. Nel caso Thyssen, per altro, sarebbero bastati 20mila euro in tutto, per proteggere la vita di ben sette dipendenti.

Guariniello, tuttavia, ha osservato che «non è facile quando si tratta di cambiare la giurisprudenza», perché in materia di lavoro, raramente si riconosce il dolo. Ma proprio lui ha avuto il coraggio di essere in controtendenza e di accogliere le accuse di dolo eventuale per le morti da amianto nel processo Eternit.

E allora a quali conclusioni dovremmo giungere? Che esistono morti di serie A e serie B? Che i lavoratori non hanno tutti uguale dignità o che il valore delle vite umane varia a seconda delle correnti giurisprudenziali?

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