
La prima grande azione legale contro lo Stato per salvare l’Italia (e il pianeta) dalla catastrofe climatica. Nostra intervista all’attivista che si occupa di conflitti ambientali
La sfida è così ambiziosa che il libro opportunamente si intitola “La causa del secolo”. A curarlo è Marica Di Pierri che lo ha scritto insieme a Filippo P. Fantozzi e Maura Peca.

La crisi ecologica e la rivoluzione climatica in corso non ci devono spingere solo a ripensare il modo in cui viviamo, consumiamo e produciamo beni e servizi. Se da un lato è urgente una transizione energetica, così come lo sono una serie di nuove abitudini da prendere alla svelta, occorre una rivoluzione che sia anzitutto culturale: solo la consapevolezza del ruolo che possiamo avere può sostenere lo sforzo di innovazione che tutti dobbiamo compiere per cambiare il modo in cui abitiamo oggi un pianeta sotto stress.
Se bisogna prendere decisioni drastiche e trasformarle ancora più rapidamente in fatti concreti, portare le battaglie per il clima nelle aule dei tribunali si sta rivelando uno strumento di azione civile, di intervento concreto a sostegno delle battaglie sociali e culturali.
Ambienti&Ambiente ha intervistato Marica di Pierri, portavoce dell’associazione A Sud che dal 2003 si occupa di conflitti ambientali e “di quelle battaglie di difesa e resistenza che uomini e donne, in Italia e in tutto il mondo, portano avanti per difendere il diritto a scegliere sul futuro dei propri territori”.
Giornalista e divulgatrice, è dottoressa internazionale di ricerca in Diritti Umani con focus su cambiamenti climatici e diritti umani. Direttrice e co-fondatrice del CDCA – Centro Documentazione Conflitti Ambientali di cui coordina l’equipe di ricerca promuovendo attività di reporting e informazione su ambiente, energia, cambiamenti climatici, conflitti ecologici (il centro si occupa di mappare i più emblematici casi di conflitto nati attorno al controllo delle risorse naturali e dei beni comuni), è anche direttrice responsabile della testata Economiacircolare.com.
Autrice di articoli e saggi e co-autrice di diverse pubblicazioni, collabora con quotidiani, riviste, portali di informazione e testate radiofoniche e televisive. Al festival letterario LectorinFabula 2022, quest’anno dedicato proprio al tema del “Giudizio Universale”, ovvero alla consapevolezza dello stringente legame tra cambiamenti climatici e ambientali e un contesto sociale ed economico globale minato da disuguaglianze, migrazioni, egemonie politiche e di mercato, ha presentato “La Causa del secolo” (i proventi sosterranno la campagna legale per l’ambiente), al centro della nostra intervista.
Leggi anche La Terra che viviamo e la Terra che sarà: ‘Il Giudizio universale’ è a Lectorinfabula
Di Pierri: “Poco tempo per invertire la rotta”
La prefazione al suo libro s’intitola così: “In 150 anni abbiamo cambiato l’atmosfera. Ora cambiamo politica climatica”. Visto che abbiamo sprecato 20 anni non ascoltando la scienza che parlava di cambiamenti climatici, di cui già scontiamo pesanti effetti, e che tendiamo a rimandare al 2050 le scadenze dei vari protocolli ambientali, secondo lei quanto ci impiegheremo a cambiare le politiche ambientali?

«La prefazione cui fa riferimento è il prezioso e generoso contributo del climatologo e divulgatore Luca Mercalli, che è ricorrente con noi nella causa legale sia come singolo sia come presidente della Società Meteorologica Italiana, con cui è anche co-promotore della campagna Giudizio Universale. Tornando alla domanda, scontiamo un ritardo che non si può che definire drammatico.
Quest’anno la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici ha girato la boa dei 30 anni. Tre decenni in cui il pericolo crescente legato agli stravolgimenti climatici è stato un elefante fisso nella stanza: un’evidenza scientifica – non un’opinione – sistematicamente ignorata.
Ancora oggi, a trent’anni di distanza e con una emergenza climatica sempre più pervasiva, capillare e drammatica, gli egoismi nazionali e la difficoltà di trovare una quadra per un’azione globale dotata di sufficiente efficacia resta il principale problema.
Il tempo per invertire la rotta è poco, la scienza continua a ripeterlo. Il 2030 è la data entro cui dovremmo aver ridotto di almeno il 55% le emissioni, per azzerarle entro il 2050. Ma altrettanto poca appare la volontà politica di impegnarsi in tal senso. E con la crisi energetica legata all’invasione dell’Ucraina anche i timidi, teorici avanzamenti paventati sono destinati a tradursi velocemente in passi indietro.
In definitiva non so dirle quanto ci impiegheremo a cambiare le politiche ambientali, so però che non è più possibile attendere. L’emergenza climatica richiede scelte radicali, complesse. Una rivoluzione energetica, produttiva, dei trasporti, dei consumi che non sarà una cena di gala, ma che è l’unica prospettiva lungimirante a cui guardare, se vogliamo garantire diritto al futuro a chi verrà dopo di noi.»
Un quinto di Italia è ad alto rischio desertificazione
La mappa del rischio climatico forse non riesce neanche a prevedere tutti i pericoli che dovrà fronteggiare l’Italia. Una conferma, recentemente, è arrivata dal disastro delle Marche.
«L‘Italia è un hotspot di vulnerabilità climatica, ovvero un territorio su cui insistono molteplici fattori di rischio, ben più del percepito. Eppure le cronache anno dopo anno, mese dopo mese ci restituiscono la realtà dei fatti: già oggi il nostro Paese è stretto sempre più spesso tra siccità, eventi estremi, ondate di calore che hanno impatti drammatici sulla salute, sul territorio, su comparti economici importanti come l’agricoltura o il turismo. A ciò si aggiunga che secondo il World Atlas of Desertification un quinto del territorio italiano è ad alto rischio desertificazione e intere zone costiere sono a rischio inondazione ed erosione per via del progressivo innalzamento dei mari. Non solo Venezia e l’alto Adriatico, ma anche vaste aree di Abruzzo e Puglia sull’Adriatico e di Lazio, Campania, Sardegna e Sicilia sul versante tirrenico. Infine, siamo il terzo paese in Europa per morti causati eventi climatici estremi. Occorre tenere ben presente che come Paese paghiamo – e sempre più rischiamo di pagare – un prezzo altissimo sull’altare del caos climatico.»
“Fermare il riscaldamento globale è una sfida culturale”
Perché si è fatta portavoce di un’azione legale per il clima in Italia? Non è innanzitutto una questione culturale?

«La campagna non ha portavoce, ma più di 100 organizzazioni aderenti a livello nazionale che ne rappresentano le ragioni, tra associazioni, società scientifiche, movimenti giovanili e comitati locali. Io sono portavoce dell’Associazione A Sud, un’organizzazione ecologista indipendente attiva da 20 anni, che ha lanciato e coordina la campagna Giudizio Universale, oltre ad essere prima firmataria dell’azione legale climatica nata nell’ambito della campagna.
La sfida per fermare il riscaldamento globale e limitare i danni è senz’altro anche una sfida culturale, da qui il grande lavoro che la società civile mette in campo in termini di informazione, sensibilizzazione, mobilitazione. Ma è anzitutto una questione politica, per questo sono sempre più urgenti strumenti di pressione sulle istituzioni preposte al varo di politiche climatiche ambiziose.
L’Italia non ha una legge climatica; ha obiettivi di riduzione ben al di sotto dei target cui si è obbligata a livello internazionale (non arriviamo neppure al 30% di riduzione al 2030); ha recepito soltanto “simbolicamente” ovvero con un Piano strategico non ottativo, dunque non vincolante, il target del 55% del Fit for 55. Insomma, se tutti facessero come l’Italia a fine secolo le temperature sarebbero più di 3° superiori alle medie pre-industriali (contro l’obiettivo dell’Accordo di Parigi che prevede la soglia di sicurezza “ben al sotto dei 2°”).
In questo scenario, che purtroppo non riguarda solo l’Italia ma gran parte dei paesi firmatari dell’Accordo, le climate litigation sono diventate una nuova frontiera dell’azione climatica. In Olanda, Francia, Germania, Irlanda – per citare soltanto alcuni dei piu recenti ed eclatanti successi a livello europeo – si sono registrate vittorie legali storiche che hanno spinto i paesi a migliorare le loro politiche climatiche. Era arrivato il momento di provarci anche in Italia.
La causa italiana è iscritta a ruolo presso il Tribunale Civile di Roma. A ricorrere siamo il 203; 162 adulti, 17 minori e 24 associazioni attive sulla difesa dell’ambiente. Chiediamo al tribunale di condannare lo Stato ad adottare politiche per la: “riduzione delle emissioni di gas serra, in grado di rendere definitiva la stabilità climatica di tutto il territorio italiano e contestualmente garantire la tutela effettiva dei diritti umani per le presenti e future generazioni”. In altre parole, di riconoscere che lo Stato italiano è responsabile di inazione climatica e di condannarlo a moltiplicare i suoi sforzi di riduzione delle emissioni.»
“Nessun catastrofismo, siamo realisti”
“Il giudizio universale sta arrivando”. L’ultimo capitolo del suo libro riprende anche il tema di Lectorinfabula 2022, rassegna in cui lo ha presentato. Usando questa terminologia non si rischia di fare la fine di Cassandra? Può essere controproducente alla causa ambientale essere tacciati di catastrofismo?
«Il Giudizio Universale cui fa riferimento il nome della campagna non ha un contenuto apocalittico, ma evocativo e assieme provocatorio. Utilizziamo un lemma ben conosciuto grazie allo straordinario affresco della Cappella Sistina per sottolineare due elementi fondanti della nostra iniziativa: si tratta di un giudizio (portiamo lo Stato in tribunale) e lo facciamo per spingerlo ad agire contro un’emergenza che è globale, ovvero universale.

E comunque non siamo catastrofisti, siamo realisti. Basterebbe leggere gli scenari disegnati dagli scienziati per comprendere quanto c’è in gioco e quanto poco tempo ci sia da perdere. Ma essere realisti non vuol dire pensare che sia troppo tardi, o che siamo impotenti.
Abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di attivarci e chiedere azioni ambiziose e urgenti, per scongiurare il peggio. Tutti sono chiamati a fare la propria parte. Sul sito www.giudiziouniversale.eu, per cominciare, è possibile firmare l’appello a sostegno della campagna e dell’azione legale.»
“Primo nodo da sciogliere è quello energetico”
Quali sono le decisioni coraggiose che andrebbero prese il più presto possibile? E quali cause ambientali il nuovo governo dovrebbe affrontare urgentemente?
«Come accennavo, purtroppo pallidi correttivi non saranno sufficienti. È necessario un profondo ripensamento del modello di economia e di società. Che vuol dire del modo in cui produciamo, consumiamo, ci spostiamo, interagiamo. Il primo nodo – il principale nodo – da sciogliere è quello energetico. In questo periodo di crisi, anziché cogliere occasione per emanciparci dalle fonti fossili, che oltre ad essere clima alteranti sono anche un arma di ricatto a livello geopolitico, stiamo andando verso il consolidamento e il prolungamento della nostra dipendenza dal gas.
Partirei da questo. Poi, ci sarebbe da approvare e implementare finalmente un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, chiuso nel cassetto dal 2018.
E ancora, ripensare i sistemi di trasporto, spingendo verso la mobilità pubblica e a basso impatto e disincentivando quella privata; smettere di cementificare (il consumo di suolo in Italia ha conosciuto un nuovo record nel 2021); incentivare sistemi agroalimentari e di allevamento non intensivi e liberi da pesticidi. E si potrebbe continuare a lungo.
Leggi anche Verso la fine dell’umanità? A LectorInFabula la risposta è satirica