
Dott. Pietro Antonio De Paola*
Da un punto di vista molto generale, le situazioni a rischio idrogeologico in Italia sono note da oltre un secolo, a dir poco. Quindi niente di nuovo sotto il sole. Io faccio molto di frequente riferimento all’attività del legislatore che, con un Regio Decreto individuava giusto un secolo fa una serie di comuni assoggettati al rischio da frana, per il quale disponeva il trasferimento e il consolidamento. Questo per dire che in definitiva l’Italia è un Paese a rischio da frana da sempre. È evidente che, di fronte alla pericolosità da frana che è un fatto naturale in sé ineliminabile, è cresciuto il rischio. Quindi la pericolosità è rimasta quella che era, in termini assolutamente naturalistici; il rischio invece cresce.

Perché questo accade? Perché cresce l’attività umana sul territorio, cresce la densità di popolazione, crescono l’infrastruttura viaria, i servizi, gli elettrodotti, i gasdotti ecc., tutte attività che tentano di ingessare il territorio, mentre il territorio ha bisogno di un grado di libertà proprio per le dinamiche della terra. Il problema è tutto qui. Il nostro è un Paese, ripeto, densamente popolato, e soprattutto fortemente industrializzato. Questo, accoppiato alla pericolosità, non fa altro che accrescere il rischio. Dove nel secolo scorso magari non c’era una strada, né un elettrodotto, né un centro minuscolo che fosse abitato, oggi, viceversa, tutto questo è oggetto della stessa vecchia uguale intensità di frana dell’inizio del secolo scorso.

Fenomeni come il cambiamento climatico possono accelerare in qualche misura le evoluzioni della crosta terrestre, però, pur sempre, rimane un dato di fatto che è quello dell’attività umana. Questo accresce due necessità. La prima è quella di una corretta prevenzione. I geologi conoscono i siti con pericolosità idrogeologica da frana ma il concetto si può trasferire anche alla pericolosità sismica; questi siti sono noti perché sono mappati: quindi bisogna aggiornarli. E questo è compito delle varie istituzioni che devono aggiornare con continuità queste mappe e perimetrare i siti dove le pericolosità sono più accentuate. Fatto questo, è chiaro che da questa indicazione tecnico-scientifica deve scaturire una pianificazione territoriale molto accorta. Per cui bisogna tenere conto 1) di questa perimetrazione; 2) trasferirla nei piani regolatori comunali, nei piani provinciali e nei piani territoriali regionali. Queste sono le fasi della pianificazione urbanistica territoriale in Italia. E bisogna coordinare queste attività.
Questo è ciò che bisogna fare sotto un profilo tecnico scientifico. Ma poi c è tutta una serie di altre attività da avviare – o potenziare – : il controllo del territorio da parte dei sindaci per evitare l’abusivismo edilizio, il controllo del Ministero dell’Agricoltura contro gli incendi boschivi, con le guardie forestali ed altro; la manutenzione spicciola del territorio; c’è da curare la pervietà dei torrenti. Cioè bisogna curare tutto quello che è ordinaria manutenzione del territorio. Solo partendo da queste attività coordinate tra loro si può pensare a una “mitigazione del rischio.
Il problema è che non ci sono più soldi per la difesa del suolo. Però noi, come geologi, siamo in grado di fare un ulteriore lavoro Che è quello della graduazione della pericolosità. Ossia siamo in grado di individuare sul territorio e definire il grado di pericolosità da un grado altissimo a un grado elevato a un grado medio a un grado molto basso. Questo consentirebbe di indirizzare le risorse economiche nelle situazioni a più elevato rischio. Quindi, tenere conto di questa graduazione che si può fare nella pericolosità da frana, da sisma o calamità naturale e concentrare le disponibilità economiche in quelle più esposte a rischio. Questa è una cosa che si può fare, chiaramente. Ed è graduabile nel corso degli anni. Naturalmente senza mai abbassare la guardia.
Ma c’è un’altre riflessione legata a quelle appena esposte. Forse il vero disastro è che noi negli ultimi cinquant’anni per il territorio non abbiamo speso granché in termini di prevenzione. Abbiamo, di volta in volta, rincorso le calamità; abbiamo tamponato calamità ed emergenze, spendendo molto di più e realizzando una sicurezza di grado inferiore. Quindi è questo che bisogna evitare assolutamente. Non bisogna mai abbassare la guardia, come si fa con un’auto che ogni due anni va revisionata: insomma, normale manutenzione. Il territorio richiede la stessa attenzione, la stessa manutenzione. Senza interrompere per un cinquantennio, come abbiamo fatto noi, questa manutenzione, questa osservazione del territorio.


I territori in questo momento più a rischio si contano a migliaia. Non è un solo territorio. Sono equamente distribuiti in tutte le regioni d’Italia. Si va dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, e i fatti di questi ultimi mesi indicano chiaramente che non c’è zona in Italia che non abbia aree a elevato rischio idrogeologico. Quindi basta seguire le mappature che fin qui sono state redatte per capire come sono distribuiti analiticamente la pericolosità e il rischio conseguente. Le mappe sono redatte dalle Autorità di Bacino: sono i cosiddetti PAI – Piani di Assetto Idrogeologico. Tutte le Autorità di Bacino in Italia che, ricordo, sono nate nel 1989 con la legge quadro sulla difesa del suolo, hanno queste mappe delle pericolosità e del rischio da frana. Tutto questo è noto alla Protezione Civile, al Ministero dell’Ambiente, al Ministero delle Infrastrutture; chi se ne occupa istituzionalmente sono proprio le Autorità di Bacino Idrografico.

Noi geologi, come misura di prevenzione chiediamo da anni allo Stato di rendere obbligatoria l’assicurazione di tutte le unità immobiliari contro i rischi delle calamità naturali, in modo tale che ci sia garanzia per tutti di ottenere un rimborso per disastri che coinvolgono abitazioni ed altri beni. Il problema è già stato risolto in moltissimi Stati europei, dagli Stati Uniti e dal Canada. Il meccanismo è molto complesso, ma ripeto è stato già studiato e dà buoni frutti perché, in caso di calamità, dietro il gruppo assicurativo (perché si tratta di gruppi assicurativi internazionali composti da tantissime assicurazioni che concorrono ciascuna per la propria parte) c’è comunque lo Stato per garantire uniformità di prestazioni e per evitare le speculazioni. A fronte di un premio ragionevole che può essere valutato nell’ordine di 150-250 euro l’anno, cui dovrà provvedere il cittadino si può prevedere, per le calamità naturali, un rimborso del 70 – 80% dell’immobile coinvolto. Lo Stato potrebbe così completare questa misura avendo le mani più libere per operare nella prevenzione e non più le emergenze. Il meccanismo è complesso ed è forte. E noi geologi, che ci siamo documentati nel corso di questi anni, insistiamo per proporre al Governo questo tipo di intervento anche in Italia.
*Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi