
Intervista esclusiva alla missionaria Maria Soave Biscemi. Con il passare dei giorni, in seguito al cambio di governo in Brasile, si svelano gli orrori del governo Bolsonaro. Lula ha dichiarato l’emergenza sanitaria pubblica per gli indigeni Yanomami, il gruppo indigeno più numeroso del Brasile, con una popolazione di circa 30.000 abitanti. Vivono nella parte settentrionale della foresta pluviale amazzonica, vicino al confine con il Venezuela. E per fermare questa strage causata dai cercatori d’oro illegali c’è davvero poco tempo.
Il mondo lo ha scoperto solo ora. Eppure, il piano di quello che è stato ribattezzato un “genocidio annunciato”, risale a trenta anni fa. E ha una data ben precisa: 19 ottobre 1993.
“Era un martedì – ripercorre Maria Soave Buscemi, missionaria in Brasile – e l’allora deputato del Partito Progressista Riformatore, Jair Bolsonaro, presentò nel Parlamento federale un progetto di decreto legislativo: il protocollo – spiega – intendeva eliminare il provvedimento firmato l’anno prima dal presidente Fernando Collor de Mello che, su raccomandazione della Funai (Fundação Nacional do Índio), aveva creato la riserva del popolo Yanomami“. Il progetto di Bolsonaro aveva due brevissimi articoli: “Diventa senza effetto – recitava il primo punto – il decreto del 25 maggio 1992 che omologa la demarcazione amministrativa della terra indigena Yanomami“. E “questo decreto legislativo – sentenziava il secondo articolo – entra in vigore nella data della sua pubblicazione revocando le disposizioni in contrario“.
L’emergenza sanitaria
Un salto nel passato indispensabile per comprendere l’emergenza sanitaria attuale. Perché se nel 1993, il progetto di Bolsonaro per l’estinzione della riserva Yanomami rimase nel cassetto delle Commissioni interne della Camera, trenta anni dopo la comunità indigena dello Stato del Roraima deve fare i conti con “l’emergenza sanitaria”. A dichiararla è stato Luiz Inácio Lula da Silva: appena rieletto presidente, ha raggiunto il nord del Brasile e ha potuto constatare di persona le condizioni della comunità indigena, stremata dalla malnutrizione e della malaria provocate dall’estrazione illegale di minerali condotta dai “garimperos” e favorita negli ultimi anni nella foresta amazzonica.
La sua visita è stata decisamente diversa da quella del suo predecessore che nel 2021, nell’area di estrazione illegale installata presso la terra indigena Raposa Serra do sol, pagò personalmente il conto della ‘festa’ con i cercatori d’oro. Tutto dopo aver dichiarato, qualche tempo prima, che ‘non ci sarebbe stato nel futuro nemmeno un centimetro di demarcazione di altre riserve indigene’ .
Azioni e parole che, di fatto, hanno incoraggiato l’invasione. Durante il governo Bolsonaro, infatti, il numero delle miniere è aumentato vertiginosamente e bande criminali hanno preso il controllo di gran parte del mercato illegale dell’oro nell’area.
Ma non solo. Gli attivisti accusano i minatori di minacce di morte, violenze sessuali e abuso di alcol e droghe, soprattutto contro i bambini indigeni. I Garimpeiros, con la connivenza del governo, hanno avvelenato i fiumi con il mercurio, provocando distruzione e morte: i decessi di bambini di età pari o inferiore a cinque anni è aumentata del 29% rispetto al governo precedente e 570 bambini Yanomami sono morti tra il 2019 e il 2022 per malattie curabili.
L’esercito contro l’invasione

Contro questa deriva intende impegnarsi Lula. Perché nella sua recente visita, al contrario di Bolsonaro, il neo presidente aveva poco da festeggiare e, sebbene non abbia pagato nulla si trova a fare i conti con il passato. Prova a saldare subito: a circa un mese dal suo incontro con gli Yonomami, infatti, Lula ha avviato una massiccia operazione per espellere i minatori dal territorio.
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Un intervento che ha visto protagonista l’Agenzia brasiliana per l’Ambiente Ibama che, con il supporto della Guardia nazionale, ha sequestrato o distrutto un aeroplano, un elicottero, un bulldozer, baracche e hangar, fucili, barche, tonnellate di cibo e carburante, generatori, frigoriferi, antenne di comunicazione. L’operazione potrebbe durare mesi ma ha già raggiunto un primo obiettivo: diversi minatori hanno deciso di abbandonare l’impresa e tornare nelle città.
La volontà politica
Intanto, qualcosa sembra muoversi anche a livello giudiziario: la stampa brasiliana ha infatti segnalato che la Polizia federale ha aperto una indagine per genocidio sull’ex Presidente Bolsonaro. Un risultato parziale ma un segnale enorme, accolto positivamente anche da Survival International, che lotta al fianco degli Yanomami da 53 anni. “Questa operazione arriva appena in tempo. È vitale che le autorità espellano tutti i minatori dalle zone indigene e li tengano fuori per sempre. Ora oltre a espellere i minatori, serve un massiccio intervento sanitario per contrastare la crisi. E per smantellare e consegnare alla giustizia le bande criminali che occupano l’area e hanno sparso il terrore nel territorio degli Yanomami, occorrerà una reale volontà politica”.
Stando ai primi interventi, la volontà politica c’è. E la prima preoccupazione – come ha ribadito il ministro della Difesa Jose Mucio Monteiro – è la questione umanitaria: dobbiamo risolvere la situazione degli indios, le malattie, ritirare le persone che sono isolate e non possono uscire dai loro villaggi”.
Sarà fondamentale per interrompere una strage, anzi un genocidio.