Il dramma di Brumadinho. Un mese dopo

Mentre si continuano a contare i morti, ci si interroga su cause e responsabilità di un disastro annunciato e sottovalutato

È passato un mese dal 25 gennaio, da quel 25 gennaio 2019 che in Brasile – e in particolare per il comune di Brumadinho, nello Stato di Minas Gerais, in italiano “Miniere Generali” – non potrà essere un giorno come gli altri. Sì, perché per molti è stata una delle più grandi tragedie della storia recente. Il crollo della diga di Corrego de Feijao e l’inondazione di circa dodici milioni di metri cubi di fango e rifiuti minerari.

Brumadinho: una catastrofe, da tutti i punti di vista

I danni stimati sono enormi, e toccano ogni aspetto, da quello economico a quello – purtroppo – del capitale umano. Il primo, più freddo e asettico, parla di un disastro della portata di più di 4 miliardi di dollari.

Il secondo, sicuramente più importante e critico al tempo stesso, racconta di 166 morti accertati – al momento – e 147 persone ancora disperse; il che lascia presagire un numero di vittime destinato a lievitare. Senza dimenticare i danni ambientali per la flora e la fauna circostante e per il fiume Paraopeba, letteralmente sommerso dal fango; in più, il rischio concreto che il flusso d’inquinamento raggiunga il Rio Sao Francisco, uno dei corsi d’acqua più grandi del Brasile.

La diga era di competenza della società brasiliana Vale, una delle maggiori nel settore dell’estrazione mineraria. Tuttavia quello che sta sconcertando il Paese e l’opinione pubblica è la gestione, lacunosa e confusionaria, che Stato e privati stanno portando avanti per andare ad indagare il perché è successo tale dramma, quali sono le cause e chi dovrà pagare il conto salato per tutte le vittime coinvolte.

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Brumadinho: una disgrazia annunciata, una disgrazia evitabile

Nel disastro di Brumadinho sono talmente tante e gravi le lacune – statali e aziendali – che per un verso è difficile suddividere le responsabilità, per l’altro dicono gli esperti che si è trattato di un dramma a tal punto prevedibile da poter essere evitato.

Naturalmente sotto la lente d’ingrandimento sono finiti i dirigenti della Vale, più di quindici dipendenti arrestati, ed alcuni funzionari della compagnia Tuv Sud, rei di aver rilasciato il certificato di idoneità della diga dopo due recenti sopralluoghi.

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D’altro canto, la legislazione statale brasiliana è assai manchevole, avendo dato con estrema superficialità licenze ambientali in circostanze che non le avrebbero meritate.

Nonostante non ci si trovi di fronte né alla prima catastrofe ambientale di umana matrice, né alla più ingente quantitativamente parlando, si rende necessaria una profonda rivisitazione legislativo-culturale.
I morti sul lavoro in Brasile sono tantissimi, per numero sono il quarto Paese al mondo.

Maggiori controlli, maggiori garanzie, una regolamentazione più trasparente e un’impronta umana che sia rispettosa dell’ambiente e contro lo sfruttamento intensivo del territorio devono essere la base di qualsiasi Stato, a cui non può e non deve fare eccezione quello carioca, economicamente in ascesa da un paio di decenni a questa parte.

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