
La natura detta in molti casi le scelte urbanistiche. L’area ex industriale tra Marisabella e Fiera del Levante a Bari non rischia di perdere i suoi caratteri naturali trasformandosi lentamente in tessuto urbano edificato?
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Per lunghi anni nella progettazione di lavori per il risanamento di una grossa frana che affliggeva un abitato del Subappennino Dauno e il lago di Occhito ebbi la fortuna di collaborare ed imparare da un grande esperto di sistemazioni idraulico-forestali, il prof. Salvatore Puglisi, scomparso purtroppo da qualche anno. Fu lui a dirmi che il bosco non è invariabilmente verde: consuma acqua, riduce il sedimento trasportato alla foce dei fiumi, se non gestito correttamente accumula materia pronta ad alimentare incendi boschivi. In sostanza poneva l’accento sul relativismo ambientale, in quanto elementi che sotto una certa angolazione assumevano valore positivo, avrebbero potuto non avere lo stesso valore in un contesto differente.
La natura è “urbanista”

In un ambito più generale della mia attività professionale, mi sono più volte imbattuto nei territori urbani in ampie chiazze non edificate, salvo scoprire, ad indagini svolte, che la configurazione non era il frutto di pianificazioni urbanistiche, quanto, più semplicemente, di condizioni locali non risolvibili con tecniche di fondazione tradizionali, ovvero di contesti idro-geo morfologici avversi, non immediatamente percepibili. In altri termini, il giardino pubblico, delimitato da una cortina di case, molto spesso copre una dolina, o una sponda alluvionale, se non proprio un tratto di alveo di una lama e l’edificazione antica riprendeva dove le tecniche tradizionali si ripresentavano applicabili.
Dalla Bari-Barletta a Marisabella

Quando si costruì la linea ferroviaria Bari Barletta, la stazione di testa fu posizionata su via Napoli all’intersezione con via Fieramosca; l’area per il deposito locomotive e per la movimentazione dei convogli fu posizionata in un’ampia area, fino a quel momento risparmiata dalla pressione espansionistica urbana della città. In effetti, altro non era che l’area di foce della lama Picone, la cui officiosità teoricamente fu neutralizzata dopo il 1925 dalla costruzione del canale deviatore, il canalone, ma 4 km a monte. Nell’ampia piana alluvionale di foce (v fig. 2-5) nel frattempo avevano trovato posto niente di meno che un aeroporto e, successivamente il gazometro. Il tutto in linea con un assetto urbanistico, che tra alveo e foce Picone e penisola di San Cataldo vedeva l’insediamento di opifici industriali vari, tutti destinati a chiudere nel secondo dopoguerra. Nella pianificazione post-bellica quelle aree sono state oggetto di interesse portuale (la colmata di Marisabella) ed edifici pubblici, cui si affiancano ormai opere di edilizia abitativa di livello elevato.
Bosco verticale, qualche dubbio

Desta perplessità apprendere che in quelle aree, grosso modo al centro della vecchia foce del torrente Picone, e spodestando parte di un park & ride, debba nascere un consistente intervento edilizio (130 appartamenti, 8 piani), ben visibile sotto una carenatura di verde, di cui ci si chiede la sostenibilità nella torrida estate di Bari, quale acqua di irrigazione sarà usata, e se sono stati valutati tutti gli impatti con le acque del bacino residuo di superficie e di quello sotterraneo, in flusso verso la costa.
A cosa stiamo rinunciando?
Risolti gli interrogativi prima esposti, penso che si possa leggere attraverso questa nuova importante opera di edilizia privata, che tutta l’area ex industriale tra Marisabella e Fiera del Levante si stia avviando verso una lenta conversione a tessuto urbano edificato, rinunciando alla valorizzazione dei caratteri naturali, la lama ed il suo riempimento di alluvioni e torbe, che in parchi e infrastrutture sportive forse avrebbero visto una più naturale evoluzione e integrazione.
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