I batteri – nell’immaginario comune – non hanno una buona reputazione: l’errore sta nel fatto che per “batteri” si tende a considerare soltanto quelli patogeni, vale a dire – avvalendoci dell’Enciclopedia Treccani – capaci di «penetrare in un ospite e riprodursi all’interno di questo danneggiandolo con la produzione di sostanze tossiche, le tossine batteriche». Eppure – i biologi lo sanno benissimo – in natura esistono tanti batteri utili, che, cioè, hanno un ruolo positivo tanto per gli organismi, quanto per l’ambiente. Molteplici studi sono stati fatti a riguardo; qui ne riportiamo principalmente due: il primo è datato 2006 ed è uno studio di carattere generale, eseguito in laboratorio ma rimasto più a livello empirico, con uno sguardo potenziale in prospettiva; il secondo è – invece – uno studio sul campo, più precisamente nel Golfo del Messico dopo il disastro della Deepwater Horizon.
Dalla Germania, l’Alcanivorax borkumensis – Lo studioso Martins dos Santos insieme ai colleghi del Centro di Biologia ambientale della società Helmholtz, nel 2006, aveva avviato una serie di sperimentazioni sul batterio Alcanivorax borkumensis, riscontrando la straordinaria capacità di demolire gli idrocarburi presenti nel petrolio e di nutrirsi. Risultato dei test di laboratorio: il batterio si dimostra efficace nel «mitigare i danni ecologici, conseguenza delle perdite di petrolio nel sistema marino» (dalle navi come dalle trivellazioni), salvaguardando le specie marine.
Da New Orleans, per ripulire il disastro del 2010 – Dalle parole ai fatti. Le analisi fatte in Germania hanno avuto un concreto compimento qualche hanno dopo, con osservazioni e ricerche direttamente sul campo: quello del Golfo del Messico. A New Orleans, in occasione del National meeting & exposition dell’American chemical society, Terry Hazen ha presentato un rapporto che dimostra come il Golfo inquinato – che è stato teatro del famigerato disastro causato dalla Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera esplosa nel 2010 disperdendo quasi 5 milioni di barili nell’Atlantico – mostri piccoli e costanti miglioramenti dal punto di vista ambientale, per merito di alcuni batteri presenti nelle acque del Golfo del Messico che, vista questa copiosa quanto inaspettata presenza di cibo, si sono riprodotti a dismisura. Diventano, così, un potenziale fattore di bonifica dell’habitat marino di quella zona, ma al tempo stesso è necessario che crescano e si moltiplichino naturalmente, senza – come qualcuno ha pensato per risolvere prima la questione – accelerarne la crescita con prodotti chimici, che – parole di Hazen – «vanificano i processi di bio-risanamento» invece di accrescerli e migliorarne le capacità. Lasciar sviluppare questi microorganismi sembra la soluzione al problema; bisogna solo trovare il giusto compromesso tra il tempo che scorre e la pazienza di attendere un naturale svolgersi degli eventi.