Guerra, carbone e gas tra ricette e ricatti

No alla guerra

Rinnovabili, certo. Ma senza dimenticare carbone e gas. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi non demorde. E in occasione della nuova informativa a deputati e senatori torna a connettere la guerra in Ucraina con gli interessi energetici di casa nostra. Tra rigassificatori e Tap, con buona pace degli ambientalisti

 

«La diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico è un obiettivo da perseguire indipendentemente da quello che accadrà alle forniture di gas russo nell’immediato». Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, lo ha ripetuto due volte nella giornata di martedì, 1 marzo. Prima in Senato, poi alla Camera, durante la sua informativa relativa alla situazione della guerra in Ucraina. Un lungo, dettagliato intervento, nel quale non poteva mancare, ovviamente, un riferimento esplicito alla produzione energetica, aspetto tutt’altro che secondario nelle strategie di intervento dei Paesi Europei.

Leggi. Energia: soluzione non è riaprire centrali a carbone. Parola di ambientalisti

«Non possiamo essere così dipendenti dalle decisioni di un solo Paese. Ne va anche della nostra libertà, non solo della nostra prosperità», ha ribadito il primo ministro. Ma prima di esplorare le alternative, ha voluto fare il punto della situazione. «Al momento non ci sono segnali di un’interruzione delle forniture di gas», ha rassicurato. «Tuttavia – ha precisato – è importante valutare ogni evenienza, visto il rischio di ritorsioni e di un possibile ulteriore inasprimento delle sanzioni».

La dipendenza dalla Russia

Poi, un po’ di numeri. L’Italia importa circa il 95% del gas che consuma e oltre il 40% proviene dalla Russia. «Nel breve termine, anche una completa interruzione dei flussi di gas dalla Russia a partire dalla prossima settimana non dovrebbe di per sé comportare seri problemi. L’Italia ha ancora 2,5 miliardi di metri cubi di gas negli stoccaggi e l’arrivo di temperature più miti dovrebbe comportare una significativa riduzione dei consumi da parte delle famiglie. La nostra previsione è che saremo in grado di assorbire eventuali picchi di domanda attraverso i volumi in stoccaggio e altre capacità di importazione».

Quest’inverno, sostanzialmente, è andato. Ma poi? «Tuttavia, in assenza di forniture dalla Russia, la situazione per i prossimi inverni, ma anche nel prossimo futuro più immediato, rischia di essere più complicata. Il Governo ha allo studio una serie di misure per ridurre la dipendenza italiana dalla Russia».

Leggi. Draghi: “Torniamo a produrre gas in Italia, è più gestibile e costa meno”

Le alternative

Tra le prime e opzioni al vaglio, «l’incremento di importazioni di gas da altre fornitori – come l’Algeria o l’Azerbaijan; un maggiore utilizzo dei terminali di gas naturale liquido a disposizione; eventuali incrementi temporanei nella produzione termoelettrica a carbone o petrolio, che non prevedrebbero comunque l’apertura di nuovi impianti. Se necessario, sarà opportuno adottare una maggiore flessibilità sui consumi di gas, in particolare nel settore industriale e quello termoelettrico».

E ancora. «Dobbiamo prima di tutto puntare su un aumento deciso della produzione di energie rinnovabili, come facciamo nell’ambito del programma Next Generation EU». Ma il veleno, come sempre, è nella coda.  «Dobbiamo anche investire sullo sviluppo del biometano. Ma il gas rimane un utile mezzo per affrontare la transizione. Dobbiamo ragionare su un aumento della nostra capacità di rigassificazione e su un possibile raddoppio della capacità del gasdotto TAP».

LEGGI ANCHE: I  movimenti  tettonici  sul  mercato  mondiale  del  gas

Tap, il percorso

Una trentina di parole. Per definire concetti che stanno già provocando reazioni e proteste. Come quelle, neanche a dirlo, del movimento No Tap, che contesta la modalità informativa dei media generalisti e le ‘omissioni’ sui rapporti tra Cremlino e Azerbaijan.

L’amara ragione

“No al ricatto del gas” è invece la presa di posizione di Legambiente. “Quello che sta accadendo in queste ore in Ucraina è motivo di vera angoscia. Purtroppo il modo in cui questa guerra si interseca con la politica energetica europea, fatta di investimenti massicci sul gas fossile, ci spinge per l’ennesima volta a dire che ‘avevamo ragione noi’. Però, a volte, come in questo caso, l’avere ragione lascia l’amaro in bocca”

Perché, purtroppo, le associazioni ambientaliste avevano davvero ragione quando “dicevano al governo italiano e alle istituzioni europee che continuare a investire sulle fossili, oltre ad aggravare l’attuale condizione climatica, avrebbe creato delle dipendenze troppo forti da paesi la cui democrazia è a rischio o un concetto discutibile, Russia in primis”.

Il caro – bollette

Troppo tardi ora, “ma se oggi l’Unione Europea avesse una maggiore capacità di autoprodurre la propria energia tramite fonti rinnovabili, e non fosse così dipendente dal gas fossile – sottolinea Legambiente -, probabilmente avremmo uno strumento in più per fare pressione sulla Russia e tutelare la popolazione ucraina, oggi vittima dei bombardamenti russi”. Invece siamo dipendenti per circa il 40% dalle importazioni di gas dalla Russia “e l’instabilità degli ultimi mesi la stiamo pagando con un aumento impressionante dei costi delle bollette del gas e dell’elettricità”.

E per quanto l’attuale conflitto non sia unicamente e direttamente imputabile a ragioni di carattere energetico, “sicuramente la posizione scomoda in cui si trova l’Europa, caratterizzata da un costante bisogno di gas fossile e schiacciata tra il mercato russo e quello statunitense, non ci permette di prendere decisioni in maniera indipendente ed esercitare quel ruolo di mediazione e dialogo che avremmo potuto e dovuto giocare, fornendo a chi oggi minaccia la pace degli importanti strumenti di ricatto”.

I rigassificatori

In questo clima, sta prendendo sempre più piede la correlazione tra guerra e (ri)apertura  fonti come il gas. Lo dimostrano casi eclatanti come il rigassificatore di Porto Empedocle: osteggiato e combattuto da amministratori locali e  associazioni ambientaliste,  è tra gli impianti siciliani su cui il governo vuole puntare per calmierare i prezzi e non dipendere troppo dalle forniture russe, insieme all’aumento dei rifornimenti dalla Tunisia verso Mazara del Vallo attraverso il gasdotto Transmed.

Il rigassificatore a Panigaglia (La Spezia) – Foto Wikipedia, autore: Utente Pusk

Il progetto di Enel, del valore di un miliardo e mezzo di euro, era stato programmato anni fa senza mai essere portato a compimento. E complice l’ultima sentenza del Tar agrigentino che ne ha appena sbloccato il percorso sul territorio, si punta alla riapertura.

Ricordiamo che in Italia sono attualmente attivi i rigassificatori di Livorno, Rovigo e Panigaglia.

Tornando a casa nostra, invece, è il rigassificatore di Brindisi a essere tornato d’attualità. Anche esponenti di centrosinistra come il consigliere Fabiano Amati si sono detti favorevoli e pure le istituzioni legate al commercio non lo vedrebbero negativamente.

“Ascoltando il lungo applauso che ha accompagnato le parole del premier Draghi quando ha sostenuto che serve una riflessione sul potenziamento dei rigassificatori per accogliere il Gnl offerto dagli Stati Uniti, riteniamo che la strada da percorrere sia quella di rilanciare l’idea del rigassificatore a Brindisi, questa volta in un’area lontana dall’abitato, ovvero a Cerano”, sentenzia Paolo Taurino, Presidente di ConfimpreseItalia Brindisi.

Articoli correlati