
Alcune considerazioni sul divenire dell’architettura giudiziaria tra aspirazioni compositive e adeguamenti funzionali
di Leonardo Scarcella *
“… Prima che gli uomini cominciassero ad agire, doveva essere assicurato uno spazio definito, e costituita una struttura in cui tutte le azioni successive potessero prendere posto, lo spazio essendo il dominio pubblico della polis e la legge la sua struttura; legislatore e architetto appartenevano alla stessa categoria.”
La citazione, tratta dall’opera filosofica di Hanna Arendt: “Vita activa. La condizione umana”, pubblicata nel 1958, è significativa nel dimostrare il rapporto esistente tra le scelte politiche del “legislatore” e l’operato tecnico dell’architetto, nell’ideare e realizzare qualsivoglia intervento diretto a trasformare o conservazione il territorio e l’ambiente in cui i cittadini agiscono.
Tale considerazione appare retorica, quantomeno scontata. Eppure quanti interventi, per motivi diversi, si sono rivelati, in breve o medio termine, inefficaci o inadeguati a soddisfare le esigenze che ne giustificassero la stessa realizzazione? Il senso civico richiede che il politico e il tecnico debbano operare con scrupolosa attenzione nel decidere le scelte da eseguire, al fine di conseguire i migliori risultati nell’attuazione di programmi e opere di valore sociale. Evitando, quindi, il riemergere dei disagi originari e il conseguente spreco di risorse economiche.
Gli Spazi della Giustizia
Trattando l’argomento degli “Spazi della Giustizia”, ci riferiamo ai complessi architettonici o edilizi in cui la funzione giudiziaria viene amministrata.
L’Architettura della Giustizia, termine oggi molto in voga, si distingue in due tipologie riguardanti, rispettivamente, gli uffici giudiziari, destinati allo svolgimento delle attività requirente e giudicante, e i servizi penitenziari o carcerari, in cui il cittadino deve espiare la pena a cui sia stato condannato.
Queste due funzioni hanno convissuto per lunghi anni all’interno di un unico complesso edilizio, fino a quando, tra il XVII e il XVIII Secolo, ad esclusione di alcuni Paesi del Nord Europa, tribunale e carcere sono stati separati e posti, in termini edilizi e urbanistici, in edifici e aree diverse. La divisione ancora perdura ed è confermata nelle scelte urbanistiche degli Enti locali e nella programmazione edilizia ministeriale. Dall’esperienza ad oggi realizzata è consentito ritenere che tale separazione strutturale comporti alle amministrazioni interessate, al personale che vi lavora e ai cittadini, notevoli difficoltà logistiche nonché alti costi di gestione per l’erario. A tale riguardo si pensi al giornaliero servizio di traduzione dei ristretti dalle carceri agli uffici penali, ai frequenti colloqui dei magistrati e degli avvocati con i detenuti e, anche, al ricorrente utilizzo di strutture provvisorie, da allestire al momento della celebrazione di processi speciali, il più delle volte poste distanti sia dagli uffici giudiziari sia dai penitenziari.

L’interesse verso lo studio e la ricerca degli Spazi della Giustizia è da considerare limitato a ristretti ambiti universitari e tecnici; ovvero, l’interesse si rinnova ogni qualvolta vi sia la disponibilità di significativi finanziamenti diretti alla realizzazione di nuove opere. Tale circostanza particolare rende vaga la conoscenza delle reali esigenze funzionali del settore da parte di più tecnici, di diverso livello professionale, e, conseguentemente, difficoltoso il confronto tecnico con i referenti delle amministrazioni interessate alla realizzazione degli interventi. A tale proposito occorre, comunque, rilevare che mentre l’Amministrazione penitenziaria dal 1993 dispone di un ufficio tecnico che ha acquisito in questi lunghi anni buona esperienza, l’Amministrazione giudiziaria solo di recente – da luglio 2019 – fruisce di personale tecnico, circostanza che ha consentito solo da poco e solo in parte di superare le difficoltà di confronto tecnico-funzionale con i responsabili tecnici di altre amministrazioni e con i vari progettisti esterni.
Dal dibattito che l’opinione pubblica e i media abitualmente svolgono intorno ai due modelli architettonici della giustizia si può osservare un curioso fenomeno: se dal punto di vista politico e sociale il settore giudiziario prevale nei commenti e nell’interesse dell’opinione pubblica, registrando però minore interesse riguardo allo stato architettonico delle strutture, il settore penitenziario suscita maggiore curiosità e interesse proprio nello specifico dello stato delle strutture e nei piani di edilizia che ciclicamente vengono enunciati, programmati e solo in parte realizzati. Difatti, in questi ultimi decenni mentre si è ampliata nel sociale e nelle università la discussione intorno allo stato delle carceri e, in particolare, sull’elaborazione di proposte di architettura penitenziaria, (circostanza dovuta anche al comprensibile interesse per le condizioni umane in cui vivono le persone detenute), per quanto attiene alla progettazione architettonica di opere giudiziarie si rilevano solo rari interventi di analisi storica e di verifica tecnico-funzionale dei complessi giudiziari esistenti, da ampliare o riadattare, ovvero di quelli da realizzare ex novo, in cui garantire in fase progettuale l’adeguata adattabilità degli spazi alle eventuali future esigenze logistiche, distributive e di sicurezza che questi uffici richiedono.
L’Architettura giudiziaria
In questi ultimi decenni è stata avviata, in particolare nei paesi del nord Europa, una attenta ricostruzione storica dell’evoluzione dell’edilizia giudiziaria e un’interessante ricerca tipologica architettonica, mentre in Italia, come già rilevato, l’argomento è stato finora affrontato da pochi cultori. Inoltre, le diverse opere realizzate hanno visto sovente prevalere la ricerca architettonica compositiva, rispetto a quella funzionale degli spazi in relazione alle diverse attività ed esigenze di sicurezza. A comprova di questa considerazione basti ricordare le difficoltà riscontrate dall’Amministrazione giudiziaria nel ricercare le opportune soluzioni, anche all’interno dei complessi edilizi di recente realizzazione, in occasione d’avvio di alcune riforme: nel 2012 la nuova geografia dei servizi giudiziari, che ha deciso la chiusura di alcuni Tribunali con relative Procure della Repubblica, e il loro accorpamento a quelli effettivi; l’istituzione del Giudice unico, del settore penale del Giudice di Pace, della mediazione civile; l’immissione in organico degli addetti all’Ufficio per il processo.
In quasi tutte le nuove strutture si è constatato un forte divario, alcune volte sproporzionato, tra spazi destinati a funzioni di semplice servizio connettivo e ambienti da utilizzare per lo svolgimento delle attività di udienza, d’ufficio e dei servizi generali quali gli archivi, le aree di traduzione dei detenuti e i diversi depositi. Questo ha costituito per l’Amministrazione una notevole diseconomia sia in riferimento al rapporto tra costi e benefici dell’opera, sia in considerazione delle condizioni delle nuove strutture in relazione alla loro piena funzionalità, tanto che il Ministero della Giustizia per dare soluzione a tali disfunzioni ha dovuto frequentemente sostenere ulteriori spese con conseguenti sensibili aggravi economici.
Le nuove realizzazioni di architettura giudiziaria hanno trovato motivazione innanzitutto nell’aumento dei carichi di lavoro dovuti alle diverse congiunture giudiziarie e allo sviluppo economico e sociale del Paese che hanno richiesto, e continuano a richiedere, maggiori e specialistici spazi e impianti per gli uffici e i diversi servizi generali e speciali.
Il rinnovamento dagli anni ’80
L’occasione per il rinnovamento del patrimonio edilizio è stata data dalle disponibilità economiche fornite dalla legge finanziaria n. 119/1981 che consentiva alle amministrazioni locali, allora responsabili della progettazione e realizzazione delle strutture giudiziarie, di fare ricorso a mutui a carico dello Stato, quindi dell’allora Ministero di Grazia e Giustizia, per la realizzazione di interventi di edilizia giudiziaria. Si diede così avvio ad un consistente programma di realizzazioni, probabilmente il più consistente di quelli che il Paese aveva precedentemente conosciuto in congiunture diverse, sia tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, quando lo Stato Unitario ebbe modo di definire la rete giudiziaria dell’Italia post-unitaria, sia del Secondo Dopoguerra per adeguare il patrimonio immobiliare in risposta alle nuove esigenze dallo Stato Repubblicano. Indubbiamente in questo periodo fu dato grande impulso alla ricerca di nuove soluzioni architettoniche, strutturali e impiantistiche. A dimostrazione del superamento del tradizionale modello architettonico di Palazzo di Giustizia, si ricordano gli interventi di Bruno Zevi che fu tra i primi ad esprimere, negli anni Ottanta del secolo trascorso, una critica architettonica sull’esperienza di nuove realizzazioni di opere giudiziarie, soffermando l’attenzione sul nuovo Tribunale di Roma, progettato da Giuseppe Perugini, e con il testo Giustizia è fatta, su quello di Savona, costruito tra il 1981 e 1987, su progetto di Leonardo Ricci, autore negli anni Novanta anche del nuovo “Polo giudiziario” di Firenze, opera quest’ultima tra le più complesse realizzate.
Le Cittadelle della Giustizia, ovvero l’accorpamento degli uffici
La nuova tendenza, dovuta alla crescente specializzazione delle funzioni giudiziarie, dagli anni Novanta diviene quella di accorpare tutti gli uffici e le relative funzioni in un unico complesso che verrà definito “Cittadella della Giustizia”. Quest’ultima soluzione ha risposto senz’altro a criteri di modernizzazione e di maggiore funzionalità delle attività, integrando in un unico organismo tutti i livelli giudiziari presenti nella città sede delle Corti d’Appello con la dotazione di più ampie e moderne strutture, di maggiore e più sofisticati impianti, di più funzionali servizi generali e di aree e servizi esterni in linea con gli standard previsti dalle norme e dagli strumenti urbanistici vigenti.

L’esperienza progettuale realizzata con la costruzione delle “Cittadelle della Giustizia” (si ricordano in particolare quelle di Torino, Firenze, Brescia, Venezia, Salerno, Reggio Calabria ancora da ultimare), pur con alcune criticità funzionali emerse col tempo, ha dato la possibilità di definire nuovi criteri dimensionali, di perfezionare ulteriormente la progettazione e la realizzazione dei complessi giudiziari; favorendo l’uso di più avanzate tecnologie costruttive e impiantistiche, rinnovando le forme di aggregazione degli uffici e i metodi di composizione e specializzazione dei diversi corpi edilizi. Purtuttavia, la Direzione Generale degli affari Civili che fino al 2001 ha gestito l’edilizia giudiziaria, al fine di razionalizzare la spesa per la realizzazione e la manutenzione del patrimonio edilizio, nel 1998 ritenne necessaria una profonda revisione dei criteri tecnico-dimensionali fino ad allora utilizzati. A tale proposito si ricorda l’opera tecnico-progettuale svolta in quegli anni della società Edil.Pro. – gruppo Italstat – che nel 1988 ebbe modo di redigere alcuni interessanti volumi contenenti le linee guida per il dimensionamento e la progettazione degli uffici giudiziari. Criteri che, come già rilevato, il Ministero decise di non utilizzare visto l’eccessiva volumetria che ne derivava e il conseguente aggravio dei costi da sostenere per la realizzazione delle opere e per la manutenzione delle stesse nel tempo.
I Parchi della Giustizia, ovvero l’integrazione alla città
Per lungo tempo la costruzione e la manutenzione delle sedi giudiziarie è stata competenza dei Comuni. Con la legge di stabilità del 2015 il Governo decise di attribuire dette competenze al Ministero della Giustizia, generando nell’immediato notevoli difficoltà nella gestione amministrativa e tecnica dell’edilizia giudiziaria, in considerazione della presenza di un unico tecnico presso il ministero e del nuovo carico di lavoro assegnato ai Provveditorati Regionali alle Opere Pubbliche a cui si demandò il compito tecnico di curare la notevole mole d’interventi locali.
Nel 2018 il Ministero della Giustizia iniziò a trattare con l’Agenzia del Demanio la ricerca di aree e di complessi demaniali da adattare a nuovi uffici. La scelta ricadde su alcune ex caserme militari da destinare sia all’amministrazione giudiziaria, sia a quella penitenziaria.
Per l’occasione, fui incaricato di partecipare al Tavolo Tecnico istituito presso l’Agenzia del demanio dell’Emilia Romagna per la realizzazione del “Nuovo Polo” degli uffici giudiziari di Bologna e redigerne in breve tempo il “fabbisogno edilizio e funzionale distributivo”. La sede prescelta, dopo varie verifiche, è stata l’ex “Caserma Sta.ve.co”. Nel corso poi di questi ultimi anni il Ministero della Giustizia e l’Agenzia del Demanio hanno deciso un nuovo programma di edilizia che, oltre al progetto di Bologna, ha incluso anche la realizzazione dei nuovi uffici giudiziari di Bari, di Perugia e di Foggia, denominandoli “Parco della Giustizia”, termine che ben si presta a raffigurare l’integrazione degli Uffici giudiziari con la città tramite aree verdi urbane attrezzate. Occorre comunque rilevare che questi quattro interventi, se pur finalizzati all’attività di rigenerazione urbana, si differenziano tra loro per soluzione architettonica, distributiva e funzionale. Difatti, i nuovi uffici giudiziari di Bari e Bologna verranno integrati al tessuto urbano tramite ampie aree di verde attrezzato; mentre per Foggia è previsto un sostanziale ampliamento del Tribunale nell’area limitrofa disponibile e per Perugia il riuso a polo giudiziario dell’area e dei manufatti dell’ex carcere.
Gli interventi di Bari e di Bologna, per alcuni aspetti urbanistici, demografici, dimensionali e di carico di lavoro degli uffici, possono essere ritenuti tra loro comparabili, pur differenziandosi per il metodo progettuale, per i criteri di dimensionamento utilizzati e per i dati tecnici forniti nei rispettivi concorsi di progettazione, benché l’Ente appaltante sia il medesimo.
“Parco della Giustizia” di Bologna

Il progetto è rivolto ad una popolazione cittadina di circa 393.000 abitanti e metropolitana di 1.019.000 e riguarda la rigenerazione dell’area dell’ex Caserma STA.VE.CO, ubicata in zona semi-centrale, di estensione pari a circa 9 ettari. Il concorso di progettazione prevede il riuso di buona parte degli immobili esistenti tramite interventi di restauro, adeguamento sismico, edilizio e funzionale. La superficie utile massima fissata è pari a 47.000 mq, di cui 36.000 mq da conseguire tramite il recupero dei fabbricati esistenti. Gli uffici da ospitare all’interno del nuovo complesso sono: Procura Generale, Tribunale Sorveglianza, Tribunale Civile e Penale, Tribunale dei Minori e Procura della Repubblica dei Minori, European Public Prosecutor’s Office, Ordine degli Avvocati, Giudice di Pace, CISIA, UNEP. L’insieme degli addetti considerato per il dimensionamento dell’intervento è stato stimato in 1.004 unità, comprensivo di personale amministrativo e tecnico nonché personale dell’Ordine degli Avvocati, magistrati (togati e onorari) e tirocinanti. L’intervento include, altresì, le autorimesse riservate al Ministero della Giustizia per un numero di 200 posti auto, per una superficie di 4.000 mq e, su richiesta del Comune di Bologna, un parcheggio pubblico di non meno di 400 posti auto, per una superficie di 8.000 mq. L’importo economico complessivo previsto al momento è pari a 270.000.000 di euro, di cui 175.854.043 per lavori. Pertanto, è consentito stimare il costo dell’opera in 3.741,57 euro/mq; se si considerano le unità di personale, la ripartizione delle superfici utili è pari a 46,81 mq/addetto, mentre il costo dei lavori risulta 175.153,42 euro/addetto.
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“Parco della Giustizia” di Bari
Il progetto è rivolto a una popolazione cittadina di circa 316.000 abitanti e metropolitana di circa 1.222.000 e prevede la completa demolizione degli edifici delle ex caserme militari Milano e Capozzi e la realizzazione, su una superficie territoriale di 149.143 mq, di:
- quattro nuovi corpi edilizi a forma quadrangolare che occuperanno il 30% della s.t. (44.285 mq), dotati di ampi cortili interni, collegati tra loro tramite percorsi protetti esterni che in qualche modo rievocano le soluzioni della cittadella di Salerno e del Tribunale di Alba, in cui sistemare tutti gli Uffici giudiziari cittadini;
- ampio parco pubblico variamente attrezzato sul restante 70% della s.t. (104.858mq).

Le presenze individuate per dimensionare l’intervento sono in totale 1.751, di cui 1.462 diretti dipendenti dell’Amministrazione. La superficie utile massima prevista dal progetto e destinata ai vari uffici giudiziari è pari a 104.836 mq. Sono stati, inoltre, indicati nel quadro esigenziale del concorso di progettazione un numero complessivo di 917 posti auto, ripartiti in 645 esterni e 272 interni, che in fase di realizzazione dell’opera potrebbero aumentare.
Il costo complessivo dell’intervento ammonta a 405.000.000 di euro, di cui 256.104.911,44 previsti per i lavori. Pertanto, il costo dei lavori in rapporto alla superficie considerata risulta di 2.442,90 euro/mq; se si considerano gli addetti individuati e il personale effettivo, l’attribuzione delle rispettive superfici è pari a 59.87 mq/addetto e 71,70 mq/personale, mentre il costo dei lavori in rapporto al personale effettivo ammonterebbe a 175.174,35 euro/personale.
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Alcune considerazioni conclusive
Ho ritenuto utile semplificare la verifica comparata dei parametri tecnici ed economici riportati nella documentazione allegata ai concorsi di progettazione dei Parchi della Giustizia di Bologna e di Bari, indetti dall’Agenzia del Demanio, visto che, a una attenta lettura di questa documentazione, si resta perplessi in considerazione della semplice e schematica esposizione dei dati forniti ai progettisti nel caso dal concorso di Bologna e dalla ricca e diversificata rappresentazione delle possibili soluzioni da considerare per la progettazione dei nuovi uffici giudiziari di Bari.
Sorvolando l’affascinante confezionamento grafico degli elaborati riportati dai media e da agenzie pubbliche e private, le complesse modalità con cui sono stati forniti alcuni dati concorsuali, e soffermando l’attenzione sui concreti parametri tecnici di dimensionamento e di distribuzione funzionale indicati dagli elaborati concorsuali stessi, si osservano differenti criteri tecnico-dimensionali con cui vengono caratterizzati alcuni uffici destinati alle medesime funzioni. Al fine di chiarire quanto osservato, è sufficiente confrontare alcune superfici assegnate per il dimensionamento dei seguenti uffici:
Parco della Giustizia di Bologna
Tribunale Civile, Penale e Cisia: mq 28.371
Tribunale per Minori e Procura della Repubblica: mq 4.669
Tribunale di Sorveglianza: mq 2.173
Giudice di Pace civile e penale: mq 5.648
Parco della Giustizia di Bari
Tribunale Civile: mq 30.212
Tribunale Penale e Procura della Repubblica: mq 29.239
Tribunale per Minori e Procura della Repubblica: mq 9.336
Tribunale di Sorveglianza: mq 3.608
Giudice di Pace civile e penale: mq 5.824
Se si considera che il bacino di utenza e il carico di lavoro degli uffici delle due città, come riportati non varia di molto, che il settore penale a Bari può senz’altro registrare maggiore attività rispetto a quello di Bologna, e che la superficie assegnata agli uffici del Giudice di Pace dei due Parchi della Giustizia è quasi simile, si resta perplessi per la notevole differenza di superficie assegnata, in particolare, ai Tribunali e all’intero nuovo organismo giudiziario di Bari che aumenterebbe di ulteriori 45.710 mq rispetto agli attuali 59.148 mq di superficie utile disponibili. Un incremento di superficie pari quasi all’intera area individuata per il Parco della Giustizia di Bologna che, comunque va ricordato, non include tra gli uffici da sistemarvi la Corte d’Appello e la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario.
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Nel confrontare le superfici conferite sorge spontaneo chiedersi se la superficie complessiva assegnata a Bologna, pari a 47.000 mq, sia quella coperta. Ad una più attenta verifica dei dati si nota che la superficie fissata per gli uffici del Giudice di Pace di Bologna e di Bari sono quasi simili (5.648 mq e 5.824 mq). Pertanto appare possibile ritenere che le considerazioni conclusive sopra esposte siano plausibili; ovvero che per due sedi giudiziarie di rilievo nazionale che per molti aspetti possono essere paragonabili, il Ministero della Giustizia e, in particolare, l’Agenzia del Demanio che svolge per lo Stato funzioni di Ente centrale appaltante, abbiano adottato criteri diversi per il dimensionamento dei nuovi uffici, con conseguenti possibili scompensi futuri, tanto di tipo funzionale e dimensionale, per gli uffici di Bologna, che potrebbero dover ricorrere, per usufruire di ulteriori spazi, ad eventuali locazioni passive, quanto dal punto di vista dei costi, per la realizzazione e manutenzione edilizia e ambientale del complesso sistema previsto per quelli di Bari.
Indubbiamente l’iniziativa avviata dall’Agenzia del Demanio in collaborazione con il Ministero della Giustizia è da ritenere lodevole sia per il recupero di aree e immobili dello Stato che da anni sono inutilizzati, sia per il tentativo di reinterpretare in linea architettonica e urbanistica i confini e i rapporti dei Tribunali con il resto della città. Opera non certo semplice, se si pensa alle diverse e differenziate esigenze amministrative e di sicurezza che le attività giudiziarie esigono.
Di certo, nel caso dei Parchi della Giustizia di Bari e Bologna, le esigenze future di manutenzione, di protezione degli uffici e dei flussi pedonali e, ancor di più, di quelli carrabili, sono più evidenti se si considera la particolare collocazione urbana delle aree da riqualificare e adeguare ai nuovi servizi. Difatti sia l’ex Sta.ve.co che le ex caserme Milano e Capozzi sono ubicate in aree semicentrali con la presenza di intensi flussi automobilistici che occorrerà in futuro gestire, considerando i prevedibili incrementi, al momento di difficile quantificazione, di traffico urbano dovuti sia all’accorpamento di uffici ora diversamente distribuiti in città, a cui occorre garantire i necessari servizi, sia alla contigua presenza di aree di verde attrezzato di rilevanza urbana.
(I termini in grassetto e l’inserimento di link sono a cura della redazione)
* Leonardo Scarcella – Architetto
- Libero professionista dal 1979 al 1993.
Leonardo Scarcella Dal 1993 al 2019 in servizio al Ministero della Giustizia, dove ha condotto fino al 2001 studi e progetti per il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Autore, su incarico del Ministro protempore, del “Repertorio del patrimonio edilizio penitenziario in Italia al 1997”. Per l’Alto Commissario per gli aiuti all’Albania, dal 1997 al 2001 cura il “Piano edilizio del sistema penitenziario per adulti e minorenni” di quel Paese e progetta il modello funzionale europeo del penitenziario realizzato a Pequin. Come esperto, per UE, partecipa alla progettazione del modello architettonico del Nuovo Tribunale di Tirana.
- Nel 2015, nominato dal Ministro protempore a rappresentare il Ministero della Giustizia al Tavolo “Gli Spazi della pena: architettura e carcere” degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.
- Dal 1997 al 2019 è stato Responsabile tecnico dell’edilizia giudiziaria. Per il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria (DOG) – Direzione delle risorse materiali e delle tecnologie, cura i rapporti tecnico-amministrativi con Amministrazioni centrali ed Enti territoriali; partecipa all’iter di predisposizione, progettazione e realizzazione delle maggiori opere giudiziarie. Ha altresì ricoperto l’incarico di Componente della Commissione speciale per la sicurezza delle sedi giudiziarie. In qualità di esperto e componente ha rappresentato il Ministero della Giustizia nel Consiglio Superiore dei LL.PP. e nei CTA del Ministero delle Infrastrutture.
- Dal 2017 è componente del Consiglio di Disciplina dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, nonchè del Comitato per l’Albo Nazionale delle Cooperative edilizie di abitazione e loro Consorzi, istituito in seno al Ministero dell’Industria e del Made in Italy.
- Dal 2019 opera nel Settore ambiente e rigenerazione urbana.