
Le immagini del fango e dei paesi devastati dal nubifragio che lo scorso venerdì 2 ottobre ha messo in ginocchio la costa orientale della Sicilia a sud di Messina, sono sotto gli occhi di tutti. Naturalmente si è riaperta la polemica sulle responsabilità; esperti più o meno improvvisati, più o meno “partigiani” hanno detto il loro parere, sollecitati dai media che così hanno voluto “stare sulla notizia” e rispondere alle legittime domande della gente comune. Anche Ambient&Ambienti entra nella discussione e lo fa col contributo del prof. Giuseppe Spilotro, Ordinario di Rischio idrogeologico presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università della Basilicata.
![messina_9[1] I primi soccorsi dopo l'alluvione](https://www.ambienteambienti.com/wp-content/uploads/2009/10/messina_91-300x199.jpg)
Il disastro nel messinese permette di fare alcune considerazioni generali sul dissesto idrogeologico in Italia. Esiste anzitutto una linea generale di intervento, perché la normativa italiana sul dissesto idrogeologico e la difesa del suolo individua nei PAI (Piani di Assetto Idrogeologico) redatti dalle Autorità di Bacino i tematismi di base con vincolistica prioritaria nella pianificazione territoriale. In altri termini, la classificazione effettuata nei PAI sovrasta qualsiasi altra decisione in merito all’uso del territorio. Ciò crea grossi malumori perché individua una strategia di gestione del territorio che non sia fondata solo sul “riparare” l’emergenza ma punta a porre dei paletti a favore di una efficace prevenzione.
Inoltre, nonostante le potenzialità operative, la presenza dei PAI non elimina la possibilità che si verifichino eventi pericolosi o addirittura catastrofici, per diversi motivi: i PAI sono sostanzialmente inefficaci, data la loro recente attuazione, sugli impianti urbanistici antichi; si scontrano con l’abusivismo, che in taluni contesti è particolarmente diffuso; infine sono sottoposti al tentativo di condizionamento politico sulla vincolistica.
Non a caso, con il primo governo Berlusconi, è stata emanata una legge che di fatto esautora le Autorità di bacino, centralizzando le competenze in un organismo con sedi nazionali: per il Sud, la sede dovrebbe essere a Napoli: una complicanza dannosa, dato che i PAI sono intrinsecamente interattivi, sulla base di un processo continuo di aggiornamento delle conoscenze.
Ci sono altri elementi che rendono difficile realizzare concretamente un’azione di prevenzione sul territorio: devono essere segnalate, infatti, insieme con il suo elevato costo, la mancanza di studi di base qualitativamente omogenei ed estesi all’intero territorio (cui si sta ovviando grazie alle nuove tecnologie), la scarsa utilità di molti studi “accademici” (per la marginale attenzione alle esigenze e peculiarità del territorio), la difficoltà di calibrare le soglie di attenzione sulle fenomenologie attese.