
Mentre il primo mese del 2020 viene dichiarato il più caldo mai registrato in 141 anni, l’Australia brucia. Il fronte dei roghi, la portata delle fiamme e la superficie interessata, hanno raggiunto dimensioni da record assoluto e le immagini dei koala e dei canguri ustionati raccontano al mondo il dramma vissuto dalle foreste australiane. Davanti a noi i mega-fires: nuova generazione di incendi, con un’estensione superiore ai 40.000 ettari (400 chilometri quadrati) e fiamme praticamente incontenibili, associati a condizioni insolitamente calde e secche, conseguenza diretta del cambiamento climatico, che ha innalzato di oltre 1°C la temperatura media della superficie del pianeta. Per quanto la vegetazione di molti ecosistemi forestali abbia la capacità di riprendersi e rigenerarsi dopo gli incendi, l’intensità e la frequenza di questi eventi rischiano di determinare la definitiva scomparsa di molti habitat forestali e delle specie che ospitano. Quasi tutti i 500 mega-incendi più disastrosi dell’ultimo decennio si sono verificati in condizioni insolitamente calde e/o secche, quelle favorite dal cambiamento climatico in corso. In Australia, infatti, gli incendi sono stati agevolati da temperature massime da record assoluto, che in alcuni casi hanno superato i 40°C per giorni, e da un’insolita circolazione atmosferica sull’Oceano Indiano, che ha portato a siccità record in Oceania e piogge inaspettate in Africa orientale. Le fiamme in Australia hanno distrutto più di 19 milioni di ettari, cancellato numerose vite umane e – secondo le stime del WWF – ucciso più di 3 miliardi di animali.
“A causa del continuo aumento delle temperature globali i mega-incendi potrebbero diventare la nuova normalità”, ha detto Niklas Hagelberg, esperto di cambiamenti climatici del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).