Fashion system a Ecomondo. L’ultima moda? E’ la circolarità

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E’ la circolarità ciò che farà davvero la differenza in passerella

 

Oggi l’industria della moda risulta è al quarto posto per impatto ambientale, al terzo per consumi di acqua e suolo e al quinto per uso di materie prime e per emissioni di gas serra. L’impatto sull’acqua, inoltre, non riguarda solo i consumi, ma la contaminazione delle risorse idriche: la produzione tessile è infatti responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui sono sottoposti i prodotti e al lavaggio di capi sintetici, che determina il 35% di microplastiche primarie rilasciate nell’ambiente.

La sostenibilità è dunque un passaggio fondamentale per un settore così caratterizzante e rilevante per l’economia italiana. Secondo le ultime rilevazioni effettuate da Statista, nel 2022 il settore abbigliamento in EU ha raggiunto il valore di circa 397 miliardi di dollari; il dato italiano per l’anno in corso è di 49,25 miliardi di dollari ma la data base company americana specializzata in report di business intelligence stima una crescita in volume del 18,5% nel 2023.

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Sostenibilità da costruire e best practice

Foto di Ruth Leith da Pixabay

Per promuovere la transizione ecosostenibile del settore moda, durante la prossima 25ª edizione di Ecomondo saranno valorizzate sia le buone pratiche messe in atto da gruppi come LVMH Group, sia le esperienze di aziende nate con un Dna sostenibile: come quella di Anna Fiscale che, con il suo Progetto Quid, oltre a realizzare le proprie linee a partire dal recupero di eccedenze di tessuti messi a disposizione da aziende della moda e del settore tessile, si fa promotrice di iniziative per aiutare l’inserimento lavorativo di soggetti a rischio di emarginazione, ricordando che la sostenibilità passa anche dal fattore umano.
Aziende ma non solo, perché la guerra agli sprechi non può essere combattuta solo dalle imprese, ma necessita del sostegno delle istituzioni. La Commissione europea, sta accelerando l’attuazione dell’Action plan per il passaggio a un’economia circolare per i tessili del marzo 2020, mediante un pacchetto di iniziative da realizzare entro il 2030 per rendere il settore tessile più sostenibile e più competitivo.

L´industria tessile e della moda dell´area del Mediterraneo verso modelli di business più green e circolari
Nelle economie OCSE, la moda è il secondo più grande mercato di beni di consumo dopo il cibo.
Da ciò ne segue un enorme impatto sull´ambiente. Accanto al consumo di acqua e all’impronta di carbonio emessa, il settore fa uso di prodotti chimici inquinanti che rappresentano anche un ostacolo al riciclo di materia prima, con il risultato che le fibre naturali diventano sempre più rare e con costi sempre maggiori.

I brand globali, perciò, cercano alternative nelle fibre riciclabili e processi di produzione più puliti. Poiché la produzione di indumenti genera una massiva quantità di rifiuti tessili lungo le catene di fornitura così come a livello industriale e consumer, la circolarità, le fibre prodotte in modo sostenibile, le tecnologie per il riciclo e protocolli chimici più sicuri possono fare la differenza.

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In un tovagliolo tutto lo spreco del monouso

A Ecomondo verranno presentate case history come quella del Comune di Capannori, selezionata a Bruxelles come città-pilota per l’economia circolare, che a luglio ha avviato in forma sperimentale la raccolta domiciliare dei vestiti usati e dei rifiuti tessili (indumenti, scarpe, borse, coperte, cuscini, lenzuola, tovaglie), e verrà presentato il modello virtuoso della Catalogna e del suo Pacto por la Moda Circular, firmato da 55 aziende e organizzazioni, che mira a promuovere una trasformazione urgente e necessaria del settore su base volontaria, condivisa e collaborativa, coordinando gli sforzi tra tutti gli agenti della catena del valore del settore. Tra gli accordi raggiunti vi è l’aumento della durata dei prodotti e della percentuale di materiale riciclato con l’obiettivo finale di ridurre la produzione di rifiuti tessili del 5-10%, raggiungere il 25-30% di raccolta differenziata entro il 2024 e incrementare la rivalutazione del materiale raccolto separatamente.

Altra best practice arriva dal confronto tra il monouso e il tessuto riutilizzabile: 76 vite di vantaggi economici e ambientali. 

tovaglia tovaglioli
I tovaglioli monouso usati in un anno sono più di 4 miliardi (Foto di beamapelor da Pixabay)

Ebli, Ente Bilaterale Lavanderie Industriali presenta il tovagliato che impatta sull’effetto serra il 48 % in meno del monouso. “Il lavoro dell’Ente Bilaterale si colloca a pieno nel rispetto del Pnrr in particolar modo nella parte ambientale relativa alla riduzione delle emissioni e dei rifiuti incentivando oltre che l’economia circolare anche l’economia legata al “riutilizzo” per più cicli di un prodotto, superando così la logica del monouso” ha detto Giuseppe Ferrante, presidente Ebli. Attraverso un investimento nel riutilizzabile, aggiunge, “si contribuisce alla cre­scita del PIL nazionale e all’occupazione lasciando in Italia un importante valore economico che altrimenti sarebbe in­dirizzato verso l’estero dove si produce il monouso”.

Per rappresentare i numeri del tovagliato in Italia in un anno, è stato calcolato che del monouso, sono 117 milioni le tovaglie utilizzate, quasi il doppio della popolazione italiana. I coprimacchia sono 369 milioni di pezzi, circa l’intera popolazione Europea. I tovaglioli monouso in un anno sono più di 4 miliardi, come se dovessero essere distribuiti alla metà della popolazione mondiale, a fronte di 1,3 miliardi di quelli in tessuto.

Applicare i modelli di so­stenibilità ambientale al tessile significa anche migliorare la gestione dei rifiuti. Nella fase di smaltimento, il monouso finisce per il 55% in discarica, il 45% va all’inceneritore, mentre, a seguito dei 75 cicli di lavaggi industriali, del tovagliato in tessuto solo l’8% va in discarica e un 1% è destinato all’incenerimento, il resto viene avviato a riciclo.

Sebbene la produzione di tessuto potrebbe far pensare a un maggior utilizzo di acqua, soprattutto nella fase di produzione del cotone, dal LCA risulta che dopo 57 lavaggi si ha un
punto di pareggio, con il 18% in meno di consumi dopo 75 cicli di lavanderia. Rispetto al monouso, il tessuto produce il 59% in meno di eutrofizzazione e – 61% di acidificazione.
Lo studio ipotizza due scenari di conversione al tovagliato riutilizzabile in cui si nota che nello scenario minimo si arriverebbe al 12% in meno di CO 2 equivalente, mentre nello
scenario massimo a – 20 %. Questo si traduce in risparmio economico, rispettivamente, di 39 milioni di euro nello scenario minimo e di 71 milioni di euro in quello massimo, e in termini di costi che sostiene la collettività per riparare i danni ambientali, il 63 % in meno. E’ stato calcolato che il costo della raccolta e dello smaltimento del tovagliato a fine vita è di circa 374 mila euro per il riutilizzabile a fronte dei quasi 28 milioni di euro del monouso.

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