L’estate è terminata, l’autunno quasi, l’inverno è alle porte, ma il problema resta. La costa salentina, vero gioiello culturale del Tacco d’Italia, sta inesorabilmente perdendo i suoi connotati, mietendo vittime e provocando danni consistenti al sistema ambientale ed economico. Il campanello d’allarme è stato lanciato già da diversi anni: mareggiate che risucchiano intere spiagge, grossi costoloni che si staccano dalla falesia sono le risposte all’”antropizzazione dei territori” (rastrellamenti costieri o dunali per Resort a cinque stelle a picco sul mare, creazioni di piccole insenature o calette per cosiddetti porti turistici, ecc. ).
Quello che si credeva fosse il volano del turismo, è stato, in realtà, un boomerang di scempio, come testimoniano molti turisti, arrivati nel Salento non certo per assistere a questo obbrobrio. Chi ha scelto l’antica Terra d’Otranto, infatti, come meta delle sue vacanze, lo ha fatto per scoprire la vera autenticità salentina: la sua tradizione, la sua cultura, il suo mare. Non si può aspettare, incombono interventi.
Nuovi crolli
Nella nitida fotografia scattata dalla collega Francesca Sozzo, nell’articolo Salento: addio spiagge? , la panoramica sulle coste, flagellate dall’erosione, è grave. Adesso al limite del collasso. Dopo gli ultimi episodi, infatti, è vera e propria emergenza. I riflettori si sono puntati su altre località balneari, contribuendo ad arricchire un repertorio molto dolente. Negli ultimi mesi, fenomeni di cedimento di alcune parte di rocce si sono registrati nelle marine di Melendugno (Roca vecchia) e Santa Cesarea Terme. Nel primo caso, il crollo di enormi massi di roccia calcarenitica ha letteralmente stravolto la fisionomia di una piccola insenatura, denominata “Portu lignu”, oasi di mamme e bambini.
La risposta alla cautela da parte di amministratori è stata repentina: un cartello, sul posto del cedimento, recitava: “Divieto di Balneazione”. Ordinanza di poco conto, se quell’insenatura per tutta l’estate ha continuato ad essere meta di passeggini e chiacchierate al femminile. Ancora più possenti sono stati i massi, staccatasi dalla falesia di Santa Cesarea, in località “Fontanelle-Archi”: addirittura uno di essi è stato stimato 30 ton (consulta la cheda tecnica delle coste del Salento). Fortunatamente il disastro è avvenuto a marzo, altrimenti tre mesi dopo sarebbe stata una catastrofe! La denuncia di Paolo Sansò, docente di Geomorfologia presso l’Università del Salento, non si fa attendere. «La fascia costiera che va da Porto Miggiano agli Archi di Santa Cesarea – rivela – è una potenziale polveriera. È costituita da una serie di “falesie” con pareti sub-verticali, costituite da roccia tenera e relativamente recente». Dalla scogliera alla spiaggia, il discorso non cambia. Esemplificativo il litorale dei Laghi Alimini (Otranto) (consulta la relazione): solo nella giornata del 25 luglio una mareggiata ha divorato tra i sei e i dodici metri di arenile su un tratto di fronte mare che raggiunge a malapena il chilometro. E la situazione è andata via via peggiorando nel corso della stagione estiva, a tal punto che le strutture degli stabilimenti balneari sono finite quasi completamente in acqua. Davanti a questo sfacelo, tutti, addetti ai lavori,i enti locali, associazioni di categoria e imprenditori, sono unanimi a trovare un rimedio a stretto giro, mentre in Regione l’unica scala di analisi che si ha a disposizione, vale a dire il “Piano Regionale delle coste”, aggiornato nel 2009, attende ancora di essere varata. L’ultimo atto da Via Capruzzi è la conferenza dello scorso 1° dicembre con cui l’assessore alla protezione Civile Fabiano Amati ha fatto il punto della situazione sullo cstato delle coste pugliesi.
Il documentostilato tra Provincia, Assobalneari e Comuni Rivieraschi è di fondamentale importanza, perché sulla base degli studi effettuati, ogni Comune rivierasco potrà redigere un piano particolareggiato (Piano Comunale delle Coste) del proprio litorale. Nel frattempo, qualcosa si muove. Il 5 ottobre 2010, in un incontro tra Provincia di Lecce, Comuni Rivieraschi ed Assobalneari Salento, si sottoscrive un Protocollo di Intesa (consulta il documento finale) per la “costituzione di un Tavolo Tecnico Permanente (TTP), “quale occasione di dialogo e di confronto, con la finalità di individuare le possibili strategie da mettere in campo per fronteggiare la suddetta criticità in modo sistematico e condiviso”.
I veri problemi e le proposte vi soluzione
La proposta di un TTP, che fosse da “supporto costante alle Amministrazioni Comunali nelle scelte da intraprendere per il ripristino del litorale salentino, onde evitare la compromissione delle stagioni balneari e quindi ricadute turistico-economiche negative sul territorio” (art. 2 del prot.), è stata fatta da Assobalneari Salento. Lo staff tecnico di Assobalneari, (avv. Danilo Lorenzo, dott. Tommaso Elia – geologo e dott. Tiziano Maria Pagliara – Specialista in Oceanografia biologica, chimico fisica e geofisica), da diversi anni, studia e monitora il fenomeno. E per l’occasione, ha redatto un lungo report, nel quale si delineano con chiarezza le criticità e le risoluzioni al problema. Anche quest’inverno, si legge nel documento, “se i fenomeni meteorologici (presenti dal 2006), quali l’inversione dei venti dominanti da dir. Nord a dir. Sud e l’aumento esponenziale dei venti forti provenienti da 150° (scirocco), insisteranno sul nostro territorio, e crediamo che ciò abbia una alta probabilità che accada, la situazione di alcune spiagge potrebbe peggiorare”.
Secondo le loro stime, sull’Adriatico, la zona tra Casalabate e Frigole e alcune zone dell’area Cesine e gli Alimini sono le più suscettibili, mentre sullo Jonio la situazione sembra meno disastrosa, anche se “non vi sono molte informazioni”. Ad ogni modo, studi condotti a Porto Cesareo rivelano, “nei casi in cui è stata notata negli ultimi anni un aumento dell’erosione delle spiagge, la scomparsa o la deformazione delle Barre di sabbia subacquee”. È il caso della baia sud di Torre Lapillo (marina di Porto Cesareo): in sei anni (2004-2010), le correnti provocate da venti forti hanno letteralmente spazzato le barre, con la conseguente erosione della sabbia. Tuttavia, la maggior parte degli arenili jonici è stabile ai cambiamenti meteo climatici e meteo marini, in virtù della particolare conformazione geo-morfologica o posizione geografica. È il caso, ad es., di Gallipoli e Torre Lapillo, i cui arenili sono posti in profonde baie, o il caso di Ugento (secche di Ugento), protetta da sud da formazioni rocciose subacquee naturali.
Per la soluzione del problema, nel testo, si registrano più linee guida di intervento, che devono, comunque, rispondere a due principi fondamentali: la “reversibilità” e la “non visibilità”. Le tecnologie a basso impatto ambientale proposte spaziano, in tal modo, dalle; strutture reticolari soffolte, ai geotudi, ai ripascimenti e ai geocontainer, per ciò che concerne le spiagge; al consolidamento mediante chiodature, tirantature, iniezioni di fluidi consolidanti, reti e barriere paramassi ecc., per ciò che concerne i litorali rocciosi.
Nero su bianco, c’è tutto. Ora la teoria deve lasciare il posto alla pratica.