Ecco come le microplastiche contaminano il nostro cibo

Microplastiche
(Foto Wikipedia - CCA)

Uno studio di ENEA-Cnr ha dimostrato come la contaminazione dall’ambiente passa alle piante e agli animali per raggiungere l’uomo

 

È stato pubblicato sulla rivista internazionale Water lo studio ENEA-Cnr che ha descritto una parte del percorso delle microplastiche “dall’acqua al piatto”, dimostrando come questo contaminante si trasferisca dall’acqua dolce alle radici delle piante acquatiche e, quindi, ai crostacei che se ne cibano, con danni al patrimonio genetico di questi ultimi e, a lungo termine, per l’intero ecosistema.

separazione microplastiche (foto archivio)

I ricercatori hanno valutato in laboratorio gli effetti di microparticelle di polietilene (PE), tra le più comuni materie plastiche disperse nell’ambiente, su organismi d’acqua dolce, vegetali e animali. In particolare, le specie utilizzate sono state la Spirodela polyrhiza, la cosiddetta lenticchia d’acqua, una piccola pianta acquatica galleggiante, e l’Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto, che è poi l’alimento base di pesci come le trote. Le piantine sono state immerse in acqua contaminata da microplastiche di circa 50 micrometri – più piccole del diametro di un capello – e dopo 24 ore trasferite nella vasca dei gamberetti.

I risultati hanno dimostrato che le piante, durante l’esposizione, oltre a una lieve riduzione del contenuto di clorofilla, hanno accumulato un elevato quantitativo di microplastiche sulle radici di cui i crostacei si cibano, ingerendone in media circa 8 particelle per esemplare. Inoltre, è stato possibile anche dimostrare come le microplastiche, una volta ingerite dai crostacei, vengano sminuzzate e “restituite” all’ambiente sotto forma di escrementi, che possono rientrare nella catena alimentare, cosiddetta “del detrito”, in maniera potenzialmente più pericolosa di quella di partenza.

Infine, sono stati valutati gli effetti diretti delle microplastiche sul DNA dei crostacei, per comprendere se queste particelle potessero indurre anche genotossicità, ovvero danni a livello del materiale genetico. Dopo solo 24 ore, è stato possibile osservare come gli individui “trattati” con le microplastiche presentino un livello di frammentazione del DNA significativamente superiore rispetto a quelli non trattati, dimostrando come queste particelle siano effettivamente in grado di indurre un danno al DNA nelle cellule degli organismi studiati.

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