
Alluvioni, terremoti e disastri ambientali. Dal Vajont all’Irpinia e Ginosa, i geologi analizzano la situazione e parlano dei disastri ambientali.
Vajont, Irpinia, Ginosa. E ora, Catania. L’Italia sta rivedendo la sua geografia. E lo fa celebrando il ricordo degli anniversari di disastri ambientali, affinché siano un modo per evitarne di altri.
Disastri ambientali: il ricordo del Vajont
La mente torna indietro di 55 anni. Alle 22.39 del 9 ottobre del 1963, quando 263 milioni di metri cubi di roccia si staccarono dal monte Toc precipitando nel bacino creato dalla diga del Vajont e sollevando un’ondata gigantesca, alta 260 metri, causando la morte di 1917 persone.
Il disastro ambientale e umano più drammatico dal Dopoguerra a oggi. Quello che – per Domenico Angelone, Tesoriere del Consiglio Nazionale dei Geologi – “costituisce la fotografia di un Paese miope dal punto di vista della prevenzione e della valorizzazione delle professionalità. I geologi di allora furono inascoltati esattamente come oggi, a distanza di 55 anni, si continua a maltrattare il territorio e a sfidare le forze della natura con il cemento e la perfezione teorica, in accordo con l’approssimazione politica e l’arroganza di chi continua a non voler risolvere il problema alle sue origini”.
Disastri ambientali: un momento di svolta?
Per eccesso di superficialità nell’ignorare gli studi geologici, che dichiaratamente ritenevano la realizzazione della diga non realizzabile per le precarie condizioni morfologiche dei versanti, una frana immensa si riversò nell’invaso facendo tracimare milioni di metri cubi di acqua che, a valle, fecero 1917 morti, cancellando per sempre paesi dalla carta geografica.
“Il Vajont ha segnato nella storia d’Italia un momento di svolta – prosegue Angelone – esattamente come accadde con il terremoto dell’Irpinia del 1980 quando, lo stesso Presidente Pertini evidenziò le gravissime carenze culturali, organizzative e programmatiche di un Paese che, in entrambe le vicende, si dovette vergognare di fronte alla popolazione mondiale. Una svolta che si è palesata timidamente con interventi normativi inadeguati e tardivi, seguendo più gli eventi dettati dallo scorrere del tempo, dal boom economico degli anni ’70 e ‘80, dal progresso scientifico e tecnologico, che dalla consapevolezza di dover partire dalla conoscenza del territorio e dalle sue criticità. Culturalmente siamo rimasti ancorati alle logiche del pre-Vajont – continua Angelone -, alle stesse logiche che tendono a rincorrere l’emergenza e ad apporre pezze ancora peggiori del buco che si vuole coprire”.
Disastri ambientali: le vecchie norme
Non manca da parte del Tesoriere del CNG un esplicito riferimento alle recentissime Norme Tecniche per le Costruzioni 2018, impugnate dal CNG e da 13 Ordini regionali dei geologi italiani davanti al TAR Lazio.
“Abbiamo da sempre evidenziato come sia le vecchie norme che quelle vigenti siano inadeguate alla salvaguardia della sicurezza dei cittadini, tant’è che, anche nei confronti dell’aggiornamento delle NTC 2018 – conclude Angelone -, siamo stati costretti ad evidenziare davanti a un Tribunale Amministrativo tutte le criticità sia giurisprudenziali sia culturali di una norma che ci riporta indietro nel tempo. È inaccettabile che la sicurezza e la prevenzione vengano ancora trattate con miopia e leggerezza, ponendo la cultura geologica come un fardello da dover sopportare di fronte alle grosse scelte di sviluppo del Paese”.
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“Nel nostro Paese si continua a morire per un’alluvione, come è successo la scorsa settimana a San Pietro Lametino, in Calabria. I recenti eventi alluvionali registrati in Calabria, che hanno causato ancora una volta vittime e danni ingenti – ribadisce il segretario del CNG ed ex presidente dell’Ordine dei geologi della Regione Calabria, Arcangelo Francesco Violo -, hanno rafforzato l’urgenza di avviare una svolta culturale in tema di prevenzione, basata sulla conoscenza degli scenari di rischio, sui sistemi moderni e tecnologicamente avanzati di monitoraggio e sulla necessità di una corretta pianificazione delle attività di manutenzione”.
Distastri ambientali: l’alluvione di Ginosa
Si celebra un drammatico anniversario anche a Ginosa. A cinque anni dall’evento alluvionale che nell’ottobre 2013 causò 4 vittime e ingenti danni alle infrastrutture poste in prossimità dell’alveo di piena dei corsi d’acqua esondati.
Al teatro comunale Alcanicés (9 ottobre), un evento per discutere su come tutelare il nostro territorio, di come mettere al centro della gestione la prevenzione e la riqualificazione territoriale, di quali siano gli strumenti di comunicazione per divulgare consapevolezza e creare coscienza critica diffusa. In sostanza, per analizzare la fragilità del territorio: dalla pericolosità al rischio. azioni di prevenzione e gestione.
Per evitare i disastri ambientali: gli edifici green
Terremoti e alluvioni si portano via anche gli edifici. Ecco pertanto che ” sostenibilità non vuol dire solo edifici green ma anche edifici resistenti ai terremoti, perché costruzioni antisismiche non eliminano solo costi umani ma hanno un minore impatto ambientale dovuto alla ricostruzione”. A spiegarlo agli studenti dell’Istituto Tecnico Industriale Carlo Bazzi di Milano è Gemma Musacchio, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) in occasione della terza tappa di “2018: Clima di Cambiamento”, il tour di avvicinamento a Isola della Sostenibilità 2018.
La nuova tappa del tour ha deciso di approfondire con gli studenti del Carlo Bazzi il tema del “Cantiere Sostenibile” e indagare il concetto di sostenibilità nell’architettura e nell’edilizia. “Sostenibile non è semplicemente un edificio a basso impatto energetico – ha evidenziato Gemma Musacchio – ma più in generale una costruzione che abbia un impatto positivo per le generazioni future. Per questo, sostenibile è anche costruire in modo resistente a un terremoto. Al di là dei costi umani che si possono verificare, i costi ambientali dello smaltimento dei materiali crollati, della gestione delle emergenze e delle ricostruzioni sono molto elevati e sarebbero molto ridotti con i giusti accorgimenti antisismici”.
Verso questo problema, ha aggiunto Musacchio, c’è scarsa sensibilità, soprattutto nelle regioni a bassa pericolosità sismica: “in Italia ci sono zone, ad esempio la Lombardia, definite di bassa pericolosità sismica ma che allo stesso tempo sono a rischio. Questo perché sono aree densamente popolate, sede di importanti attività produttive per il paese, ma dove la gran parte degli edifici non sono costruiti in modo antisismico e quindi potrebbero risultare vulnerabili ad eventuali terremoti. Qui non c’è una corretta percezione del rischio che si corre e si tende a sottostimare la necessità di fare opere di adeguamento”.
Il nuovo commissario post – terremoto

E a proposito di ricostruzione ed edifici anti-sismici, c’è un nuovo commissario straordinario per la ricostruzione post terremoto nel Centro Italia,
La scelta è ricaduta sul prof. Piero Farabollini, nominato dal Consiglio dei Ministri nell’ambito del “decreto emergenze”..
“Farabollini è un geologo di grande competenza e professionalità, – commenta Francesco Peduto, presidente del Consiglio nazionale dei Geologi – con esperienze maturate sul campo e che conosce bene le aree colpite dal sisma del 2016. Ha ricevuto un incarico prestigioso, ma impegnativo e siamo certi che contribuirà a rimuovere le criticità che attualmente stanno rallentando, e non di poco, le attività legate alla ricostruzione”.
La Sicilia.
Intanto, l’ultima zona ad allarmarsi per le scosse telluriche è la Sicilia. Il 6 ottobre, alle 2:34, è stato registrato un terremoto di magnitudo 4.6, con epicentro a Santa Maria di Licodia, in provincia di Catania, a una profondità di nove chilometri.
“A grandi linee – spiega Fabio Tortorici, Presidente della Fondazione Centro Studi CNG – la Sicilia è ubicata in corrispondenza dello scontro tra la placca africana e quella euroasiatica, ciò spiega l’elevata sismicità dell’area che in passato è stata causa di terremoti distruttivi: nel 1693 (54.000 vittime), nel 1908, nel 1968 e nel dicembre 1990”.
Ma il sisma può essere collegato a una ripresa dell’attività eruttiva dell’Etna? “La raccolta di dati geofisici in atto, – risponde Tortorici – ci permetterà di stabilire se l’evento è un terremoto di natura tettonica o vulcanica e quali sono stati i meccanismi di rottura che lo hanno generato e soprattutto se si stanno verificando fenomeni di ricarica delle tensioni vulcaniche. Per ora, è certo che il sisma non è scaturito direttamente dall’interno del principale condotto vulcanico. In ogni caso, nell’area etnea si è sempre delineata una complessa interazione tra le strutture crostali tettoniche e la struttura del vulcano”.