Differenze di genere, ripartire dai fondamentali

Le differenze di genere, quando rispettate e valorizzate, si rivelano motore di innovazione e radicamento di una più alta qualità della vita e portano a maturità il concetto di sostenibilità

Marianna Pacucci, sociologa con particolare attenzione alla sociologia dei processi educativi

Dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile del pianeta provengono suggestioni importanti per tutti i Paesi, fra cui l’Italia, che avvertono l’urgenza di realizzare cambiamenti decisivi nella direzione di marcia e nel ritmo del cambiamento economico, sociale, culturale e politico. Tra questi obiettivi, particolare rilevanza è data al quinto, riguardante le differenze di genere e il raggiungimento della parità tra i sessi.

Non tutti questi Paesi, tuttavia, sembrano essere in grado di individuare in modo lucido, condiviso, lungimirante e stabile i criteri, gli obiettivi e le priorità in ragione delle quali produrre innovazione. L’architettura della riflessione proposta nell’Agenda è peraltro illuminante e incontrovertibile.

Globalizzazione come nuova sostenibilità

Può apparire scontato “il giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale”. Di fatto però non è così per molte nazioni occidentali.

Non sempre il riflusso nei particolarismi e negli interessi immediati di ogni paese consente di percepire in modo chiaro e convinto che la globalizzazione chiede una diversa e più impegnativa parametrazione e perimetrazione della sostenibilità. Questo perchè la ricaduta di qualsiasi scelta economica e politica ricade inevitabilmente su ciascuna comunità e, al suo interno, sui soggetti e i gruppi più deboli, variamente presenti in tutte le parti del mondo e comunque problematici per lo sviluppo dei territori.

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Pluralità dei modelli di sostenibilità

Quello che manca è un’adesione generalizzata sull’idea che “tutti i paesi sono chiamati a contribuire allo sforzo di portare il mondo su un sentiero sostenibile”, e che dunque occorre superare la tradizionale identificazione della leadership politica ed economica con alcuni stati, (come se il PIL costituisse automaticamente l’indicatore più affidabile per generare sviluppo, innovazione, equità, inclusione, equilibrio nel rapporto uomo/natura), accogliendo positivamente la pluralità dei modelli di sostenibilità e delle conseguenti strategie promossi e perseguiti dalle diverse culture sociali. 

Marianna Pacucci, sociologa

Vi è, dunque, nell’Agenda 2030, un invito, o meglio, una provocazione fondamentale: imparare a considerare e trattare le differenze come un metodo e non soltanto un contenuto sul quale convergere per generare e portare a piena maturità la sostenibilità. Se non si è pronti a riconoscere questo elemento, ogni sforzo rischia di continuare a produrre risultati inconsistenti e contingenti, laddove invece si vuole mirare ad un cambiamento incisivo, durature, efficace per tutti.

I 17 obiettivi proposti e affidati a ciascun paese, pertanto, non possono essere affrontati e perseguiti secondo un’interpretazione gerarchica, ma necessitano di una visione sistemica, costruita a partire da due esigenze fondamentali: la dignità della persona e il diritto ad un’esistenza dignitosa. Se viene meno questa consapevolezza, ogni intervento rischia di essere condannato alla banalità oltre che all’inefficacia, insieme di toppe destinate a rapide lacerazioni.

Differenza di genere come leva del cambiamento

Per dare risposte meno aleatorie alla disuguaglianza di opportunità nella garanzia dei differenze di gnerediritti fondamentali e nell’accesso ai ben comuni dei vari soggetti e gruppi sociali, conviene utilizzare come leva del cambiamento proprio le differenze di genere, che sono puntualmente presenti nei processi di allargamento e alla radicalizzazione della povertà.

Non si tratta più di dare con urgenza soddisfazione ai bisogni primari, strategia che ha prodotto nel mondo globalizzato problemi sempre più gravosi e divaricazioni sempre più incolmabili, ma di valorizzare identità differenti, che proprio a partire dall’appartenenza sessuale segnano e sognano modi diversi, ma non incompatibili, di costruzione di un’antropologia incentrata sulla dignità della persona ed una cosmologia caratterizzata dalla sostenibilità.

Dalla differenza, la crescita

Le differenze di genere, laddove rispettate e valorizzate, sono infatti volano di innovazione e radicamento di una più alta qualità della vita, perché incidono positivamente nell’organizzazione del tempo e dello spazio, delle relazioni familiari e politiche, nella gestione del sistema economico e nella progettazione ed esplicitazione dei processi decisionali di una comunità sociale, garantendo la possibilità di confrontare e mediare punti di vista e modelli di vita che fanno spazio alle esigenze specifiche di ciascuno e alla necessità di obiettivi convergenti.

Dove attivamente si pone fine alle discriminazioni di genere, si creano le condizioni per un dialogo fecondo fra i gruppi e le generazioni, per la rinegoziazione e lo sviluppo pacifico delle linee portanti della tecnologia e della scienza, per l’accesso ad una innovazione culturale e sociale che non debba stare in bilico fra interessi contrastanti, ma possa integrare passato e futuro, privato e pubblico. In gioco c’è il passaggio dalla differenza alla complementarietà, che dona al cambiamento sociale la possibilità di realizzarsi non contro, ma proprio attraverso la responsabilità e libertà di ciascuno. Dunque non come esito di meccanismi impositivi sul piano culturale o politico, ma come rinnovato e condiviso orientamento al meglio.

Il ruolo centrale della famiglia

Vale la pena anche sottolineare che in questo nuovo modo di costruire la sostenibilità ambientale un ruolo centrale deve essere giocato dalla famiglia, che diviene testo e contesto del cambiamento, interiorizzazione dei valori e pratica quotidiana delle norme che consentono l’accoglienza di uno stile di vita inclusivo, protagonista di un processo educativo capace di sostenere scelte impegnative sul piano economico e politico. 

L’accostamento dell’istituzione familiare alla dimensione della quotidianità, nelle sue diverse forme e realizzazioni, può apparire a molti perdente o quanto meno legata a tempi troppo lunghi per verificare ricadute positive nella convivenza sociale; non si deve però dimenticare che l’azione formativa della famiglia, unitamente alla diretta sperimentazione di un ritmo diverso delle relazioni e della gestione della vita nella sua concretezza, è ciò che assicura risultati più stabili e durevoli, meglio condivisi e dunque meno esposti a resistenze e conflitti di ogni tipo, propositivi piuttosto che impositivi nella generazione del cambiamento sociale. 

Puntare sulla famiglia significa prendere a cuore le differenze di genere e averne cura, rendendole una strada maestra per autenticare uno sviluppo sostenibile della società, rendere permeabili i mutamenti sociali, costruire nell’epoca della globalizzazione un linguaggio trasversale che sia comprensibile per ogni popolo e cultura. Tutto questo perché, nonostante tutto, la famiglia costituisce ancora oggi in tutti gli angoli del pianeta un paradigma, allo stesso tempo unitario e diversificato, nel quale rendere possibile e perfino virtuosa l’interpretazione corretta di buone pratiche di promozione umana e di protezione sociale, l’incentivazione della partecipazione e della responsabilità verso la comunità di appartenenza, l’equa distribuzione e utilizzo delle risorse disponibili per le necessità individuali e per i fini comuni del ben-essere.

L’autore
differenze di genere
Marianna Pacucci

Docente in un liceo barese, fino al 2002 docente di sociologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Bari. Per quasi un ventennio ha collaborato col Centro Pedagogico Meridionale di Bari, realizzando molte ricerche sul campo attinenti le dinamiche religiose, l’identità giovanile la realtà famigliare, i processi educativi. Collabora a riviste specializzate, con interventi di carattere socio-pedagogico. Le numerose pubblicazioni (una cinquantina) rendicontano l’attività empirica di ricerca sul campo e la riflessione teorica in campo sociologico e pedagogico.

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