Delfini e capodogli morti per il forte impatto antropico

La carcassa del delfino rinvenuta a Santo Spirito (BA)

Da febbraio a luglio 2011 sono stati ritrovati in Puglia una trentina di delfini spiaggiati morti. Ma, secondo le stime del WWF, potrebbero essere quasi il doppio gli esemplari finiti sulle spiagge, senza vita (Clicca qui per leggere l’articolo).

Ambient&Ambienti ha chiesto al dott. Mauro Sasso, consigliere regionale del WWF Puglia, quali potrebbero essere le cause di questo fenomeno che sinora ha trovato solo spiegazioni «alquanto aleatorie e opinabili».

Dottor Sasso, quali potrebbero essere le cause imputabili alla moria dei delfini nel basso Adriatico?

«Io ho fatto una ricerca e ho visto che il fenomeno è sottostimato rispetto alla effettiva gravità del fatto. Mi spiego meglio. Dati ufficiali non se ne trovano, nel senso che gli studi dell’ISPRA o piuttosto che del CNR o non sono pubblici o sono limitatati a tempi molto contingentati. Esiste una raccolta sistematica di spiaggiamenti a partire dal 1700, da parte di un istituto del nord che, a sua volta, ha raccolto i dati relativi a spiaggiamenti di alcuni istituti locali».

In merito alle ultime segnalazioni, invece?

«Da segnalazioni di alcune ex sezioni del WWF e da recuperi fatti da strutture come il Centro recupero tartarughe del CRAS di Molfetta e da segnalazioni di stampa e internet, io ho calcolato una trentina di delfini spiaggiati, compresi quelli trovati un po’ più a nord, molto piccoli. Per cui, è del tutto evidente che il fenomeno di è di tipo sommerso. Quelli segnalati sono in realtà la punta dell’iceberg rispetto a un fenomeno più ampio».

C’è un rapporto tra il numero di delfini morti e l’intervallo di tempo tra gli spiaggiamenti?

«Secondo le segnalazioni che abbiamo raccolto da febbraio a luglio di quest’anno, quindi nell’arco di cinque mesi, il numero di spiaggiamenti è in notevole aumento. Soprattutto nel tratto che va da Barletta fino giù a Mola di Bari sono concentrati il maggior numero di segnalazioni di delfini spiaggiati; più della metà delle segnalazioni dei ritrovamenti. Anche se altri sono stati segnalati nel Salento, nello Ionio, dei casi accertati, la maggior parte, possiamo dire che sono una trentina, più della metà sono localizzati nel tratto di mare che va da Barletta a Mola di Bari».

Dottor Sasso e secondo lei quali potrebbero essere le cause di questo fenomeno?

«Operazioni di bonifica del mare dall’iprite e lo sminamento al largo di Bisceglie – ricordi pericolosissimi della Seconda Guerra mondiale -, possono aver influenzato il fenomeno. Ma non dimentichiamo la pesca di frodo, gli scarichi illegali e le operazioni di bonifica dall’inquinamento. Certamente il forte impatto antropico – cioè le alterazioni dell’ambiente preesistente causate dall’uomo – è di tutta evidenza. Perché dobbiamo considerare che da quelle parti sono state fatte anche delle rilevazioni con strumentazioni che possono aver disorientato i delfini».

Uno dei capodogli spiaggiati - Cortesia Reparto Operativo Aeronavale Guardia di Finanza Bari

Come è successo per i capodogli a dicembre 2009 (leggi l’articolo di Ambient&Ambienti)?

«Da un punto di vista scientifico non lo posso confermare ma è una delle ipotesi, cioè che i cetacei, come questi mammiferi possono essere stati influenzati dal tipo di rilevazioni marine; ecoscandagli, sonar, air-gun ecc. Alle ricerche alle Tremiti, sulle quali noi abbiamo espresso forti perplessità, sin dalle prime rilevazioni, noi eravamo contrari per questo motivo. E, infatti, le conseguenze sono state anche queste. Gli esemplari che si sono spiaggiati ultimamente sono esemplari enormi, adulti, che hanno una certa rilevanza».

Soluzioni?

«È necessario che le autorità locali e regionali prestino maggiore attenzione alla tutela della biodiversità marina. Non vogliamo puntare il dito contro nessuno ma chiediamo risposte concrete in termini di impegno finanziario e logistico da parte di tutti gli organi istituzionali interessati, risposta che sino ad ora è stata alquanto fallace».

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