COVID-19 e smart working: una ricetta per la sostenibilità?

L’attuale pandemia di COVID-19 ha posto milioni di lavoratori di fronte a una realtà per tanti versi sconosciuta, quella dello smart working. E in tanti si chiedono: sarà una soluzione sostenibile?

“Smart  working”, lavoro agile e intelligente, è la parola d’ordine di queste settimane segnate dalla pandemia da COVID-19. Una soluzione da molti subita, da tanti – pensiamo al mondo della scuola – vissuta come una sfida e affrontata con armi non sempre all’altezza della situazione. Quali sono le reali opportunità di questa nuova, per certi versi, modalità di lavoro?

COVID-19 e Smart working: lo scenario italiano

PMI impreparate
Solo il 26% delle PMI hanno raggiunto la maturità digitale (Fonte: Osservatorio Innovazione Digitale PMI)

A partire dall’11 marzo, con la promulgazione del decreto-legge Io Resto a Casa, milioni di lavoratori italiani si sono trovati alle prese con una realtà sostanzialmente nuova, quella del lavoro in remoto o smart working. Questa situazione ha toccato uffici, agenzie private, scuole ed enti pubblici. E se certi ambienti sono per natura più preparati di altri (si pensi ad un’agenzia di digital marketing), tale affermazione non si può estendere a tante altre realtà, come la scuola, che hanno dovuto adattarsi in fretta.

Il passaggio allo smart working ha sicuramente sollevato molte questioni relative alla sua sostenibilità – tanto dal punto di vista ambientale quanto da quello sociale. E se molti dei vantaggi sono evidenti, altrettanto numerose sono le domande che meritano approfondimento.

Guardando al futuro, ci si deve allora chiedere: cosa ci sta insegnando questa epidemia su tematiche quali la riduzione dell’impronta ambientale e l’organizzazione del lavoro? E come cambia il work-life balance (l’espressione significa equilibrio tra lavoro e vita privata) quando le nostre case diventano anche i nostri uffici?

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L’impatto ambientale dello smart working

A un primo sguardo superficiale, il lavoro da remoto appare come la soluzione perfetta a tanti problemi ecologici, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di CO2 e la qualità dell’aria. Il lockdown imposto dall’epidemia di COVID-19 ha rapidamente ridotto le emissioni – con cali del 25% nella sola Cina, come riportato da Carbon Brief.

Meno viaggi di lavoro, meno macchine, meno benzina e meno voli. Ne risulta una migliore qualità dell’aria. Non solo: emerge per molte compagnie un notevole risparmio energetico, dal momento che vengono meno i costi e l’inquinamento associati ad elettricità e riscaldamento. Resta tuttavia la preoccupazione per il lungo periodo: questa situazione è infatti legata a un blocco (quasi) completo delle attività umane. Senza un concreto piano post-crisi, è allora lecito chiedersi se la situazione ecologica non tornerà come prima, o addirittura peggiorerà, nel momento in cui le misure di lockdown saranno ridotte o eliminate.

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Aspetti sociali e cybersecurity

 Ridotti costi per le aziende non significa tuttavia ridotti costi per le persone. Soprattutto se la situazione è continuativa.

Al risparmio energetico da parte delle aziende corrisponde infatti un aumento delle bollette per gli impiegati – soprattutto per chi lavora nell’ambiente tech. E se tante compagnie hanno la loro sede nei moderni smart building, dotati di nuovissime attrezzature a basso costo e di impianti di energia rinnovabile come ad esempio i pannelli solari, quanti lavoratori possono dire altrettanto?

Lavorare in remoto per lunghi periodi, inoltre, presenta dei rischi per quanto riguarda privacy e cybersecurity. Ad esempio, le reti internet e i server degli uffici hanno diversi livelli di protezione rispetto a quelli domestici – il che rende più difficile proteggere sia i documenti, sia le informazioni personali. Ne è esempio l’aumento delle fake news e dei tentativi di phishing e truffe online. O ancora, i problemi di privacy che tante app per videoconferenze (Zoom in primis) hanno riscontrato recentemente, spingendo tante aziende a vietarne l’uso.

fake newsIl problema si inserisce in un quadro più grande, ovvero quello della lentezza italiana nei processi di innovazione. Dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI, infatti, mostrano come ad oggi solo il 26% delle piccole e medie imprese italiane abbiano raggiunto la maturità digitale. Essere più preparati da questo punto di vista non avrebbe certo prevenuto il blocco dell’economia, ma certamente avrebbe contribuito a limitarne gli impatti.

Smart working e salute mentale

Impossibile non considerare, inoltre, l’impatto dello smart working sulla salute mentale. Da un lato, condizioni di lavoro flessibile riducono lo stress dei pendolari, dando più valore alla risorsa tempo e aumentando la produttività. Lo smart working ha inoltre un ruolo di primo piano nel promuovere la parità di genere sul lavoro, permettendo alle madri lavoratrici di prendersi cura della famiglia senza rallentare la crescita professionale.

Quando tuttavia lo smart working è forzato da cause esterne, aumenta il senso di isolamento, e l’improvvisa mancanza di una routine porta a trascurarsi e a essere completamente assorbiti nel lavoro. Da qui, la necessità di pause e “virtual coffee” con colleghi, per fare quanto più possibile comunità’ e mantenere un’atmosfera “da ufficio”.

Smart working e sostenibilità: un piano per il futuro

I cambiamenti che lo smart working prolungato ha introdotto nell’organizzazione del lavoro sono per tanti versi irreversibili. Perché tali misure siano davvero di sostegno a programmi di sviluppo sostenibile, tuttavia, tali cambiamenti vanno attuati con criterio.

Servono, come sempre, vie di mezzo – ad esempio, consentendo un giorno a settimana di lavoro in remoto. Dal punto di vista ambientale, adottare in Italia una misura di questo tipo porterebbe a una riduzione delle emissioni di CO2 per persona pari a 135 kg l’anno. Partendo da qui, le aziende potrebbero dunque disporre di spazi più piccoli e avviare policy interne di rotazione delle scrivanie, e ridurre così i consumi (e i costi) energetici.

smart working - Flickr, immagine di dominio pubblico
Avviare percorsi di smart working porterebbe a riduzioni dello stress e a un miglioramento notevole del work-life balance,(Flickr, immagine di dominio pubblico)

Dal punto di vista sociale, avviare un percorso di questo tipo porterebbe a riduzioni dello stress e a un miglioramento notevole del work-life balance, aumentando al contempo la motivazione dei lavoratori e riducendo inoltre il gender gap (cioè il divario tra generi maschile e femminile). Il prerequisito è però che si prema l’acceleratore sui progetti di trasformazione digitale, e che all’innovazione si aggiungano adeguati programmi di formazione per i dipendenti.

La crisi attuale ci ha imposto di adattarci ad un nuovo modo di lavoro – non sempre adeguato. Starà a noi saper capitalizzare quanto imparato durante questo periodo per il mondo post-coronavirus.

 

 

 

 

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