Coronavirus. Lo psichiatra Semisa: “Tutelare la salute mentale di medici, insegnanti, studenti”

Come proteggere dallo stress da coronavirus la salute mentale di categorie trainanti per il sistema-Italia come personale sanitario e insegnanti? Come venire incontro alle paure dei ragazzi? La nostra intervista allo psichiatra Domenico Semisa

Dallo scorso 5 marzo l’Italia è stata progressivamente blindata per mettere al sicuro persone e attività produttive dal coronavirus. Sempre in prima linea il personale sanitario, senza distinzione di grado, sta pagando un prezzo altissimo in termini di stress fisico e psicologico. Ma in trincea ci sono anche gli insegnanti, catapultati in una dimensione tecnologica mai sperimentata a fondo finora. E poi ci sono i ragazzi: per loro la vita si svolge all’insegna della monotonia assoluta che nemmeno il mondo del web riesce ad azzerare.

Ambient&Ambienti ha chiesto al dott. Domenico Semisa, direttore del Dipartimento di Salute mentale della ASL provinciale di Bari, (la più grande di Puglia) e presidente della Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale, cosa si sta facendo per proteggere queste figure importanti per il nostro Paese.

Per il personale sanitario a Bari una task force di psichiatri, psicologi e neuropsichiatri

Dottor Semisa, cosa si sta facendo per salvaguardare la salute mentale di medici e infermieri?

medico coronavirus Foto di Cico Zeljko da Pixabay
” Gli operatori della sanità sono sottoposti a uno stress eccessivo che rischia di avere a sua volta conseguenze negative sul loro lavoro” (Foto di Cico Zeljko da Pixabay)

«Quando pensiamo alla situazione di questi giorni negli ospedali  il nostro primo pensiero va alla carenza di posti letto. Ma io sottolineo anche la situazione non solo fisica degli operatori sanitari. I medici lavorano anche 20 ore al giorno col rischio costante di ammalarsi; gli operatori della sanità sono sottoposti a uno stress eccessivo che rischia di avere a sua volta conseguenze negative sul loro lavoro. Proprio per questo a Bari è partito un servizio riservato a queste figure. Da lunedì 23 marzo il Dipartimento di Salute mentale dell’ASL Bari ha messo in campo  una task force di 48 persone tra psichiatri, psicologi, neuropsichiatri infantili, a disposizione dei dipendenti dell’ASL per poter fornire loro supporto psicologico telefonico, in orari e giornate prestabilite.»

“I ragazzi hanno bisogno dell’agorà”

Un altro problema è quello della mancanza di un contatto fisico, del non vedersi se non via chat o skype. La nostra salute mentale può risentirne?

«Bisogna capire bene cosa ci manca. Ad esempio, a proposito delle abitudini dei ragazzi abbiamo sempre detto che si vedono meno perché preferiscono chattare a scapito dei rapporti interpersonali. Questo in parte è vero, ma solo in parte, perché i ragazzi, di sabato sera, chattano fino a una certa ora poi escono: vuol dire che dopo aver soddisfatto il bisogno di chattare e di contattarsi da lontano, hanno un altro bisogno, che è quello dell’agorà, di riempire le piazze. Se i ragazzi veramente avessero rinunciato a fare gruppo, a fare corpo per incontrarsi solo via chat, le piazze sarebbero vuote.

«Questo significa che anzitutto i primi bisogni vanno conservati (il sentirsi sia pur virtualmente), poi bisogna inventare qualcosa che serva per surrogare i bisogni secondi (l’agorà), prima di potersi di nuovo accalcare nelle piazze. Bisogna inventarsi qualcosa: canzoni, giochi in comune, momenti di incontro. Come stanno facendo i personaggi dello spettacolo, che fanno i concerti dalle loro case. Ma non basta: serve una spinta più forte, perché questo ora manca.»

Per alleviare lo stress degli insegnanti

“Presentare ciò che si è costretti a fare, cioè la lezione a distanza, come innovazione.” (foto Ambient&Ambienti)

Quali consigli possiamo dare agli insegnanti, che sono sottoposti a una tensione non indifferente e che stanno creando dal nulla (o quasi) una nuova didattica?

«Per prima cosa, evitare l’inflazione di informazioni; poi, mantenere i ritmi. Lo chiamerei un processo di normalizzazione, come si dice in gergo, dell’emergenza. Dunque, non angosciare i ragazzi con un surplus di notizie, ad esempio, su come finirà l’anno scolastico o su come e quando mettere i voti delle interrogazioni o delle verifiche scritte. Ma se ci sono ancora degli studenti che la prendono alla leggera bisogna ribadire che questa è una situazione mai vista prima, che colpisce giovani e anziani, e fare capire che le reazioni devono essere meditate. L’informazione non deve essere ripetuta di continuo, va detta al momento giusto in maniera lapidaria senza bisogno di aprire discussioni.  Dopodichè, una volta mandato questo messaggio, bisogna passare alla normalizzazione.»

Che vuol dire normalizzazione?

«Vuol dire fare lezione a distanza facendola somigliare il più possibile nei tempi e nei modi alle lezioni fatte a scuola. E quello che non può somigliare alla normalità farlo passare come innovazione, presentandolo come una nuova modalità di insegnamento, da sfruttare anche quando il pericolo sarà finito. Lo ripeto: la chiave di volta è “il più possibile vicino a”, ma senza far credere che tutto sia come prima.

«E questo significa salvare, delle tante cose che caratterizzano il rapporto vis a vis in classe, quelle indispensabili: quindi l’orario, la pausa tra una lezione e l’altra, ecc. E presentare ciò che si è costretti a fare, cioè la lezione a distanza, come innovazione. Scopriremo, ad esempio, che si possono fare gruppi di lavoro a distanza. Dobbiamo dirlo ai ragazzi: stiamo imparando cose che non possono che farci bene.»

“Avremo sempre l’impressione di non aver capito tutto”

Cosa cambierà in noi quando tutto sarà finito?

Il dott. Domenico Semisa, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’ASL provinciale Bari

«Questa pandemia da coronavirus resterà nei nostri cuori come una esperienza assolutamente straordinaria, in qualche misura fantascientifica, una esperienza estremamente brutta, come la guerra, da cui usciremo sperabilmente più forti. Ma ogni volta che ci guarderemo indietro avremo sempre l’impressione di non aver capito tutto e ci stupiremo sempre delle cose belle che ci sono capitate. Un esempio: chiamare 300 medici e avere oltre 8mila adesioni ce lo ricorderemo, come una cosa bella di cui andare orgogliosi.

«Così come ci ricorderemo delle cose brutte, ma rimarremo sempre stupiti e avremo l’impressione di non capire. Faccio un altro esempio. Possiamo pensare di conoscere tutto della seconda guerra mondiale, però ogni volta che vediamo un documentario o un film o leggiamo un libro sulla Shoah, restiamo a bocca aperta e ci chiediamo come è stato possibile che gli uomini abbiano fatto quello che hanno fatto.»

Saremo noi a cambiare?

«Se è vero che tutto ciò che non ci uccide ci rende più forti, chi uscirà vivo da questa situazione deve essere più forte perché avrà imparato delle cose sul piano istituzionale, ma anche sul piano individuale. Una cosa è certa: anche quando avremo avuto i vaccini e potremo dirci al sicuro, la nostra vita non sarà più incosciente come prima.»

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