
Tra accordi significativi come quello sul Loss and Damage e lo stallo dei negoziati sulla riduzione delle emissioni di Co2, la Conferenza sul clima appena conclusa a Sharm el-Sheikh mette in primo piano le disparità tra paesi poveri che pagano le più alte conseguenze del cambiamento climatico, e paesi ricchi non proprio favorevoli a pagare per i danni causati. Ancora una volta è difficile parlare di giustizia climatica
Sicurezza e giustizia climatica avrebbero dovuto essere le protagoniste di COP27, invece sono state ridotte a comparse, piegate agli interessi delle grandi potenze, che però hanno dovuto concedere qualcosa e aprire la strada ai paesi vittime del deliberato impazzimento climatico del Pianeta. Una conferenza sul clima, quella di Sharm el-Sheikh, che incassa lo storico accordo sulle perdite e danni, si è detto, ma che stona con giudizi drastici che parlano di COP27 come di un contenitore vuoto e che lascia sullo sfondo emergenze sempre più forti come quella dei migranti climatici, che ancora non vengono riconosciuti come “meritevoli” di asilo.
Il documento finale, partorito due giorni dopo la chiusura ufficiale dei lavori e approvato da 190 paesi, prevede anche un sistema di primo allarme per gli eventi meteorologici estremi in tutti i paesi del mondo e riconosce il ruolo fondamentale di giovani, donne e comunità indigene nella lotta alla crisi climatica. Ma non prende posizione sulla tutela di oceani e foreste, anzi azzera gli incontri ad alto livello sul tema previsti per il 2023. Soprattutto non si esprime nettamente su riduzione o eliminazione dell’uso dei combustibili fossili, come avevano chiesto diversi Paesi. E non sono i soli punti oscuri di COP27.
L’accordo su Loss&Damage dopo trent’anni di lotte, il lato (quasi) bello di COP27

Sembrava ormai che dovesse passare alla storia come la COP del fallimento, invece questa tormentata conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, almeno un risultato positivo lo incassa ed è l’accordo sul “Loss and Damage”, cioè sui danni e relativi ristori dovuti al cambiamento climatico. «Trent’anni di pazienza. Il giorno è arrivato. Sì, un nuovo fondo per ristorare le perdite e i danni nei paesi in via di sviluppo, una vittoria per tutti i cittadini del mondo», ha twittato Alpha Oumar Kaloga, capo del gruppo di negoziatori africani alla COP27. Un accordo storico in effetti, perché riconosce il principio secondo cui ci sono paesi per niente responsabili della situazione verso cui si avvia pericolosamente il Pianeta, ma che ne pagano le conseguenze più alte, e paesi ricchi, potenti e inquinatori, che hanno il dovere di risarcire i più deboli. Un apposito comitato presenterà durante COP28 che si terrà a Dubai nel 2023, un progetto per avviare operativamente un fondo di risarcimento.
Dunque un’intesa storica. Ma va anche detto che l’accordo Loss and Damage ha messo in evidenza egoismi, interessi, rivendicazioni giuste e false prese di posizione. Insomma quello del clima, lungi dall’essere il cemento che dovrebbe unire tutti in una serie di azioni concrete, si rivela un argomento divisivo, molto divisivo. Il perché è presto detto.
Un primo motivo di attrito è consistito nella richiesta dell’UE – accettata a denti stretti –, che ha imposto di inserire tra i beneficiari degli aiuti solo i paesi più vulnerabili e non quelli in via di sviluppo, e di allargare la platea dei paesi erogatori. Quindi nei prossimi mesi bisognerà stabilire quali sono i paesi più vulnerabili da risarcire subito per i danni subiti in questi anni. Ci saranno anche India e Cina? Quest’ultima fino ad ora è ancora nel novero dei paesi più vulnerabili ma è anche il maggiore emettitore di gas serra e della metà di emissioni provenienti dal carbone. La Cina, che è in grado di contribuire per la sua solidità finanziaria al fondo per i paesi più vulnerabili, e quei paesi tradizionalmente considerati “in via di sviluppo” ma in realtà depositari dei maggiori giacimenti petroliferi del mondo, da che parte staranno, tra gli erogatori o tra i beneficiari del fondo? E poi: quanti soldi verranno stanziati e quando verranno dati? Il serio rischio è che si ripeta un secondo flop dopo gli accordi di Parigi del 2020, quando venne istituito un fondo di 100 miliardi da erogare ogni anno ai paesi meno sviluppati nelle politiche climatiche ma che non è ancora partito.
Una nota a margine: Stati Uniti ed Unione Europea hanno a lungo nicchiato sull’accordo Loss and Damage, e avevano proposto il Global Schield, una specie di assicurazione contro i rischi climatici. Una proposta debole perchè sempre meno le compagnie di assicurazioni vogliono coprire danni derivati da eventi estremi dovuti proprio al clima. Ma almeno hanno ottenuto di ridimensionare il numero di paesi da aiutare.
Il lato brutto di COP27: troppa debolezza sulle riduzioni di Co2

Per un punto a favore segnato da questa COP27, un punto contro lo segna lo stallo sulla riduzione delle emissioni di Co2. E qui l’UE ha di che essere ampiamente delusa, come ha fatto sapere, parlando di “mancanza di ambizione” della conferenza.
Il documento finale mantiene l’obiettivo del mantenimento del riscaldamento globale di 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-preindustriali e riconosce che bisogna ridurre le emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019, ma nulla in più. Nessun impegno più stringente rispetto a quanto deciso nella precedente COP26 di Glasgow, se non l’invito agli stati che non hanno ancora aggiornato gli Ndc, cioè gli obiettivi di decarbonizzazione, a farlo entro il 2023.
E visto che abbiamo parlato di Glasgow , altra marcia indietro rispetto a COP26, un significativo cambio di parole: il documento finale del 2021 stabiliva cdi raddoppiare i fondi per l’adattamento al riscaldamento globale. A Sharm el-Sheikh si ammorbidisce l’intento e si parla di generico aumento e di “possibilità” di raddoppiare i fondi.
Il grande silenzio sui combustibili fossili
E’ mancata a COP27 una decisa presa di posizione sui combustibili fossili e sulla transizione climatica. E non solo perché a organizzare la conferenza è stato l’Egitto, tra i maggiori esportatori di gas, ma anche perché c’è stato una specie di baratto tra adattamento e mitigazione della crisi climatica e Loss&Damage. A dirlo è Yeb Saño, direttore esecutivo di Greenpeace Sud-Est asiatico e capo della delegazione di Greenpeace presente alla COP27. «È incoraggiante che un gran numero di Paesi del nord e del sud abbia espresso alla COP27 il proprio forte sostegno all’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili – carbone, petrolio e gas – che è ciò che richiede l’attuazione dell’Accordo di Parigi – dice Yeb Saño – ma sono stati ignorati dalla presidenza egiziana della COP27. Gli Stati petroliferi e un piccolo esercito di lobbisti dei combustibili fossili erano presenti in forze a Sharm el-Sheikh per assicurarsi che ciò non avvenisse. Alla fine, se non si eliminano rapidamente tutti i combustibili fossili, nessuna somma di denaro sarà in grado di coprire il costo delle perdite e dei danni che ne deriveranno», continua il rappresentante di Greenpeace, e invoca politiche più coraggiose per porre fine alla dipendenza dalle fonti fossili e procedere verso la transizione ecologica.
WWF: “Doveva essere la COP africana, non è stato così”

«Questa doveva essere una “COP africana”, ma non è riuscita a soddisfare le esigenze e le priorità del continente. L’Africa è in prima linea nella crisi climatica ed è altamente vulnerabile alle sue conseguenze. Il WWF accoglie con favore i progressi compiuti nell’istituzione di un fondo per aiutare i Paesi a riprendersi dai disastri legati al clima, ma questo non è sufficiente se non si interviene ulteriormente per evitare che la crisi climatica vada fuori controllo. Il WWF chiede anche che si garantisca che il fondo “Loss&Damage” sia dotato di risorse e sia allineato con l’equità e la giustizia. Inoltre, ci si aspettava di vedere più finanziamenti e azioni per aumentare la resilienza dell’Africa e di tutti i paesi più vulnerabili, ma ancora una volta gli impegni finanziari per l’adattamento non sono stati rispettati». Questo il commento di Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia. Il WWF esprime un giudizio pressoché negativo su tutte le conclusioni della conferenza. «I leader hanno perso l’occasione di accelerare l’eliminazione dei combustibili fossili. Non possiamo permetterci un altro vertice sul clima come questo. Ora i governi devono raddoppiare gli sforzi per ridurre le emissioni e intraprendere la necessaria azione di trasformazione per mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5°C. Il vertice COP28 del prossimo anno deve essere la COP della credibilità climatica», rincara la dose Midulla.
Slow Food: la COP27 finisce, ma i sistemi alimentari inquinanti rimangono
Una attenzione particolare COP27 l’ha riservata all’agricoltura, al centro di una giornata ufficiale dei lavori e protagonista in 4 padiglioni sul cibo di oltre 200 eventi collaterali. Ma le ombre sono state tante, come sottolinea Slow food, a cominciare dalla strana presenza delle multinazionali dell’agribusiness, in particolare delle più importanti aziende di produzione di carne e latticini, del settore pesticidi e fertilizzanti e dei combustibili fossili: il numero dei loro delegati è più che raddoppiato dall’ultima edizione ed è addirittura più alto dei rappresentanti di alcuni Paesi. «E visto che queste multinazionali sono responsabili degli effetti che il nostro pianeta sta subendo, non avrebbero mai dovuto intervenire sui contenuti dei negoziati sul clima», dice Edward Mukiibi, presidente di Slow Food, che punta il dito contro il silenzio su soluzioni sostenibili e resilienti, capaci di favorire l’adattamento alla crisi climatica come l’agroecologia, e l’emarginazione dei contadini di piccola scala, fondamentali dato che producono l’80% del cibo consumato in regioni come l’Asia e l’Africa Subsahariana. «Il confronto si è spostato dal trovare soluzioni concrete alla crisi climatica – come abbandonare un sistema produttivo intensivo basato sui combustibili fossili a favore di tecniche agroecologiche – al sostenere misure di adattamento. Finanziare i paesi in via di sviluppo per fronteggiare gli effetti della crisi climatica senza individuare la radice delle cause e le misure per mitigarla non aiuterà nessuno. Darà solo maggiore libertà ai giganti dell’agroindustria di sostenere le loro false soluzioni improntate sul greenwashing».
Aspettando COP28

Nel 2023 la Conferenza sul clima si svolgerà a Dubai, negli Emirati Arabi, le cui riserve di petrolio e gas naturale pongono il paese al 7° posto nel mondo. Si spera che il comitato creato per quantificare gli aiuti economici per il Loss and Damage porti in quell’assise una proposta concreta e fattibile. Si spera anche che di qui a un anno si facciano passi avanti lungo la via della finanza climatica (da una parte sui fondi da mobilitare – e come – a favore dei paesi più poveri per fronteggiare la crisi climatica; dall’altro sulle azioni che i privati introdurranno nell’immediato e a lunga scadenza). Si spera anche nell’azione che i singoli governi imposteranno per ridurre le emissioni climalteranti e impedire che si arrivi ad un aumento fino a 3 gradi della temperatura (il che non è affatto improbabile). E infine si spera che il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, non pronunci più parole sconsolate come quelle a chiusura di questa strana COP27: «Bisogna essere chiari: il nostro pianeta è ancora in una situazione di emergenza, dobbiamo ridurre subito drasticamente le emissioni e questo non è stato affrontato. Il fondo per le perdite e i danni è essenziale, ma non è la risposta se la crisi climatica cancella dalla mappa un piccolo Stato insulare o trasforma completamente un Paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di un passo da gigante sull’ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo superare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di 1,5 gradi di temperatura».