COP26, foreste ok, metano ko

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Gli impegni presi dai capi di stato a Glasgow: riduzione fino all’azzeramento delle emissioni di Co2 e di metano a metà del secolo; 19 miliardi di investimenti per recuperare gli alberi persi con la deforestazione; aiuti economici ai paesi deboli. Ora tocca alla società civile esprimersi

Battono sul tempo tutte le manifestazioni i rappresentanti dei 196 paesi presenti alla COP26, la Conferenza sul clima più variegata di sempre (e siamo ancora al terzo giorno dei lavori). Prendendosi la scena e senza aspettare di ascoltare perplessità, proposte, proteste dei rappresentanti di associazioni, comunità indigene, movimenti, ieri i Grandi hanno preso delle decisioni destinate a rivoluzionare lo stato del pianeta entro mezzo secolo e, almeno si spera, a promuovere una maggiore equità fra paesi poveri e poverissimi e paesi industrializzati. Ma quali sono gli impegni presi? Eccoli in sintesi.

Gli accordi raggiunti

Ribadito, a esclusione di Cina, Russia e India, la doppia deadline del 2030 per mantenere entro 1,5 gradi l’innalzamento elle temperature e del 2050 per la decarbonizzazione del pianeta. A questo primo significativo traguardo si aggiunge la novità dell’ingresso massiccio dei contributi economici dei colossi privati, che si sono detti disponibili  a sostenere la transizione energetica nei paesi più poveri. Jeff Bezos (Amazon), ha promesso 2 miliardi di dollari per l’Africa.

E a proposito di transizione energetica, per la prima volta si apre il fronte del metano. A Glasgow è stato firmato il Global Methane Pledge: mentori dell’accordo, Stati Uniti e Unione Europea. Oltre 100 paesi detentori del70% dell’economia globale si impegnano a ridurre significativamente le emissioni di questo gas serra, e a contribuire così a un piccolo ma significativo -0,2 gradi di temperatura.

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Il Presidente del consiglio Mario Draghi alla cerimonia di apertura di COP26 (Foto messa a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT)

Ancora. 114 stati hanno firmato l’accordo per fare marcia indietro sulla deforestazione e ripopolare i sempre più asfittici polmoni verdi della terra. L’impegno previsto entro il 2030 è pari a 19 miliardi di dollari, di cui oltre 7 messi da privati. Il primo a mettere nero su bianco la somma da mettere in campo è stato Biden, che ha stanziato 9 miliardi di dollari per nuovi 200 milioni di ettari di foreste entro la data fatidica del 2030. Da notare che l’accordo è stato sottoscritto anche dal Brasile di Bolsonaro, che ha negato l’importanza della Foresta amazzonica nell’equilibrio degli ecosistemi  e dal Canada di Trudeau, che vive del legname ricavato dalle grandi foreste del paese.

I paesi “buoni”…

COP26 ha segnato il successo, in termini di appeal, di personaggi come la Regina Elisabetta, green nell’abbigliamento e nello spirito del suo videomessaggio: «Non è più il tempo delle parole ma il tempo dell’azione» ha detto, e lancia messaggi nemmeno troppo criptici sul destino del pianeta, a partire dalle espressioni forti («comportatevi da veri statisti») per arrivare alla spilla a forma di farfalla, regalo di nozze del marito Filippo di Edimburgo, convinto ambientalista come il figlio Carlo. Per non parlare del premier inglese Boris Johnson. BoJo ha “bucato lo schermo” dei lavori, e non solo evocando James Bond, «il figlio più famoso di Glasgow», ma usando un linguaggio immaginifico, parlando dell’ «orologio del tempo che corre in modio furioso», della urgenza di «disinnescare la bomba», del bisogno di unire tecnologie e buona volontà.

Anche il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affiancato il suo omologo britannico (Italia e Inghilterra sono co-organizzatrici di COP26) nel ribadire l’impegno dei Paesi più forti a tenere nei limiti di 1,5 gradi il livello di innalzamento delle temperature entro il 2030: «Da questo Cop26 mi aspetto che costruisca sui risultati del G20 e vada più in là», ha detto. Ma l’Italia ha fatto di più e per voce del Ministro Alla Transizione ecologica Roberto Cingolani ha dichiarato l’ingresso dell’Italia nella Global Energy Alliance, che vede i privati in prima linea, da Ikea ad Amazon, nella sfida climatica contribuendo a raggiungere entro il 2030 quei 100 miliardi di dollari necessari a realizzare in Africa, America latina e Asia impianti che produrranno energia eolica e fotovoltaica.

Ancora. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si prende la scena bacchettando i presidenti cinese Xi Jinping e russo Putin, che non hanno voluto partecipare al vertice e dal canto suo, fresco degli accordi firmati al G20 incassa il successo del Global Methane Pledge siglato con l’UE di Ursula von der Leyen: il patto, che ha ottenuto il sì incondizionato di 104 paesi, compresi Brasile e Nigeria, in testa alle emissioni di questo gas, da poco tempo considerato micidiale per l’innalzamento del clima, prevede di ridurre del 30% le emissioni di metano per non superare entro il 2030 gli 0,2 gradi di innalzamento delle temperature.

…e i paesi “cattivi”

Nuova Delhi non ci sta e alza la posta. “Se la Terra è tanto inquinata la colpa non è nostra ma di paesi molto più inquinatori del nostro. Quindi, se volete siamo disponibili ad azzerare le emissioni di anidride carbonica ma entro il 2070, altrimenti non se ne fa niente. E se volete accompagnarci nella transizione ecologica dovete sostenerci economicamente molto più degli altri paesi. A queste condizioni, forse potremmo anticipare la decarbonizzazione del nostro paese”. Questo il succo della posizione dell’India, che per bocca del suo premier Modi ha alzato l’asticella e spostato di 20 anni l’obiettivo dell’India “carbon free”. Posizione granitica che a Glasgow anzi si è rafforzata rispetto al G20 di Roma.

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Tra gli obiettivi di COP26, invertire la deforestazione investendo 19 miliardi di dollari per piantare nuovi alberi e recuperare quanto perso, per esempio, nella Foresta amazzonica (foto Dezalb da Pixabay)

Anche il presidente della Cina Xi Jinping non le manda a dire, ma a distanza, e nel suo messaggio scritto, dopo aver preso atto delle conseguenze sempre più evidenti del riscaldamento globale, propone tre azioni da intraprendere tutti insieme:  mantenere il consenso multilaterale, attivare azioni pragmatiche e puntare su innovazione scientifica e nuove tecnologie per traghettare il mondo verso un futuro “pulito”. Salvo poi affidare al portavoce del suo ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin un attacco agli USA: “le vostre emissioni nel passato sono 8 volte quella della Cina”.

Anche il presidente russo Vladimir Putin affida il suo pensiero sul clima a un videomessaggio, sottoscrivendo l’accordo contro la deforestazione e ritagliando uno spazio per il 20% delle foreste russe, che contribuiscono ad assorbire Co2 e a produrre ossigeno. Ma anche Zar Putin non intende assolutamente accettare il traguardo emissioni zero del 2050 e rimanda tutto al 2060.

Ora tocca alla società civile

Fin qui la parte ufficiale, per così dire, di COP26. Gli accordi sono stati firmati, molti paesi si autoassolvono dalla responsabilità di aver contribuito al malandatissimo stato di salute della terra. Ora tocca alle comunità indigene violentate dalla politica dei paesi potenti e potentissimi. E venerdì tocca a Greta Thunberg e ai giovani di FidaysForfuture. Boris johnson nel suo discorso di apertura di COP26 ha ripreso le parole dell’attyivista svedese: «E’ il momento di agire, basta blablabla. Aspettiamo le prossime giornate della Conferenza sul clima per conoscere le mosse di associazioni, attivisti, movimenti.

 

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